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venerdì 20 gennaio 2012

LO YOGA : LA PIU' ANTICA FORMA DI PSICOTERAPIA ?



Epifania di Kjrishna che insegna
lo Yoga ad Arjuna, nella Bhagavadgita.

In questo secondo articolo sullo Yoga, descriveremo gli otto stadi dello Yoga Reale descritti negli Yogasutra di Patañjali. Con il concetto di yama, prima di tutto si intende il rispetto di quei requisiti morali e di condotta pubblica negativa (ovvero basata su divieti) che servono per liberare lo yogin da colpe e responsabilità che potrebbero vincolarlo ancora di più alla sofferenza della vita quotidiana. Divieti come non uccidere, non mentire, non rubare, non essere avidi, e osservare l'astinenza sessuale permettono al meditante di disimpegnarsi dagli oggetti materiali e dalle dolorose vicissitudini della vita che impediscono l'elevazione spirituale.
Il secondo stadio è quello definito niyamae prevede alcuni requisiti disciplinari positivi come la purezza, la serenità, lasceresti, lo studio di sé, e la devozione al signore. Poi segue lo studio e l'esercizio di alcune posizioni corporee particolari, chiamate asana e di cui senz'altro la più famosa è la posizione del loto, in cui si sta seduti a gambe strettamente incrociate; le asana , siccome implicano il tenere ferme gambe, tronco, testa e braccia per lunghi minuti in posizioni fisse e innaturali, rappresentano per il meditante la realizzazione concreta dell'opposto dello scorrere caotico della vita quotidiana, un po' come se per contrastare il tumulto dei pensieri il meditante decidesse di fissare le membra del corpo in posizioni determinate per molto tempo, così da arrestare i segnali corporei derivanti dal movimento continuo che distrarrebbero la mente dello yogin.
Il Maestro Roberto Mattei nella
posizione dell'arco (Dhanurasana).
Una volta realizzato il blocco del corpo e delle sue sensazioni, si passa a una tecnica di respirazione ritmata, detta pranayama, mediante la quale si ottiene un rilassamento psicofisico completo. Ma soprattutto con ilpranayama si offre all'attenzione uno stimolo interno quasi del tutto controllabile dal soggetto, e grazie ciò è possibile staccare la consapevolezza da qualunque altro pensiero o oggetto esterno. Mediante il rallentamento volontario e - nei limiti del possibile - l'arresto della respirazione si realizza il quinto stadio dello Yoga, chiamato pratyahara, con cui i sensi sono sganciati dalla realtà esterna e sono ritratti completamente all'interno della mente del meditante.
Yogi indiano mentre pratica la tecnica
di Anuloma Viloma del Pranayama.
In questo modo è possibile realizzare la concentrazione su un oggetto (o dharana, sesto stadio dello Yoga) come per esempio un simbolo religioso (un mandala) o un suono sacro (un mantra); questa concentrazione contribuisce a isolare ulteriormente la mente dello yogin da qualunque influsso disturbante interno esterno.
Se si riesce a mantenere la concentrazione fissa sull'oggetto per un tempo sufficiente, si realizza lo stato di dhyana, cioè meditazione, in cui la mente è completamente assorbita dalle qualità fisiche dell'oggetto. Grazie a tale assorbimento si raggiunge l'ultimo stadio cioè il samadhi, che significa estasi e consiste essenzialmente nel non pensare a nulla rimanendo consapevoli del fatto che non si sta pensando a nulla.
Vi sembra una cosa da poco? Provateci per qualche secondo, e scoprirete amaramente che se non siete allenati sarà impossibile tenere lontani dalla vostra mente ricordi, immagini, propositi, paure e pensieri vari che si accavallano turbinosamente senza lasciare alcuno spazio alla quiete. Lo scopo dello Yoga è quindi quello di raggiungere il benessere e il controllo del passioni attraverso tecniche corporee e mentali che portano a un quadruplice arresto: arresto del comportamento, arresto del movimento, arresto (parziale) del respiro e soprattutto arresto del pensiero. E quindi arresto del dolore esistenziale.
A questo punto sento il bisogno di fare alcune precisazioni. In India la disciplina dello Yoga è andata perfezionandosi senza sosta negli ultimi 2.500 anni, pur mantenendo un solido rapporto di derivazione e considerazione verso le sue fonti classiche (YogasutraBhagavadgîtaHatha Yoga Pradipika, ecc.). Però da quando essa è giunta in Occidente – e soprattutto negli ultimissimi tempi – si è assistito a un proliferare di diciture ed etichette che pretendono di indicare diversi tipi, varietà o scuole di Yoga; per il profano (ma anche per molti maestri sinceri e autentici) è molto difficile e fonte di confusione cercare di districarsi tra tutte queste “etichette”. C’è chi dice di praticare il Kundalini Yoga, chi il Power Yoga, chi l’Ashtanga, chi l’Hatha, chi l’Anti-Gravity… Insomma, sembra difficile capirci qualcosa! Ebbene, ecco qui di seguito alcune note che non pretendono di dire l’ultima parola sulla questione, ma solo di aiutare il lettore non esperto a vederci chiaro quando si iscrive a un corso Yoga qualunque.
I quattro tipi di organizzazione
psicologica, secondo C.G. Jung
C’è un punto semplice dal quale partire: esiste un solo tipo di Yoga! Se come abbiamo visto in un post precedente l’etimologia della parola Yoga significa “unione”, “sintesi”, “aggiogamento” di corpo, mente e spirito, allora è vero Yoga quello che – con i mezzi più diversi – porta sempre e comunque a un tale risultato. Lasciando perdere le etichette più moderne, che non voglio nemmeno perder tempo a nominare ma che sono soltanto puro marketing, voglio affermare un secondo principio importantissimo: se praticate correttamente un qualunque tipo di Yoga, non potete fare a meno di praticare anche gli altri – che ve ne rendiate conto o meno. Vediamo il perché, partendo da una tassonomia molto generale e ben conosciuta delle modalità (non varietà!) di Yoga riconosciute dai maestri indiani (cfr. bibliografia qui sotto).
Al maestro francese Philippe De Méric (cfr. bibliografia) dobbiamo una sistematizzazione delle discipline riconducibili allo Yoga, basata sulla metafora di un albero con i suoi diversi rami.
  • Hatha Yoga: consistente in sequenze di posizioni, respirazioni e controllo del corpo e della mente. Questo è il tronco dell’albero, è la base di tutti gli altri tipi di Yoga. Nella tipologia personologica di Carl Gustav Jung questo tipo di Yoga è più adatto ai tipi “sensazione”.
  • Laya Yoga: consente la concretizzazione e la giusta canalizzazione delle forze spirituali, e si divide ulteriormente in quattro rami:
    • Bhakti Yoga: lo Yoga della devozione, della dedizione a un ideale spirituale anche concretizzato in una divinità o un personaggio particolari, come Shiva, Ganesha ecc. Serve ad arrivare alla pace interiore mediante la coltivazione dell’amore universale per tutte le creature e la trasformazione delle emozioni da egoiche a meta-egoiche. Questo tipo di pratica è particolarmente vicino a coloro i quali, nella tipologia junghiana, appartengono al tipo “sentimento”.
    • Shakti Yoga: consiste di pratiche (Tantra) che permettono al praticante di padroneggiare le energie del proprio corpo.
    • Mantra Yoga: mediante la continua ripetizione di suoni e frasi dall’alto contenuto simbolico – appunto i mantra, come il pranava OM – è possibile pacificare la mente e arrestare il flusso di pensieri. Spesso è utilizzato insieme al Bakhti.
    • Yantra Yoga: consiste nella fissazione e meditazione di simboli grafici, gli yantra e i mandala, che rappresentano concetti astratti mediante elementi fondamentali come il cerchio, il triangolo e il quadrato.
  • Dhyana Yoga: comprende tutti i metodi di meditazione adottati dalle varie scuole e dottrine del mondo. Serve a dominare la mente erratica ed angosciata per mezzo della mente stessa, disciplinata e “aggiogata” al volere del meditante.
  • Raja Yoga: il cosiddetto Yoga Reale, necessario alla pacificazione dei conflitti interiori e al conseguimento di “poteri” psicofisici particolari. Corrispondente al tipo junghiano della “intuizione”, si suddivide in altri quattro rami:
    • Jnana Yoga: o Yoga della conoscenza, che si raggiunge mediante l’approfondito studio della filosofia e della mitologia indiane, sui testi fondamentali e sui commenti lasciati da autorevoli saggi e maestri. Nella tipologia junghiana, corrisponde al tipo “pensiero”, facile e pronto al pensiero logico-razionale.
    • Karma Yoga: o Yoga dell’azione. Consiste nel diventare capaci di «agire nel mondo senza essere attaccati a frutti delle azioni», come dice Khrishna ad Arjuna nellaBhagavadgîta; è il servizio altruistico e non egoico a beneficio del mondo e degli altri, perché certe azioni “vanno compiute e basta” senza che il rimuginio ansioso di impedisca di compierle.
    • Kundalini Yoga: è risveglio dell’energia vitale mediante pratiche di respirazione (pranayama).
    • Samadhi Yoga: il culmine dell’estasi, cioè la stasi dei processi psichici e unione con l’Assoluto.

Lo Shri Yantra.
Come spero risulterà chiaro, lo Yoga costituisce una vera e propria enciclopedia del sapere che comprende insegnamenti fisiologici, filosofici, etici, e religiosi; al suo interno ha una mitologia e un'iconografia che non sfigurano al confronto con quella greco-romana e cristiana. È una forma di ginnastica molto efficace, ma anche una psicologia cognitiva ante litteram, ed anche una medicina complementare e preventiva: mens sana in corpore sano, il che significa non solo che bisogna curare la mente tanto quanto il corpo, ma soprattutto che la mente è sana solo se lo è anche il corpo, e viceversa.
Anche se esistono specifiche differenze tra i diversi stadi della disciplina, è impossibile fare un asana senza controllare il respiro (pranayama); se poi si esegue un asana che simboleggia un animale (il gatto, o il serpente) o una divinità (Adity, ecc.), non si può non riflettere sul significato profondo della statua vivente che siamo diventando. Se poi, meditiamo sul respiro, dovremo controllare la mente affinché non si allontani dal suo compito (dharanadhyana); ciò è più facile se pratichiamo una meditazione con oggetto visualizzando un mandala, uno yantra, un’icona (per esempio, quella di Ganesha) o mentre recitiamo un mantra. Qualunque strada percorriamo, quindi, possiamo e dobbiamo arrivare al samadhi.
Scrive giustamente il Maestro Roberto Mattei, fondatore dell’Associazione Garbha Yoga di Roma, nella sua prefazione al volume Voi siete pura coscienza di Swami Chidadanda:

La maggioranza delle persone che si avvicinano allo yoga o ad un grande maestro […] vanno alla ricerca del sensazionale, della guarigione immediata dei loro problemi fisici e psichici; molte di queste persone leggono anche numerosi libri e riviste specializzate, è vero, ma pochissime si applicano regolarmente alla pratica del Pranayama, della concentrazione e meditazione. Forse la maggioranza pratica un po’ di yoga fisico, lasciandosi sfuggire le meraviglie dello Yoga Superiore.

( cortese concessione del Dott: Marco Aversano  e del M° Roberto Mattei )

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