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YOGA








"Respira e sai che sei vivo
Respira e sai che tutto ti aiuta
Respira e sai che pure il fiore respira
Respira per te stesso e respiri per il mondo
Inspira compassione ed espira gioia

Respira e sii uno con l'aria che respiri
Respira e sii uno col fiume che scorre
Respira e sii uno col fuoco che arde
Respira e interrompi il pensiero di nascita e morte
Respira e vedi che l'impermanenza è vita

Respira per la gioia di essere stabile e calmo
Respira per il dolore che scivola via
Respira per rinnovare ogni cellula del tuo sangue
Respira per rinnovare le profondità della coscienza
Respira e prendi dimore nel qui e ora
Respira e ciò che tocchi sarà nuovo e reale"























                        
 ORIGINI DELLO YOGA


      


Le leggende simboliche dei Purana, i libri sacri della cultura shivaita dell’India antica, ci parlano del Dio Shiva come una divinità dai molteplici aspetti. Shiva è il principio della forza centrifuga per mezzo della quale ogni vita, ogni forma, ogni sistema cosmico si dissolve nella infinita immensità del divino.
Tutto ha origine in lui.
“Shiva è la forza di espansione del mondo, è la fonte energetica dell’esistenza, il principio della vita, ma è anche, poiché l’espansione finisce con una totale dispersione, il principio della dissoluzione e della trasformazione”.

 Mount  Kailash

Ritirato in meditazione sulla sua montagna paradisiaca (come gli dei di tutte le religioni), praticando lo yoga per millenni, assumendo le numerose posizioni dello yoga, crea le diverse specie degli animali, degli esseri e i differenti elementi dell'universo (le posizioni infatti hanno tutte nomi di animali o di elementi della natura).
Egli dunque è il dio dello yoga.
Fulmina col suo terzo occhio, l’occhio della chiaroveggenza e del sapere, coloro che disturbano la sua meditazione.

Shiva è il Signore del ritmo e della danza, e come tale dà origine al mondo delle forme; infatti tutto vibra, tutto ha un ritmo nell’universo così come il respiro dell’uomo, il battito del nostro cuore, il giorno e la notte e tante altre cose nella natura.
Il tutto è governato da una forza centripeta di concentrazione chiamata Vishnu, da una forza centrifuga di dispersione chiamata Shiva e da una risultante che dà luogo al movimento circolare degli astri e degli atomi, cioè a dire alla materia, chiamata Brahmà.


La materia quindi è un’illusione, cioè perisce, finisce o, se vogliamo, si trasforma; perciò solo l’energia esiste ed è questa energia che dà origine alla vibrazione, al ritmo, ai movimenti, creando così l’apparenza della materia, degli atomi, dell’universo e anche della percezione dei nostri sensi, della memoria e del pensiero.
Le prime espressioni dell’uomo, le prime comunicazioni sono il gesto, la danza e questo costituisce anche il primo linguaggio. Shiva è dunque all’origine del tempo; è il principio della esistenza e della vita.

Egli è il procreatore e il suo segno è l’organo della procreazione; da qui i simboli fallici delle culture orientali prima e mediterranee poi.
Il grembo femminile, la donna è paragonabile alla possibilità energetica della materia, della Shakti. La madre terra elabora il seme dal quale nasce poi la pianta; così la procreazione nell’uomo e nella donna.

Infatti tutto nell’ordine naturale, nel dominio di Prakriti (la natura), è orientato verso la continuazione e l’evoluzione della vita. La funzione di ogni essere vivente è essenzialmente la procreazione o la creazione di qualcosa di sé, che nel piano della natura è la ragione d’essere di ogni individuo, il quale è sempre e soltanto un elemento di una catena infinita. Infatti l’energia vitale nell’uomo nasce dagli organi della procreazione.

Shiva è quindi il creatore e il procreatore del mondo, ma ne è anche il trasformatore.
La sua apparizione sotto forma umana per insegnare agli uomini i segreti della creazione, il ritmo della vita, i modi di realizzare gli scopi della vita, le tecniche dello yoga, il segreto delle arti, ecc., rappresenta il primo esempio di concezione del Dio incarnato.
Lo yoghi, l’adepto dello yoga, con uno sforzo interiore risalendo fino alle origini della vita, prende controllo di questa energia vitale e diventa padrone del suo destino.

Così secondo l’antica cultura tutto dipende dalle rivelazioni fatte all’uomo dal dio Shiva, che nelle culture susseguenti, soprattutto mediterranee, divenne Dionisio e poi Bacco. Infatti nella tradizione dionisiaca, la ricerca della conoscenza passava attraverso la pratica della danza e lo sviluppo del controllo delle forze fondamentali che negli esseri assicurano la continuità e la trasmissione della vita.
Lo yoga quindi venne rivelato dal dio Shiva all’uomo come il metodo fondamentale per l’autosuperamento di se stessi, per una emancipazione totale dell’uomo sotto tutti gli aspetti.

Poco a poco lo yoghi superando i vari gradi dello yoga, cioè perfezionandosi sempre più, diventa padrone delle sue energie vitali e potrà sfuggire alla schiavitù della materia e dei sensi; e secondo la teoria della reincamazione, sfuggire alla catena delle rinascite e delle morti. Avrà più netta la percezione della natura e del mondo e dell’essere divino, che sono fondamentalmente separate e distinte. Partendo dal principio dell’interdipendenza delle nostre reazioni e del nostro corpo, lo yoghi ritiene che con l’esecuzione delle une agisca sulle altre.

                   L'UOMO DEVE RINNOVARE SE STESSO
             ENTRO L'ETERNITA' DEL PROPRIO ESSERE

Egli arriverà a controllare le sue funzioni vitali, il suo corpo fisico, attraverso la conoscenza delle zone emotive in cui risiedono gli istInti vitali che reggono le funzioni del corpo e del cervello e del suo corpo psichico.Tutto questo sarà possibile appunto solo grazie a questa precisa e complessa disciplina chiamata yoga. 

Il metodo di allenamento si basa essenzialmente sugli organi di contatto che ci collegano tanto al mondo esterno quanto al mondo interiore; in altri termini, i nostri sensi. Tutta l’educazione fisica e mentale perciò comincerà da una “revisione” delle nostre possibilità sensoriali; una specie di presa di coscienza di noi stessi e di concentrazione su di sé.
Il metodo yoga non consiste solamente in una tecnica puramente fisica: è come già accennato uno dei sei sistemi filosofici dell’India e ormai del mondo, è una scienza sempre più approvata e diffusa nel mondo occidentale.

Lo yoga non è considerato una confessione religiosa, cioè per praticarlo non è necessaria l’adesione ad una particolare religione, specialmente indù. Comunque il metodo non va dissociato da tutto quel complesso di carattere educativo che lo rende più completo rispetto alle nostre culture fisiche.

Lo yoga infatti non deve mai essere inteso come un semplice metodo per fare ginnastica, non è una competizione.
Attenersi a questa disciplina, infine, come molti male informati intendono, non significa reprimere i propri istinti o rinunciare alla vita, bensì lo yoghi conquista e controlla il suo corpo con la pratica delle asana e ne fa un veicolo idoneo al proprio spirito. Egli non mortifica nè trascura mai il corpo o la mente, ma li nutre entrambi.

"Senza sperimentare l’amore e la felicità umana non è possibile conoscere l’Amore universale, divino”, dicono i grandi saggi indù.
Il seguace dello yoga non sfugge alle proprie responsabilità morali e sociali: il matrimonio, la paternità o la maternità non sono un ostacolo alla conoscenza della felicità e all’unione con il creato.

Shiva

Uno dei nomi della suprema Realtà onnipervadente, del Sé interiore. Nella sua forma personale è considerato come il signore degli yogi e conosciuto come Guru supremo da cui discende il lignaggio dei Guru (Maestri Illuminati). Rivelò ed espose varie scritture dette Agama, tra cui le scritture dello Shivaismo del Kashmir e i Tantra.

Shakti

L’aspetto femminile manifesto della Coscienza Divina; p otere spirituale; potere cosmico divino che, secondo la filosofia shivaita, crea e preserva l'universo.

Coscienza divina che risiede nell'individuo e non è differente dal Principio Supremo, Shiva.

Yoga
Lo stato di unione con il Sé, Dio; le pratiche e le discipline spirituali che conducono a quello stato.

Shivaismo del Kashmir
Filosofia non dualistica che riconosce l'intero universo come una manifestazione di Chiti, l'Energia Divina Creatrice o Shakti (Energia Cosciente Divina). Lo Shivaismo del Kashmir spiega quindi come il supremo Principio immanifesto si manifesti nell'universo.















                                                                                                                                  




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         LA NASCITA DEL COSMO





Dio creò l’uomo a sua immagine:
 a immagine di Dio lo creò
 maschio e femmina li creò.
Da "Genesi". ( Bibbia - Genesi )


Dalla "Bhagavad Gita" (testo sacro indiano)
 I seguenti versi spiegano le origini della Creazione:

• (IX,1O) attraverso di Me la natura, cui sono preposto, 
 genera l’Universo. Questa è la ragione, figlio di Kunti, per la quale l’Universo esiste.
  
• (XIV,3) Il Supremo Brahma è la Mia matrice, in esso Io depongo il seme, da questo o Bharata si generano tutte le cose. (XIV,4) Quali che siano le forme prodotte da qualsiasi matrice, o Kaunteya, il Supremo Brahma e Io sono il Padre che depone il seme.
  
• (XV,7)  Un eterno frammento di Me, (il Sé individualizzato) divenuto nel mondo dei mortali un anima vivente, attira a se i cinque sensi e la mente, come sesto organo. Essi trovano il loro fondamento in Prakriti, la natura.
  
• (XV,9) Usando l’orecchio, l’occhio, il tatto, il gusto, l’odorato con la facoltà della mente entra in contatto con gli oggetti dei sensi.

L’UNO e soltanto l’Uno esisteva: Brahman. I Veda Lo chiamano Parmanu, che la scienza identifica ora come atomo. E dall’Uno sorse l’Amore. Amore, il primo seme dell’anima: il desiderio dell’Uno verso i molti. La Sapienza trovò il legame di unione tra l’essere e il non essere.

 Dall’Uno emersero tre attributi energetici:

 SATTVA , (la Jnana Shakti) l’energia della saggezza, simboleggiata da Brahmà: il Creatore, che la fisica moderna chiama neutrone;

 RAJAS, (la Karya Shakti) simboleggiata da Vishnu: il Sostenitore, che la scienza chiama protone;
 TAMAS, (la Dravya Shakti) rappresentata da Maheswara, Shiva: il Trasformatore, colui che annienta ogni illusione. La fisica moderna lo chiama elettrone.

 Queste energie si impegnarono nella gigantesca Danza Cosmica e il Nada Brahma venne in essere: la fonte del Suono. Dal Nada Brahma sorse lo Shabda Brahma: OM. OM, il Suono Primordiale; il suono di Brahman, il Creatore.



Il ritmo della gigantesca Danza divenne sempre più violento e anche il suono. L’Universo riecheggiò della risonanza dell’OM, causando quella violenta esplosione primordiale, che la scienza chiama “Big Bang”, paragonabile all’esplosione di un milione di bombe atomiche.
 La fisica moderna ha ora compreso che questa vibrazione, manifestata come suono primordiale, non è influenzabile né dal tempo, né dallo spazio ed è all’origine dell’Universo.



Dall’esplosione vennero prodotti i Varnas, aspetti diversificati dell’energia: Shakti, l’energia. Nada, il suono. Mahamaya, la reazione e Vyoma, l’etere. Queste, secondo la scienza moderna, sono paragonabili alla Forza Nucleare Forte per la Shakti, alla Forza Elettromagnetica per Nada, alla Forza Nucleare Debole per Mahamaya alla Forza Gravitazionale per Vyoma. Da Brahman, da queste energie scaturì l’intero Universo: 

 I pianeti, la luna, le stelle, le galassie come un unico armonico insieme. Una dinamica ragnatela cosmica che cresce e cambia continuamente. Dopo 5.000 anni anche la fisica moderna riconosce che : l’Universo è una dinamica struttura di eventi interrelati tra loro, nessuno dei suoi componenti è fondamentale, è viva, cresce e si trasforma incessantemente.

 Tra miliardi e miliardi di galassie che nacquero venne in esistenza la galassia chiamata “Via Lattea”, con una piccola stella gialla in grembo: il Sole. Accadde che proprio tra una di queste, tra 4 miliardi di stelle della Via Lattea, nascesse il Sole. Ciò fu provocato dall’esplosione di una stella in movimento in quello spazio. L’effetto d’urto causato dall’enorme deflagrazione, provocò la formazione del Sole. Ma una piccola quantità di materia stellare si addensò formando degli anelli attorno al Sole e da questa si formarono i pianeti, si formò il Sistema Solare.



 Il pianeta Terra vi è perfettamente collocato per consentire la nascita della vita.
 Il risultato del primordiale desiderio “dell’Uno di essere i molti”, furono i Pahchabhuta, i 5 elementi: Akasha, Prana, Agni, Apaha, Prithwi. La scienza li definisce: Etere per Akasha, Aria per Prana, Fuoco per Agni, Acqua per Apaha, Terra per Prithwi. Da questi elementi attraverso una miriade di primitive forme di vita nacque un moderno uomo pensante con una sua Verità interiore: l’ATMAN .

 Dalla Verità dell’Universo: il Brahman, è chiara l’evidenza scientifica che afferma come ogni singolo atomo del corpo umano, della Terra e del Sole sia nato dalla stessa Essenza. Un’unica Famiglia: il Sole è il padre, la Terra è la madre e i figli sono l’intera umanità. L’Uno pervade tutti gli esseri. 

                                    Tutto ciò che nasce è l’Uno.

                                       Nataraja - La Danza Cosmica di Shiva



La Danza Cosmica di Shiva, che rappresenta la danza dell’elettrone, continua a sostenere il ritmo perpetuo dell’Universo. Il flusso incessante dell’energia pervade un innumerevole varietà di modelli che si fondono tutti nell’Uno: Brahman. Il Supremo Tutto, senza principio, oltre ciò che è e ciò che non è.

Il mezzo attraverso il quale lo Spazio Universale (Akasha) può essere conosciuto è il Suono della parola. All'inizio c’era il Verbo. Il Verbo divenne oggetto, si è incarnato, concretizzato.

 Ecco perché noi parliamo dell’oggetto come di “pada-artha” dove “pada” vuoi dire parola e “artha” vuol dire scopo. L’oggetto è lo Scopo per il quale la parola è stata pronunciata, è il significato che dà valore alla parola. La parola “Dio” è anch’essa l’indicazione che vi è “pada-artha” che la parola ha uno scopo, ossia che Dio esiste. Se Dio non ci fosse, la parola ‘Dio’ non sarebbe mai nata ne’ sarebbe di uso comune. Tu puoi vedere o non vedere Dio, ma la parola stessa è la prova della Sua esistenza. ( Sai Baba )


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                                           S H I V A 


















                             

                                  SHIVA :  Il distruttore

Uno degli epiteti di Shiva più diffusi è Hara, che letteralmente significa "Colui che porta via", "Colui che distrugge". Il suo aspetto distruttivo è da ricercarsi nelle origini dell'Induismo, negli inni vedici più antichi, in cui veniva chiamato Rudra ed era dipinto come una deità terrifica e potente, a cui venivano offerti numerosi tipi di Yajña (riti sacrificali).


La Trimurti, detta anche erroneamente Trinità indù. Da sinistra a destra: Brahma, Shiva, Vishnu. Tempio di Hoysalesvara, Halebid.
Con la diffusione del concetto di Trimurti, la figura di Shiva divenne indissolubilmente legata e identificata principalmente con il suo aspetto dissolutivo e rinnovatore (senza tuttavia dimenticarne o trascurarne gli altri aspetti). Nella Trimurti, Shiva rappresenta la forza che riassorbe i mondi e gli esseri nel Brahman immanifesto; è l'aspetto divino che conclude i cicli duali di vita-morte, per consentire a Brahma (aspetto creativo) di iniziarne degli altri; è il Signore che distrugge la separatività tra l'anima individuale (jivatma) e l'Anima suprema (Paramatma). Questo evidenzia come l'appellativo di "distruttore" non sia affatto da intendersi come aspetto negativo, in quanto l'azione distruttrice si esplica in realtà contro le forze del male (Shiva è distruttore dell'ignoranza e del velo di Maya, l'illusione metafisica che tiene separato l'individuale dall'Universale), oppure considerando ogni creazione come un aspetto che nasce da una precedente distruzione.


Poiché la Trimurti rappresenta anche i tre Guna (le influenze della natura materiale), come terza Persona della Trinità ed in virtù del suo appellativo di Distruttore, Shiva è anche considerato l'aspetto divino preposto al controllo del Tamas, ovvero qualità come passività, inerzia, pigrizia, ignoranza.
Sebbene sia definito "il distruttore", o piuttosto "colui che ricrea", Shiva (come si vedrà nella prossima sezione) è considerato - insieme a Vishnu - uno dei Deva più benevoli.
                                            Il beneaugurale

In netta contrapposizione con il suo aspetto "distruttivo", Shiva è considerato una delle deità più benefiche e potenti tra tutti i Deva del pantheon induista. Come si è visto nei cenni storici, lo stesso nome Shiva letteralmente significa "il buono", "il generoso"; mentre altri due epiteti con cui è spessissimo invocato, ovvero Śankara e Śambhu, significano "benefico" o "beneaugurale". Un altro dei suoi nomi è Ashutosh, il che signfica colui che trova piacere dalle piccole offerte, oppure colui che da molto in cambio di piccole offerte.
Numerosissimi sono gli aneddoti mitologici che evidenziano la magnanimità di Shiva, aspetto non meno noto e importante di quello distruttivo e rinnovatore. Rappresenta il Dio amico e generoso, sempre pronto a fornire sostegno e aiuto di qualsiasi natura ai Suoi devoti, soprattutto nei momenti di maggiore difficoltà; il Dio personale, onnipotente e sempre disponibile, pronto ad intervenire in ogni momento; l'Universale, che per amore accorre in aiuto all'individuale; l'Amato perfetto, che non ha desideri se non la felicità dei devoti.
Questa è anche una delle ragioni che spiegano l'enorme diffusione del culto di Shiva: egli concorre a tutti gli aspetti della vita dell'aspirante spirituale, qualunque sia il suo percorso, aiutandolo e supportandolo sia sul piano fisico sia su quello sottile e causale.
                                         Shiva - Shakti

La consorte di Shiva è Parvati, una forma di Devi, l'aspetto femminile e materno di Dio che si manifesta in aspetti differenti. In pratica, se Shiva rappresenta l'aspetto personale di Dio (Īśvara), immanifesto e trascendentale, Parvati è l'energia divina (detta anche Shakti) che da lui scaturisce, generando gli universi materiali e determinandone la trasformazione.
In termini metafisici, Shiva può considerarsi la causa materiale ed efficiente della creazione, la quale è strettamente correlata a prakrti (la natura materiale, che è la stessa Shakti) che è la causa efficiente secondaria. Ciò può essere paragonato alla relazione che esiste tra un vasaio e la sua argilla: il vasaio e l'argilla sono entrambi purusha, ma l'energia del vasaio che modella la creta, la sua azione, è prakrti. Purusha e prakriti, Spirito e Natura, Shiva e Shakti, maschile e femminile, sono inseparabili poiché entrambi sono necessari al gioco duale della manifestazione.


Immagine raffigurante Shiva unito a Parvati, nella sua forma ermafrodita, chiamato Ardhanariśvara.
Tuttavia, Shiva non è visto soltanto come l'uomo cosmico contrapposto alla sua parte femminile; una visione più universale e metafisica vuole che la natura di Shiva sia così profonda e ancestrale da racchiudere in sé al tempo stesso l'aspetto divino maschile e quello divino femminile. Quando questo concetto viene rappresentato nell'arte sacra, Shiva assume le sembianze di un essere ermafrodita, per metà Shiva e per metà Shakti, e viene chiamato Ardhanariśvara


Il significato simbolico è quello della complementarità (e, quindi, della sostanziale unità) dei due opposti, un concetto molto simile a quello di Yin e Yang della filosofia taoista: spirito e materia, intelligenza ed energia, conoscenza ed azione, staticità e dinamismo, sono due metà perfette e complementari di un Tutto cosmico, la Creazione stessa, rappresentato appunto da Shiva nella sua forma androgina.
Una riprova di questa complementarità consiste nel paragonare il modo in cui Shiva e Parvati sono raffigurati: il primo è un eremita, trasandato, con i capelli arruffati ed il corpo cosparso di cenere, vestito con pelli di animali; la consorte invece indossa abiti raffinati, è delicata e adornata con gioielli di ogni tipo. Essi si fanno simboli rispettivamente della rinuncia e dell'abbondanza, dell'abbandono del mondo e della prosperità, della povertà e della ricchezza: gli opposti rappresentano l'onnipervadenza divina, che proprio in virtù della sua immanenza può manifestarsi in qualunque forma, maschile, femminile o androgina.

Shiva rappresenta l'immanifesto, Shakti il manifesto; Shiva la staticità, Shakti il dinamismo; Shiva il senza forma, Shakti la forma; Shiva la coscienza, Shakti l'energia. La radice di Shakti è in Shiva: l'uno è il principio dell'immutabilità, l'altra del cambiamento; Shakti è cambiamento interno all'immutabilità, mentre Shiva è il substrato immutabile che costituisce la base del cambiamento, la sua radice.

L'esperienza di unità integrale tra l'immutabile e il mutevole rappresenta la dissoluzione della dualità. In questo senso si può affermare che Shiva e Shakti concorrano alla medesima realtà, che siano la medesima realtà, e che quindi la forma ultima di Shiva (nonostante egli sia usualmente ritratto con sembianze maschili) sia di tipo femminile e maschile al tempo stesso, ovvero li comprenda trascendendoli entrambi.
                               Il più grande tra gli asceti



Shiva viene spesso rappresentato nel suo aspetto ascetico.
Shiva è il Signore di tutti gli yogi (i praticanti dello Yoga), l'asceta perfetto, simbolo del dominio sui sensi e sulla mente, eternamente immerso nella beatitudine (Ananda) e nel Samadhi. È il signore dell'elevazione che dona ai devoti penitenti la forza necessaria per perseverare nella propria disciplina spirituale (sadhana), e/o nel proprio percorso ascetico; è il protettore degli eremiti, degli asceti, degli yogi solitari, dei Sadhu, di tutti quegli aspiranti spirituali che - con lo scopo di indagare sulla Verità e conseguire così la liberazione, o Moksha - hanno scelto come stile di vita la rinuncia all'individualità, al mondo, alla sua ricchezza e ai suoi piaceri.


In questa forma prende i nomi di Yogiṡvara ("Signore degli Yogi"), Sadaṡiva ("Shiva l'eterno") e Paraṡiva ("Shiva supremo"), poiché essa è da molti considerata la sua forma ultima. Numerose raffigurazioni lo ritraggono in questo particolare aspetto: perfettamente calmo e concentrato, raccolto in sé stesso e immerso nella meditazione (Dhyana), gli occhi chiusi per metà[2], con la schiena eretta, seduto nella posizione del loto, in eterna estasi e contemplazione della Realtà ultima.
Shiva Yogiṡvara è dunque per eccellenza il Deva della meditazione e dell'ascesi mistica, perfetto, eternamente immobile, eternamente beato, eternamente cosciente di sé, il simbolo stesso della trascendenza e dell'Assoluto. Questo è sicuramente uno degli aspetti che hanno reso Shiva una delle icone più popolari, diffuse e adorate all'interno dell'Induismo.
                                  Il Signore della Danza






Una statuetta di Shiva nella sua forma di danzatore cosmico.


« La materia, la vita, il pensiero non sono che relazioni energetiche, ritmo, movimento e attrazione reciproca. Il principio che da origine ai mondi, alle varie forme dell'essere, può dunque essere concepito come un principio armonico e ritmico, simboleggiato dal ritmo dei tamburi, dai movimenti della danza. In quanto principio creatore, Shiva non profferisce il mondo, lo danza. »


Shiva è anche chiamato Nataraja, il Signore della Danza, la cui danza cosmica, detta Tandava, è ciò tramite cui l'universo viene manifestato, preservato e infine riassorbito. Essa è simbolo dell'eterno mutamento della natura, dell'universo manifesto, che attraverso una danza scatenata Shiva equilibra con armonia, determinando la nascita, il moto e la morte di un numero infinito di corpi celesti.
Il luogo in cui questa danza si compie viene chiamato Chidambaram: contemplando macrocosmo e microcosmo come un'unica realtà, il centro della danza universale di Shiva viene definito essere il cuore (fisico e spirituale) dell'uomo. In questo senso il suono dei tamburi (simbolo dell'Aum, quindi della creazione), che Shiva produce ballando, viene identificato con il battito del cuore, che determina la vita. In questa visione monista, l'identificazione tra macrocosmo e microcosmo evidenzia la medesima natura dell'individuale e dell'Universale.
Nei bhajan shivaiti più energici, ricorrono spesso alcune parole sanscrite che non sono letteralmente traducibili in altre lingue, come ad esempio Dhim / DhimmiDam / DammaDhimmitaDhimmitaka. Queste parole non hanno un significato letterale preciso, ma sono più propriamente delle onomatopee, che rappresentano il suono dei tamburi (damaru) e delle cavigliere che si odono quando Shiva esegue l'eterna e incessante danza Tandava.
                                     Shivalingam



Lingam, simbolo di Shiva, all'interno di yoni, simbolo di Shakti.
Il Lingam (sanscrito लिङ्गं, letteralmente "marchio" o "segno"), talvolta chiamato Linga, consiste in un oggetto (che può essere di vari tipi di materiale) dalla forma ovale, simbolo fallico considerato una forma di Shiva. L'utilizzo di questo simbolo come oggetto di adorazione è una tradizione senza tempo in India.
Gli studiosi fanno risalire l'origine del Lingam all'antica civiltà della valle dell'Indo. Secondo i Purāṇa la sua più grande virtù è la sua semplicità, che si pone a metà tra la venerazione delle murti e la loro assenza - né forma né senza forma, come una colonna di fiamme[3].
In termini metafisici, rappresenta la forma dell'Assoluto trascendente senza principio né fine, oppure la forma del relativo formale che si fonde con l'Assoluto senza forma, o Brahman. Sono state proposte varie interpretazioni sull'origine e sul simbolismo dello Shiva Lingam. Mentre Tantra e Purāṇa lo descrivono come un simbolo fallico rappresentante l'aspetto rigenerativo dell'universo materiale, Agama e Shastra non sembrano condividere questa interpretazione, e i Veda non ne fanno menzione.


Un devoto di Shiva esegue la Puja al Lingam, che ne è il simbolo.
Frequente è, invece, la presenza del Lingam nelle Itihasa, i grandi poemi epici induisti: ad esempio, nel Mahābhārata, il grande guerriero Arjuna venerava il Lingam per ottenere Gandhiva, il potente arco di Shiva; nel Rāmāyaṇa, il re Rāvaṇa (grande studioso dei Veda) venerava Shiva e gli chiese l'Atmalinga per farne dono alla madre; il leggendario Markandeya e innumerevoli altri rishi sparsi in tutte le regioni hanno venerato il Lingam dall'aspetto più semplice. I rishi infatti erano soliti abbandonare ogni materialismo per ottenere la spiritualità, e un pugno di terra nella foresta era tutto ciò di cui necessitavano per meditare e venerare la divinità.
La somiglianza metrica delle formule indo-arie di invocazione legate al lingam con il metro greco itifallico delle processioni legate al dio Priapo, ha indotto lo studioso Calvert Watkins a pensare che il culto della potenza maschile fertilizzante sotto forma di fallo fosse comune a più popoli indoeuropei ancora prima che i greci e gli indo-iranici si separassero come tribù dall'identità definita.
                                     Aneddoti mitologici
Nella vastissima letteratura sacra induista, Shiva è protagonista di numerosi aneddoti che spesso lo ritraggono nei differenti aspetti - talora opposti - sopra descritti.
                                       Shiva e Ganesha
Per approfondire, vedi la voce Ganesha.
Shiva e Parvati sono i genitori di Karttikeya e di Ganesha, il saggio Dio dalla testa di elefante. Molti aneddoti narrano il ruolo di Shiva nell'origine di questa particolare caratteristica.
                                   Shiva, padre furibondo
La storia più conosciuta è probabilmente quella tratta dallo Shiva Purana: una volta Parvati volle fare un bagno nell'olio, per cui creò un ragazzo dalla farina di grano di cui si era cosparsa il corpo e gli chiese di fare la guardia davanti alla porta di casa, raccomandando di non far entrare in casa nessuno. In quel frangente, Shiva tornò a casa e, trovando sulla porta uno sconosciuto che gli impediva l'ingresso, si arrabbiò e lo decapitò con il suo tridente. Parvati ne fu molto addolorata e Shiva, per consolarla, inviò le proprie schiere celesti (Gana) a trovare e prendere la testa della prima creatura che avessero trovata addormentata con il capo rivolto a nord. Questi trovarono un elefante che dormiva in tal modo, e ne presero la testa; Shiva la attaccò al corpo del ragazzo, lo resuscitò e lo chiamò Ganapati, o capo delle schiere celesti, concedendogli che chiunque lo adorasse prima di iniziare qualsiasi attività.
                               La generosità di Shiva

Un'altra leggenda riguardante l'origine di Ganesha narra che, una volta, ci fosse un Asura (demone) dalle sembianze di elefante chiamato Gajasura, il quale eseguì una penitenza (o tāpas); Shiva, soddisfatto di questa austerità, decise di concedergli in dono qualsiasi cosa desiderasse. Il demone voleva che dal suo corpo si emanasse continuamente del fuoco, in modo che nessuno osasse avvicinarlo; il Signore glielo concesse. Gajasura proseguì la sua penitenza e Shiva, che gli appariva davanti di tanto in tanto, gli chiese nuovamente che cosa desiderasse; il demone rispose: “Io desidero che Tu risieda nel mio stomaco”.
Shiva esaudì la richiesta e vi prese dimora. Infatti, Shiva è anche conosciuto come Bhola Shankara, poiché una deità facile da propiziare; quando è soddisfatto di un devoto gli concede qualunque cosa chieda, e questo a volte genera situazioni particolarmente intricate. Fu così che Parvati, sua moglie, lo cercò ovunque senza risultato; come ultima risorsa si recò dal proprio fratello Vishnu, chiedendogli di trovare suo marito. Egli, che conosce tutto, la rassicurò: “Non preoccuparti, cara sorella, tuo marito è Bhola Shankara e concede prontamente qualunque grazia il Suo devoto Gli chieda, senza prenderne in considerazione le conseguenze; per cui penso che si sia cacciato in qualche guaio. Scoprirò cosa è accaduto”.
Allora Vishnu, l'onnisciente regista del gioco cosmico, inscenò una piccola commedia: tramutò Nandi (il toro di Shiva) in un toro danzatore e lo condusse al cospetto di Gajasura, assumendo nel contempo le sembianze di un suonatore di flauto. L'incantevole esecuzione del toro mandò in estasi il demone, il quale chiese al suonatore di flauto di esprimere un desiderio; il Vishnu musicante allora rispose: “Puoi darmi quello che ti chiedo?” Gajasura replicò: “Per chi mi hai preso? Io posso darti subito qualunque cosa tu chieda”. Il suonatore quindi disse: “Se è così, libera dunque dal tuo stomaco Shiva che vi si trova”. Gajasura capì allora come questi non fosse altri che Vishnu stesso, l'unico che potesse conoscere quel segreto, così si gettò ai suoi piedi e, liberato Shiva, Gli chiese un ultimo dono: “Io sono stato benedetto da Te con molti doni; la mia ultima richiesta è che tutti mi ricordino adorando la mia testa quando sarò morto”. Shiva condusse allora lì il proprio figlio, la cui testa venne sostituita con quella di Gajasura. Da allora, in India è viva la tradizione per cui qualunque iniziativa, per essere prospera, deve cominciare con l'adorazione di Ganesha; questo è il risultato del dono di Shiva a Gajasura.

( cortese concessione del M° Roberto Mattei )

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  UN SAPIENTE ELEFANTINO : GANESHA


















                             G A N E S H A
Formato dalle parole sanscrite gana e isha (signore), Ganesha significa letteralmente "Signore dei gana" dove gana può essere interpretato come "moltitudine", facendo assumere al nome il significato di "Signore di tutti gli esseri", ma con gana nella tradizione induista si possono intendere anche dei piccoli demoni deformi che corteggiano Shiva.
Ganesha viene a volte chiamato anche Vighnesvara, "Signore degli ostacoli", e Vinayaka, "colui che rimuove".

                                Simbologia 


Come per ogni altra forma con la quale l'Induismo rappresenta Dio, inteso come l'aspetto personale di Brahman (detto anche Īśvara, il Signore), anche la figura di Ganesha è un archetipo carico di molteplici significati e simbolismi che esprimono uno stato di perfezione, e il modo per raggiungerla; Ganesha è infatti il simbolo di colui che ha scoperto la Divinità in sé stesso.
Egli rappresenta il perfetto equilibrio tra energia maschile (Shiva) e femminile (Shakti), ovvero tra forza e dolcezza, tra potenza e bellezza; simboleggia inoltre la capacità discriminativa che permette di distinguere la verità dall'illusione, il reale dall'irreale.
Una descrizione di tutte le caratteristiche e gli attributi di Ganesha si può trovare nella Ganapati Upaniad (una Upaniad dedicata a Ganesha) del rishi Atharva, nella quale Ganesha è identificato con il Brahman e con Ātman. In questo inno, inoltre, è contenuto uno dei mantra più famosi associati a questa divinità: Om Gam Ganapataye Namah (lett. Mi arrendo a Te, Signore di tutti gli esseri).


                   Il Signore del Buon Auspicio 


In termini generali, Ganesha è una divinità molto amata ed invocata, poiché è il Signore del buon auspicio che dona prosperità e fortuna, il Distruttore degli ostacoli di ordine materiale o spirituale; per questa ragione se ne invoca la grazia prima di iniziare una qualunque attività, come ad esempio un viaggio, un esame, un colloquio di lavoro, un affare, una cerimonia, o un qualsiasi evento importante. Per questo motivo è tradizione che tutte le sessioni di bhajan (canti devozionali) comincino con una invocazione a Ganesha, Signore del "buon inizio" dei canti.
È inoltre associato con il primo chakra, che rappresenta l'istinto di conservazione e sopravvivenza, la procreazione ed il benessere materiale.
                          Attributi corporei

Piccola statua di Ganesha in legno di Sandalo
Ogni elemento del corpo di Ganesha ha una sua valenza ed un suo proprio significato:
      la testa d'elefante indica fedeltà, intelligenza e potere discriminante;
      il fatto che abbia una sola zanna (e l'altra spezzata) indica la capacità di superare ogni dualismo;
      le larghe orecchie denotano saggezza, capacità di ascolto e di riflessione sulle verità spirituali;
      la proboscide ricurva sta ad indicare le potenzialità intellettive, che si manifestano nella facoltà di discriminazione tra reale ed irreale;
      sulla fronte ha raffigurato il Tridente (simbolo di Shiva), che simboleggia il Tempo (passatopresente e futuro) ne attribuisce a Ganesha la padronanza;
      il ventre obeso è tale poiché contiene infiniti universi, rappresenta inoltre l'equanimità, la capacità di assimilare qualsiasi esperienza con sereno distacco, senza scomporsi minimamente;
      la gamba che poggia a terra e quella sollevata indicano l'atteggiamento che si dovrebbe assumere partecipando alla realtà materiale e a quella spirituale, ovvero la capacità di vivere nel mondo senza essere del mondo;
      le quattro braccia di Ganesha rappresentano i quattro attributi interiori del corpo sottile, ovvero: menteintellettoegocoscienza condizionata;
                        in una mano brandisce un'ascia, simbolo della recisione di tutti i desideri, apportatori di sofferenza;
                        nella seconda mano stringe un lazo, simbolo della forza che lega il devoto all'eterna beatitudine del Sé;
                        la terza mano, rivolta al devoto, è in un atto di benedizione (abhaya);
                        la quarta mano tiene un fiore di loto (padma), che simboleggia la più alta meta dell'evoluzione umana.

                       La zanna spezzata 

La zanna spezzata di Ganesha, come si è visto, indica principalmente la capacità di superare o "spezzare" la dualità; tuttavia, questo è un simbolo che può assumere vari significati.

« Un elefante ha, di norma, due zanne. Anche la mente propone spesso due alternative: quella buona e quella cattiva, l'eccellente e l'espediente, il fatto e la fantasia che la porta fuori strada. Per fare qualsiasi cosa, la mente deve comunque diventare determinata. La testa di elefante del Signore Ganesha ha quindi una sola zanna per cui Egli è chiamato "Ekadantha", che significa "Colui che ha una sola zanna", per ricordare ad ognuno che si deve possedere la determinazione mentale. »

Ci sono vari aneddoti che spiegano l'origine di questo particolare attributo (v. paragrafo Come si ruppe la zanna di Ganesha?).
                          Ganesha e il Topo 

La cavalcatura di Ganesha è un piccolo topo (Mushika o Akhu), che rappresenta l'ego, la mente con tutti i suoi desideri, la bramosia dell'individuo; Ganesha, cavalcando il topo, diviene padrone (e non schiavo) di queste tendenze, indicando il potere che l'intelletto e la discriminazione hanno sulla mente. Inoltre il topo (per natura estremamente vorace), viene spesso raffigurato a fianco di un piatto di dolci, con lo sguardo rivolto a Ganesha mentre tiene un boccone stretto tra le zampe, come in attesa di un suo ordine; rappresenta la mente che è stata completamente assoggettata alla facoltà superiore dell'intelletto, la mente sottoposta ad un ferreo controllo, che fissa Ganesha e non si accosta al cibo se non ne riceve il permesso.
                            Sposato o celibe ? 


È interessante notare come, secondo la tradizione, Ganesha sia stato generato dalla Madre Parvati senza l'intervento del marito Śiva; infatti Śiva, essendo eterno (Sadashiva), non sentiva alcuna necessità di avere figli. Così Ganesha nacque dall'esclusivo desiderio femminile di Parvati di creare. Di conseguenza, la relazione di Ganesha con la propria madre è unica e speciale.
Questa devozione è la ragione per la quale la tradizione dell'India del sud lo rappresenta come celibe (v. l'aneddoto Devozione alla Madre). Si dice che Ganesha, ritenendo sua madre Parvati la donna più bella e perfetta dell'universo, abbia esclamato: "Portatemi una donna bella come lei ed io la sposerò".
Nell'India del nord, invece, Ganesha è spesso raffigurato sposato alle due figlie di BrahmaBuddhi (intelletto) e Siddhi (potere spirituale). In altre raffigurazioni le sue consorti sono Sarasvathi (dea della cultura e dell'arte) e Lakshmi (dea della fortuna e della prosperità), a simboleggiare che queste qualità accompagnano sempre colui che ha scoperto la propria Divinità interiore.
                      Aneddoti mitologici
           Come ottenne una testa di elefante? 

L'articolata mitologia induista presenta tante storie che spiegano in che modo Ganesha ottenne una testa di elefante; spesso l'origine di questo particolare attributo si trova negli stessi aneddoti che riguardano la sua nascita.
Nelle storie in questione, inoltre, si raccontano anche varie ragioni che rivelano l'origine dell'enorme popolarità del suo culto.
                 Decapitato e rianimato da Shiva 
La storia più conosciuta è probabilmente quella tratta dallo Śiva Purana: una volta Madre Parvati volle fare un bagno nell'olio, per cui creò un ragazzo dalla farina di grano di cui si era cosparsa il corpo e gli chiese di fare la guardia davanti alla porta di casa, raccomandando di non far entrare in casa nessuno. In quel frangente Śiva tornò a casa e, trovando sulla porta uno sconosciuto che gli impediva di entrare, si arrabbiò e lo decapitò con il suo tridente. Parvati ne fu molto addolorata e Śiva, per consolarla, inviò le proprie schiere celesti (Gana) a trovare e prendere la testa di qualsiasi creatura avessero trovata addormentata con il capo rivolto a nord. Essi trovarono un elefante che dormiva in tal modo, e ne presero la testa; Shiva la attaccò al corpo del ragazzo, lo resuscitò e lo chiamò Ganapathi, o capo delle schiere celesti, concedendogli che chiunque lo adorasse prima di iniziare qualsiasi attività.
                                Shiva e Gajasura 


Un'altra leggenda riguardante l'origine di Ganesha narra che, una volta, ci fosse un Asura (demone) dalle sembianze di elefante chiamato Gajasura, il quale eseguì una penitenza (o tāpas); Shiva, soddisfatto di questa austerità, decise di concedergli in dono qualsiasi cosa desiderasse. Il demone voleva che dal suo corpo si emanasse continuamente del fuoco, in modo che nessuno osasse avvicinarlo; il Signore glielo concesse. Gajasura proseguì la sua penitenza e Shiva, che gli appariva davanti di tanto in tanto, gli chiese nuovamente che cosa desiderasse; il demone rispose: "Io desidero che Tu risieda nel mio stomaco".
Shiva esaudì la richiesta e vi prese dimora. Infatti, Śiva è anche conosciuto come Bhola Shankara, poiché è una divinità facile da propiziare; quando è soddisfatto di un devoto gli concede qualunque cosa chieda, e questo a volte genera situazioni particolarmente intricate. Fu così che Parvati, sua moglie, lo cercò ovunque senza risultato; come ultima risorsa si recò dal proprio fratello Viṣṇu, chiedendogli di trovare suo marito. Egli, che conosce tutto, la rassicurò: "Non preoccuparti, cara sorella, tuo marito è Bhola Shankara e concede prontamente qualunque grazia il Suo devoto Gli chieda, senza prenderne in considerazione le conseguenze; per cui penso che si sia cacciato in qualche guaio. Scoprirò cosa è accaduto".
Allora Viṣṇu, l'onnisciente regista del gioco cosmico, inscenò una piccola commedia: tramutò Nandi (il toro di Śiva) in un toro danzatore e lo condusse al cospetto di Gajasura, assumendo nel contempo le sembianze di un suonatore di flauto. L'incantevole esecuzione del toro mandò in estasi il demone, il quale chiese al suonatore di flauto di esprimere un desiderio; il Viṣṇu musicante allora rispose: "Puoi darmi quello che ti chiedo?" Gajasura replicò: "Per chi mi hai preso? Io posso darti subito qualunque cosa tu chieda". Il suonatore quindi disse: "Se è così, libera dunque dal tuo stomaco Śiva che vi si trova". Gajasura capì allora come questi non fosse altri che Viṣṇu Stesso, l'unico che potesse conoscere quel segreto, così si gettò ai suoi piedi e, liberato Śiva, Gli chiese un ultimo dono: "Io sono stato benedetto da Te con molti doni; la mia ultima richiesta è che tutti mi ricordino adorando la mia testa quando sarò morto"Śiva condusse allora lì il proprio figlio, la cui testa venne sostituita con quella di Gajasura. Da allora, in India è viva la tradizione per cui qualunque iniziativa, per essere prospera, deve cominciare con l'adorazione di Ganesha; questo è il risultato del dono di Śiva a Gajasura.
                           Lo sguardo di Shani 


Una storia poco celebre riguardante le origini di Ganesha si trova nel Brahma Vaivarta PuranaŚiva chiese a Parvati, la quale desiderava avere un figlio, di compiere un particolare sacrificio (punyaka vrata) per un anno, in modo da appagare Viṣṇu.
Dopo il completamento del sacrificio, il Signore Krishna promise a Parvati di incarnarsi come suo figlio, all'inizio di ogni kalpa o era cosmica. Così Krishna nacque come un bellissimo bambino, con grande gioia di Parvati che volle celebrare la miracolosa nascita. Tutti gli dèi e le dee si riunirono per gioire della nascita. Shani, figlio di Surya (il deva del sole), era presente ma si rifiutò di guardare il neonato; disturbata dal suo comportamento, Parvati gliene chiese la ragione, e Shani rispose che se avesse guardato il bambino lo avrebbe ferito. In seguito all'insistenza di Parvati, Shani volse lo sguardo e, non appena i suoi occhi si posarono sul neonato, la sua testa fu tagliata all'istante. Tutte le deità presenti si disperarono, per cui Viṣṇu si precipitò sulle rive del fiume Pushpabhadra e tornò con la testa di un giovane elefante, e la unì al corpo del bambino infondendogli nuova vita. Viṣṇu benedì il bambino, promettendogli che egli sarebbe stato adorato prima di qualunque altra deità, e che sarebbe stato il migliore tra gli yogi; allo stesso modo Śiva lo pose a capo delle sue truppe e lo benedì, affermando che qualsiasi ostacolo, di qualsiasi entità, sarebbe stato superato pregando Ganesha.
            Come si ruppe la zanna di Ganesha ? 
Ci sono vari aneddoti che spiegano come Ganesha si spezzò una zanna.
                                 Ganesha scriba 

La prima parte del poema epico del Mahābhārata dichiara che il saggio Vyāsa chiese a Ganesha di trascrivere il poema sotto la sua dettatura; Ganesha acconsentì, ma solo alla condizione che Vyāsa avrebbe dovuto recitare il poema ininterrottamente, senza alcuna pausa. Il saggio, allora, pose a propria volta una ulteriore condizione: Ganesha avrebbe non solo dovuto scrivere, ma comprendere tutto ciò che udiva ancor prima di scriverlo. In questo modo Vyāsa avrebbe potuto riprendersi un poco dal suo continuo parlare, semplicemente recitando un verso difficile da capire. La dettatura cominciò, ma nella foga della scrittura il pennino di Ganesha si ruppe, così egli si spezzò una zanna e la usò come penna affinché la trascrizione potesse andare avanti senza interruzioni, così da permettergli di mantenere la parola data.
                      Ganesha e Parashurama 

Un giorno Parashurama, un avatar di Viṣṇu, si recò a fare visita a Śiva, ma lungo la strada fu bloccato da Ganesha. Parashurama si scagliò contro di lui con la sua ascia, e Ganesha (sapendo che quell'ascia gli era stata donata da Shiva) acconsentì a farsi colpire, perdendo così una zanna che fu tagliata.
                             Ganesha e la Luna 

Ganesha mentre cavalca il topo. Si notino i fiori offerti dai devoti. Scultura del tempio Vaidyeshvara a TalakkaduKarnataka (India).
Si racconta che un giorno Ganesha, dopo aver ricevuto da moltissimi adoratori una gran quantità di dolci (Modak), per digerire meglio quell'impressionante mole di cibo, decise di fare una passeggiata; salì sul topo che utilizza come veicolo e partì. Era una notte magnifica e la Luna splendeva. All'improvviso spuntò un serpente che spaventò a morte il topo, il quale sussultando fece cadere il suo cavaliere. Il grosso stomaco di Ganesha venne schiacciato e, troppo pieno, scoppiò; tutti i dolci che aveva mangiato si sparsero attorno a lui. Tuttavia, egli era troppo intelligente per prendersela a causa di questo incidente, per cui senza perdere tempo in inutili lamentele, si preoccupò soltanto di risolvere al meglio la situazione: prese il serpente che aveva causato l'incidente e lo utilizzò come cintura per tenere chiuso il suo addome e bendare la ferita; e, soddisfatto, salì nuovamente sul topo e riprese il suo giro. Chandra, il deva della Luna, nel vedere la buffa scena scoppiò a ridere e si prese gioco di Ganesha; questi allora ritenne giusto punire il deva per la sua arroganza, quindi si spezzò una zanna e la lanciò contro la Luna spaccandone a metà il viso luminoso. Egli la maledisse, decretando che chiunque l'avesse guardata sarebbe stato perseguitato dalla sfortuna. Chandra, rendendosi conto del proprio errore, chiese perdono e pregò Ganesha di ritirare la maledizione; ma una maledizione non può essere revocata, soltanto attenuata, così Ganesha condannò la Luna a crescere e calare in intensità secondo cicli di 15 giorni, e stabilì che chiunque l'avesse guardata durante la festività di Vinayaka Chaturthi sarebbe stato colpito dalla sfortuna. Così, in certi momenti la luce della Luna si sarebbe spenta, per poi ricominciare poco a poco ad apparire; ma la sua faccia sarebbe rimasta intera soltanto per un brevissimo periodo di tempo, perché poi si sarebbe nuovamente "spaccata" fino a scomparire.
           Ganesha, Capo delle Schiere CelesTI
Una volta fu indetta una grande gara tra i Deva per scegliere tra essi il capo dei Gana (le truppe di semidèi al servizio di Shiva). I concorrenti avrebbero dovuto fare velocemente il giro del mondo e ritornare ai Piedi di Shiva. Gli Dei partirono sui propri veicoli, ed anche lo stesso Ganesha partecipò con entusiasmo alla gara; ma aveva una grossa corporatura, e per veicolo un topo! Naturalmente, procedeva con notevole lentezza e ciò gli era di grande svantaggio. Non aveva ancora fatto molta strada, quando gli apparve davanti il saggio Narada (figlio di Brahma), che gli chiese dove fosse diretto. Ganesha fu molto seccato e andò su tutte le furie, poiché era considerato infausto il fatto che, non appena s'iniziasse un viaggio, si incontrasse un Brahmino solitario. Nonostante Narada fosse il più grande dei bramini, figlio dello stesso Brahma, ciò rimaneva comunque di cattivo auspicio. Inoltre, non era considerato buon segno ricevere la domanda "Dove sei diretto?" quando ci si stava dirigendo da qualche parte; quindi Ganesha si sentì doppiamente sfortunato. Tuttavia, il grande brahmino riuscì a calmare la sua collera. ll figlio di Shiva gli raccontò il motivo della sua tristezza e il suo desiderio di vincere; Narada lo consolò, esortandolo a non disperarsi, e gli diede un consiglio:
"Così come un grande albero nasce da un singolo seme, il nome di Rama è il seme da cui si è sprigionato quell'immenso albero chiamato Universo. Perciò, scrivi per terra il nome "Rama", fai un giro intorno ad esso, e precipitati da Shiva a reclamare il tuo premio."
Ganesha tornò da suo padre, il quale gli chiese come avesse potuto fare così in fretta. Rispose, raccontandogli la storia ed il suggerimento di Narada; Shiva, soddisfatto della saggia risposta alla sua domanda, dichiarò vincitore suo figlio il quale da quel momento fu acclamato con il nome di Ganapati (Conduttore delle schiere celesti) e Vinayaka (Maestro di tutti).
                      L'appetito di Ganesha

Ganesha è anche il distruttore della vanità, dell'egoismo e dell'orgoglio.
Un aneddoto tratto dai Purana narra che il tesoriere di Svarga (il paradiso) e dio della ricchezza, Kubera, si recò un giorno sul monte Kailasa per ricevere il darshan (la visione) di Shiva. Poiché era molto vanitoso, lo invitò ad una cena nella sua sfarzosa città, Alakapuri, in modo da potergli esibire tutte le sue ricchezze. Shiva sorrise e gli disse: "Non posso venire, ma puoi invitare mio figlio Ganesha. Ti avverto che è un vorace mangiatore!". Per nulla preoccupato, Kubera si sentiva pronto a soddisfare con la sua opulenza anche una fame insaziabile come quella di Ganesha. Prese con sé il piccolo figlio di Shiva e lo portò nella sua città; lì gli offrì un bagno cerimoniale e lo rivestì di abiti sontuosi. Dopo questi riti iniziali, iniziò il grande banchetto. Mentre la servitù di Kubera si impegnava al massimo per servire tutte le portate, il piccolo Ganesha si mise a mangiare, mangiare e mangiare... Il suo appetito non si arrestò neppure dopo aver divorato i piatti destinati agli altri ospiti; non c'era nemmeno il tempo di sostituire una portata all'altra, che Ganesha aveva già divorato tutto e, con segni di impazienza, attendeva nuovo cibo. Divorato tutto quanto era stato preparato, Ganesha prese a mangiare decorazioni, suppellettili, mobili, lampadari... Atterrito, Kubera si prostrò davanti al piccolo onnivoro e lo supplicò di risparmiargli il resto del palazzo.
"Ho fame. Se non mi dài altro da mangiare, divorerò anche te!", disse a Kubera. Questi, disperato, si precipitò sul monte Kailasa per chiedere a Śiva un rimedio urgente. Il Signore gli diede allora una manciata di riso abbrustolito, dicendo che quello l'avrebbe saziato; Ganesha aveva già ingurgitato quasi tutta la città, quando Kubera gli donò umilmente il riso. Con quel cibo, finalmente Ganesha si saziò e si calmò.
                       Devozione alla Madre 

Una volta, da bambino, il piccolo Ganesha stava giocando con un gatto e inavvertitamente lo ferì. Quando tornò a casa, trovò la madre Parvati dolorante e ferita; le chiese come si fosse fatta male, ed ella rispose che la responsabilità non era di altri se non dello stesso Ganesha. Sorpreso, egli le domandò quando questo fosse successo. Parvati spiegò che, in quanto "Energia Divina" (o Shakti), Lei è immanente in tutti gli esseri; quando Ganesha ferì il gatto, anche Parvati fu ferita. Ganesha realizzò che tutte le donne erano unicamente manifestazioni di sua Madre, e decise di non sposarsi. Fu così che rimase un Brahmachari, ovvero "celibe a vita"; ma d'altronde, non avendo desideri, Ganesha non sentiva alcuna necessità di avere delle mogli o dei figli.
          Il Signore la cui forma è OM

Omkara
Ganesha è anche definito Omkara o Aumkara, ovvero "avente la forma della Om   (o Aum)". Infatti, la forma del suo corpo ricalca il contorno della lettera sanscrita che indica il celeberrimo Bija Mantra; per questo Ganesha è considerato l'incarnazione del Cosmo intero, Colui che sta alla base di tutto ciò che è manifesto (VishvadharaJagadoddhara).

La sacra sillaba Aum in lingua Tamil.
In lingua Tamil, la sacra sillaba è indicata da un carattere la cui forma ricorda la sagoma della testa d'elefante di Ganesha. Questo particolare è simbolo dell'identificazione di Ganesha con la Om, l'identificazione di Dio con il Verbo ("In principio era il Verbo, / il Verbo era presso Dio / e il Verbo era Dio." Giovanni 1,1), ovvero il suono primordiale che da Lui scaturisce generando l'intero universo manifesto.

                     I nomi di Ganesha
Come per tutte le altre Murti ( statue ) induiste, anche Ganesha è invocato attraverso innumerevoli appellativi che si riferiscono ai suoi attributi e caratteristiche.
Alcuni di essi:
      GanapathiConduttore delle schiere celesti (Gana)
      GananathaSignore delle schiere celesti
      GananayakaMaestro di tutti gli esseri
      Omkaresha o OmkareshvaraSignore la cui forma è OM
      GajavadanaSignore dalla testa di elefante
      GajananaSignore dal volto di elefante
      VinayakaColui al di sopra del quale non esistono Maestri
      VighneshvaraSignore degli ostacoli
      Vighna VinashakaDistruttore degli ostacoli
      Vishvadhara o JagadoddharaColui che regge l'Universo
      Vishvanatha o JagannathaSignore dell'Universo
      Mushika VahanaColui che cavalca il topo
      Lambodharadal grosso ventre
      Vakratundadalla proboscide ricurva
      Ekadantadall'unica zanna
      Shupakarnadalle larghe orecchie

Un'altra murti molto amata è quella di Bala Gajanana o Bala Ganesha (lett. piccolo Ganesha o Ganesha bambino), in cui un giovanissimo Ganesha dalla piccola proboscide e dai grandi occhi viene raffigurato in braccio ai Genitori Divini, oppure mentre abbraccia dolcemente il Lingam, simbolo di Śiva.
             I Festival ed il culto di Ganesha 
Nell'India del sud, si festeggia un'importante festività in onore di Ganesha. Anche se è particolarmente popolare nello stato del Maharashtra, la si esegue in tutta l'India. Si celebra in dieci giorni, cominciando da Vinayaka Chaturti. Fu introdotta da Balgangadhar Tilak come mezzo per promuovere sentimenti nazionalistici quando l'India era occupata dagli Inglesi. Questo festival si celebra e culmina nel giorno di Ananta Chaturdashi quando la murti di Shri Ganesha è immersa nella più vicina riserva d'acqua: a Bombay la murti viene immersa nel Mare Arabico, a Pune nel fiume Mula-Mutha, mentre in varie città indiane del nord e dell'est, come Kolkata, le murti sono immerse nel sacro fiume Gange.

Le rappresentazioni di Ganesha si basano su simbolismi religiosi antichi migliaia di anni che culminano nella figura di una divinità dalla testa di elefante. In India le statue sono espressioni di significati simbolici e quindi non sono mai state spacciate come repliche esatte di una figura vivente. Ganesha non è visto come un'entità fisica, ma come un più elevato essere spirituale e le murti (rappresentazioni scultoree) hanno la funzione di simboleggiare la divinità come figura ideale. L'errore più comune per la concezione giudaico-cristiana occidentale è scambiare il concetto di murti con quello di idolo (culto ad oggetti fine agli oggetti di per sé stessi); c'è una profonda differenza tra i due, poiché presso la filosofia induista le murti sono punti di focalizzazione simbolica attraverso i quali è possibile raggiungere la Divinità. Per questa ragione si intraprende l'immersione delle murti di Ganesha nei fiumi più vicini, poiché questo simboleggia il fatto che esse permettono una comprensione solo temporanea di un Essere superiore; questa concezione è pertanto opposta a quella di idolo, che tradizionalmente indica il culto ad un oggetto per l'oggetto stesso, considerato divino.


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                LA SUPREMA SHAKTI

















La suprema Shakti, (l'Energia divina) la cui natura è creare, costan temente esprime se stessa verso l'alto in forma di espirazione, e verso il basso in forma d'inspira­zione. Focalizzando la mente con fermezza su ciascuno dei due spazi tra un respiro e l'altro, ripetendosi mentalmente “ham inspirando e Sah espirando) si sperimenta lo stato di pura Coscienza del Sè .
  
I BENEFICI STRAORDINARI ATTRAVERSO IL RESPIRO CONSAPEVOLE
E LA MEDITAZIONE SUL SE', IL RADIOSO PRINCIPIO UNIVERSALE DELL' ESISTENZA

L'uomo si da tanto da fare per ottenere la conoscenza del mondo materialeapprende tutti i rami del sapere mondano, esplora la terra e viaggia anche fino alla luna ed oltre nello spazio infinito. Ma, la maggior parte degli esseri umani non prova mai a scoprire ciò che esiste dentro di sé, nel profondo della propria coscienza.

Poiché l’uomo resta  inconsapevole dell'enorme potere nascosto al suo interno, cerca sostegno nel mondo esterno...e, poiché non conosce la felicità sconfinata che dimora nel suo cuore, spera di trovare gioia in attività e piaceri terreni ; non sperimentando l'amore interiore, cerca affannosamente amore negli altri.

 La verità è che il Sé interiore di ogni essere umano è immensamente grande, pieno di risorse straordinarie ed amabile. Ogni cosa è contenuta nel Sé. Il potere creativo dell'universo intero dimora in ognuno di noi. Il Principio divino, che crea e sostiene que sto mondo, pulsa in noi come il nostro Sé, scintilla nel nostro cuore e risplende attraverso tutti i nostri sensi.

Molti esseri illuminati, nel corso della storia hanno dimostrato continuamente questa ricchezza interiore. Se cercas simo tutti di ottenere anche la conoscenza interiore, invece di perseguire solamente la conoscenza del mondo esteriore, potremmo scoprire, in breve, questo splendore che pervade tutto l'Universo.



Senza la conoscenza del Sé, la conoscenza delle cose esteriori è come una fila di zeri che non ha nessun valore finché non è preceduta da un numero. Allo stesso modo, la conoscenza del mondo esterno può portarvi anche grandi vantaggi materiali, ma non può in sé dare l’appagamento totale ! Ma, rivolgendovi all’interno, attraverso la meditazione, sperimenterete con certezza la gioia del Sé; e solo allora troverete quella stessa gioia anche all'esterno.  

 Il vero scopo, il fine ultimo della vita umana è infatti il raggiungimento di tale livello di coscienza e cono scere il Supremo Sé. Una persona che non conosce la gloria del proprio Sé cade nell'abitudine di considerarsi insignificante, imperfetta e separata dal mondo e da Dio. In questo modo nega a se stessa l'esperienza della propria essenza spirituale più elevata.Nelle pratiche yoga noi seguiamo differenti metodologie spirituali unica mente per il desiderio di sperimentare il livello più alto del Sé, per il bene individuale e sociale.

Una volta raggiunta tale sublime conquista scopriremo anche che tale dimensione del Sé era già dentro di noi, fin dalla nascita, solo che non ne eravamo consapevoli. Tutte le pratiche spirituali yoga ci conducono, quindi, a stabilizzarci definitivamente nelle qualità della Coscienza illuminata.

In realtà il Sé è sempre dentro di noi e contemporaneamente compenetra l’Universo intero. Infatti, come non è possibile separare il sole dalla sua luce, così il Sé non può essere separato da noi : il suo potere sostiene sempre la nostra vita e tutto il Creato. Se tale sublime Sé non fosse presente anche  in noi i nostri occhi non potrebbero vedere, le nostre orecchie non potreb bero udire e neppure il nostro respiro potrebbe entrare e uscire; non potremmo essere coscienti. È grazie al Sé che il cuore batte, che la mente pensa, distingue e immagina. E’ grazie al Sé che l'amore sorge al nostro interno.

Il Sé da potere a tutti i nostri sensi e illumina gli oggetti che percepiamo con essi. Questo corpo non ha vita propria, senza il Sé non è che un semplice cadavere. Il Sé non solo pervade e sostiene la nostra esperienza individuale, ma pulsa anche in ogni atomo di questo uni verso. E’ così che il Sé Divino si rende visibile e manifesto. Il Sé dimora perennemente al nostro interno e può essere costantemente sperimentato in ogni istante della nostra vita attraverso la Meditazione.
  
 Il signore dell'Universo ci ricorda sempre:
 svatantra svachchàtma sphurati satatam chetasi shivah”,

( "II Sé infinito, Shiva, la  Sorgente della  Divina Coscienza luminosa è sommamente puro e indipendente e potete sperimentarne sempre tutti la radiosità nella vostra mente liberata, attraverso la Meditazione" )

...E non può essere percepito dai sensi, perché è Lui a farli funzionare, non può essere percepito dalla mente, per ché è Lui che la fa pensare. Eppure il Sé può essere conosciuto anche senza l'aiuto della mente o dei sensi, attraverso la Meditazione profonda ed il risveglio dell’Intuizione ontologica.

 Secondo lo Shivaismo, il Principio supremo, Dio , ha due aspetti, prakasha vimarsha. Prakasha significa "illuminazione" vimarsha "consapevolezza". In qualità di prakasha, questo Principio illumina tutto ciò che è nel mondo, incluso se stesso , in qualità di vimarsha, da la conoscenza delle cose che illumina e le distingue tra loro.

 Prakasha ci fa sapere che un oggetto esiste, vimarsha ci fa compren dere la natura di quell'oggetto.
 Quando guardate un libro è  prakasha che vi rende consapevoli della presenza di qual cosa, ed è vimarsha che vi fa identificare l'oggetto come un libro e non come un registratore. Prakasha e vimarsha esi stono in tutte le cose del mondo.

Il Sé Supremo ha la forma di prakasha e vimarsha, illumina se stesso rendendosi consa pevole di ciò che realmente è.
 II sole da luce al mondo e illumina anche se stesso, così il Sé da luce ai sensi interni ed esterni e illumina anche se stesso.
Per questa ragione, coloro che conoscono la Verità affermano che il Sé può essere percepito per mezzo della sua stessa luce.
Ed è questo che  avviene attraverso la concentrazione e meditazione...Un poeta ha scritto:
"Come può rimanere nascosto il sole splendente?
Come può rimanere oscurato il vibrante Sé che da fulgore a tutti i sensi e a tutti gli oggetti dei sensi?
  
Nella Bhagavad Gita il Signore Krishna lo dice molto chiaramente: buddhigràhyam atìndriyam, "Benché sia al di là dei sensi, può essere conosciuto dall'intelletto sottile". Proprio come possiamo vedere la nostra immagine in uno specchio, così il Sé può essere visto riflesso nello specchio dell'intelletto purificato. Poiché il Sé esiste ugualmente in ogni cosa e in ogni persona, poiché è in tutti gli oggetti e in tutti gli esseri viventi, e poiché illumina sempre se stesso, dovrebbe essere molto facile percepirlo nella nostra vita quotidiana e nel nostro mondo.

In verità, questo mondo è l'università di Dio, ed esiste per aiutarci a trovare il Divino, anche attraverso le difficili prove della vita. Qualunque cosa facciamo nel mondo è sàdhanà, pratica spiritualeDio stesso è un grande yoghi, che ha creato questo mondo dal proprio Essere, dal pro prio stato di yoga, di meditazione. Per questo l'universo è pieno di yoga, di armonia. Tutte le arti, le tecniche e i mestieri praticati in questo mondo non sono altro che vie yoga.

 Forse non sono del tutto codificati in un sistema, ma sono percorsi yoga. (Cioè, quando agiamo in uno stato di creatività siamo in unione di corpo mente e spirito) Uno dei più importanti rami dello yoga è lo Hatha Yoga e l'asana, la posizione seduta, concentrati nella respirazione ci permette di entrare in contatto con il nostro Sé più elevato, rigenerarci ed ampliare la nostra creatività, armonia interiore ed universale.

In questo mondo non rimaniamo sempre in piedi? Di tanto in tanto ci sediamo?
Bene...la postura seduta detta padmasana è una parte naturale della nostra vita quotidiana attraverso la quale, concentrati sul respiro, si può entrare in uno stato di yoga, di unione con il Sé Supremo! Un altro dei rami dello yoga è dhyana, o meditazione. Me ditazione non è nient'altro che concentrazione sul nostro Sé, sulla nostra Coscienza. Potete guidare un'auto senza concentrazione? Potete comprare qualcosa al mercato senza concentrazione? 
Quando rien trate a casa dal mercato, potete trovare casa vostra senza concentrazione?

Si tratta certo di una meditazione terrena, nondimeno è un aspetto dello yoga, e anche tutti gli altri aspetti dello yoga sono presenti nel mondo. Tuttavia la nostra comprensione del mondo e l'atteggiamento che abbiamo nei suoi riguardi sono tali da non permetterci di vedere lo yoga (l’armonia) presente in esso. Sebbene Dio esista e sia manifesto dinanzi a noi, non riusciamo a vederlo. La ragione di ciò è che l'antico fantasma dell'ego dimora al nostro interno: l'ego si è impadronito di noi e ci ha fatto dimenticare il nostro yoga naturale ( lo stato di armonia perenne ).

Vediamo quindi meglio cos’è  l'ego? Tutti abbiamo la consapevolezza di "Io". Essa è naturalmente presente in noi ed è pura. Quell'"Io" contiene  infatti l’Essenza di Dio in noi, se lo lasciamo com'è ; ma noi aggiungiamo sempre qualcosa all'"Io" e, non appena lo facciamo, l'"Io" diventa ego, e causa tutti i nostri problemi.

C'era una volta un Guru che disse al suo discepolo: "Non diventare nulla. Vivi in questo mondo senza diventare nulla. Se diventi qualcosa, poi qualcos'altro verrà a tormen tarti". Un giorno questo Guru e il suo discepolo partirono in pellegrinaggio. Di solito un Guru non insegna a un disce polo in maniera sistematica, mettendolo a sedere e spiegandogli che le cose stanno in un modo o nell'altro, ma lo istruisce servendosi di una situazione o di un'altra persona.

Durante il loro pellegrinaggio, il Guru e il discepolo giunsero al palazzo di un re. Nel giardino del palazzo c'era un bellissimo villino in cui il re era solito trascorrere del tempo. Il Guru entrò in una delle stanze e si distese per riposare.
Il discepolo chiese al maestro: "Posso andare a dormire nella camera accanto?"
"Sì, dormi pure, ma non diventare nulla" rispose il Guru. Il discepolo ribattè: "Naturalmente, non diventerò nulla".

 Così i due si addormentarono. Dopo mezz'ora soprag giunse il re con il suo seguito. Non appena vide i mendicanti che dormivano lì, si infuriò e urlò: "Chi siete e cosa fate qui?" Le grida svegliarono il discepolo. "Chi sono? Sono uno swami" rispose.
 "Cosa fa uno swami nel villino del re ? " Gli urlò il re. Prese la frusta di una delle sue guardie e cominciò a colpire il discepolo, gli diede trenta o quaranta colpi, e infine lo spinse fuori a calci.
 Poi entrò nella stanza accanto e trovò nel letto il Guru che russava, profondamente addormentato. "Chi sei?" gridò il re.
 "Hmm" disse il Guru Maharaj. "Chi sei?" urlò di nuovo il re. Il Guru rispose ancora con un semplice "Hmm".
 "Dev'essere mezzo scemo," disse il re" portate fuori il vecchio idiota."

 Le guardie lo trascinarono fuori e lo lasciarono vicino al discepolo, che si lamentava e gemeva.
 “O Guruji” disse il discepolo "guardami, guarda in che stato mi hanno ridotto! Ho ricevuto così tanti colpi che la mia schiena è quasi rotta. "E solo colpa tua" replicò il Guruji. "Per quale ragione sei dovuto diventare uno swami, mentre eri addormentato nel letto del re? Hai ricevuto quel prasàd (dono) dal re perché sei diventato qualcosa; io non sono diventato nulla e così non ho avuto il prasad del re.

Questo è ciò che accade a tutti ! 

Poiché aggiungete qualcosa al vostro "Io", al vostro aham, ricevete colpi dalla vita. Se rimanete quel puro "Io", la pura consapevolezza dell'Io, voi siete Dio. E’ quando diventate un uomo o una donna, uno swami o un professore, un dottore o un ingegnere che il puro "Io" diventa l'ego.  Così viene creata màyà, l'illusione dell'ignoranza. L’ignoranza non è che la dimenticanza del vostro vero Sé.

Dimenticare il vostro Sé e considerare voi stessi qualcosa d'altro - questa è ignoranza.

Quando le alghe si diffondono sulla superficie dell'acqua, la coprono e vi impediscono di vederla; quando le nuvole si formano nel cielo, lo nascondono e non potete vederlo; quando le cataratte velano le pupille degli occhi, bloccano la vostra visione. Nello stesso modo, l'ego agisce come uno schermo, come un velo che nasconde il Sé.      
 L’ombra dell'ego non vi permette di conoscere la vostra vera natura, di vedere la divinità del vostro Sé.

Nella Bhagavad Gita, il Signore dice che sebbene Egli esista in ognuno come il Sé, le creature non lo conoscono. A causa dell'ego, dell'attac­camento e dell'illusione, le persone sono accecate dai loro sensi. Credono di essere uomini o donne, di essere alti un metro e sessanta, e che questa sia la loro unica  identità.    

Compiono le loro azioni con questa comprensione. Dimenticano la verità, dimenticano che sono nati nel tempio del corpo per compiere una grande opera spirituale nel mondo. Percorrono invece il sentiero dei sensi e sono sopraffatti dai loro stessi sentimenti: attaccamento, lussuria, avidità, ira e così via. In questo modo, diventano individui limitati e anime prigioniere.

A dire il vero, l'ignoranza è semplicemente mancanza di comprensione. Quando la vostra povertà di compren sione viene distrutta attraverso un progresso evolutivo, allora vi espandete naturalmente e arrivate a conoscere il vostro vero Sé superiore. Finché non conoscete la vostra vera natura illimitata, siete un semplice jìva, un individuo insignifi cante. Siete vittima delle paure e della morte e bevete continuamente il succo della gelosia, dell'orgoglio e dell'ira.

Ma quando comprendete il vostro Sé, allora potrete bere il nettare della pace e della serenità, il nettare del Sé, il nettare della beatitudine suprema. Quando, attraverso la concentrazione e meditazione, vi vol gete all'interno e la vostra Shakti, la forza divina interiore, è risvegliata, non siete più un jiva, un individuo limitato. Ricevete la Luce della Saggezza da Shiva, il Signore stesso.

Riflettendoci bene è che a tratti tutti abbiamo nella vita l’esperienza del Sé. Ognuno ha la com prensione di se stesso.
Chi può dire di non conoscere se stesso? Chi può dire di non avere provato mai la gioia del Sé? Se non ave ste la gioia, come potreste vivere?

Il Sé esiste naturalmente al nostro interno sin dal nostro concepimento. Tutto ciò che dobbiamo fare in questa nostra vita è riconoscerlo, sperimentarlo per riceverne gli straordinari benefici. E’ come un immenso tesoro nascosto nelle profondità della nostra coscienza…oltre la mente; dobbiamo solo imparare a sondarla attraverso la pratica della interiorizzazione meditativa. E’ solo così che potremo avere la giusta comprensione e la visione corretta dell’esistenza.

Per conoscere il Sé  in realtà non è  necessario compiere pra tiche difficili. Molte persone fanno tante pratiche complesse per conoscere il Sé. Alcune compiono rigorosi rituali e ceri monie in nome della pace, ma tutto quello che ottengono è sforzo e stanchezza. Altre, in nome dello yoga, si affidano a complicate tecniche di pranayama, prolungati digiuni e mortificazioni del corpo, ma tutto ciò che ottengono è aridità. Ognuno compie la propria pratica spirituale pensando che sia la sola giusta per tutti ! Che solo il proprio sentiero sia quello giusto e  reale !

Ma una cosa è assolutamente certa : poiché il Sé esiste così naturalmente al vostro interno, anche la pratica meditativa che fate per scoprirlo dovrebbe essere naturale. Non dovrebbe richiedere austerità difficili o recare danno al vostro corpo. Non dovrebbe allontanarvi dalla vostra casa o dalla fami glia, né essere d'ostacolo alle vostre attività di tutti i giorni. 

Poiché Dio non è differente dal mondo, la vostra pratica psicofisica dovrebbe includere anche il mondo. Dovreste seguire la vostra pratica meditativa proprio in questo mondo, assiduamente e con amore. Anche se esistono infiniti rituali e pratiche, quello che voi seguite dovrebbe essere naturale, insegnato inizialmente da una guida adeguata, e poi, continuato anche da soli.

 Fin dal principio potreste provare un rilassamento profondo ed iniziare ad intravedere nella vostra coscienza serena, la scintilla del Sé, perché solo attraverso l'esperienza diretta potrete conoscere e sperimentare l' Essenza spirituale che risiede dentro di voi ed intorno a voi ; potrete in tal modo cercarlo, ed infine raggiungerlo. Inoltre il vostro sentiero dovrebbe essere aperto a tutti, perché se un sen tiero o una religione escludono alcune persone, non possono essere un vero sentiero o una religione autentica.

Il Signore dell'Universo, Dio, l'Assoluto, appartiene a tutti gli esseri ed è in tutti, in tutto il mondo, perciò la via che seguite per realizzarlo dovrebbe essere una via accessibile a tutti, senza restrizioni di casta, classe, età, sesso o nazionalità.
  
C'è ancora una cosa molto importante: quando iniziate una pratica di concentrazione-meditazione, dovreste scoprire quanti Grandi esseri Illuminati l'hanno seguita e la stanno seguendo. Le Sacre Scritture antiche dicono che, se volete cono scere la verità, dovreste percorrere il sentiero sul quale hanno camminato e stanno camminando i Grandi esseri. Non cercate di crearne uno tutto vostro. Camminate sul sentiero segnato dai Grandi esseri e allora arriverete alla vostra meta.

(cortese concessione Garbha Yoga)


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                     G A N E S H A
Formato dalle parole sanscrite gana e isha (signore), Ganesha significa letteralmente "Signore dei gana" dove gana può essere interpretato come "moltitudine", facendo assumere al nome il significato di "Signore di tutti gli esseri", ma con gana nella tradizione induista si possono intendere anche dei piccoli demoni deformi che corteggiano Shiva.
Ganesha viene a volte chiamato anche Vighnesvara, "Signore degli ostacoli", e Vinayaka, "colui che rimuove".

La Ganapati Upaniad translitterata in caratteri romani.
Come per ogni altra forma con la quale l'Induismo rappresenta Dio, inteso come l'aspetto personale di Brahman (detto anche Īśvara, il Signore), anche la figura di Ganesha è un archetipo carico di molteplici significati e simbolismi che esprimono uno stato di perfezione, e il modo per raggiungerla; Ganesha è infatti il simbolo di colui che ha scoperto la Divinità in sé stesso.
Egli rappresenta il perfetto equilibrio tra energia maschile (Shiva) e femminile (Shakti), ovvero tra forza e dolcezza, tra potenza e bellezza; simboleggia inoltre la capacità discriminativa che permette di distinguere la verità dall'illusione, il reale dall'irreale.
Una descrizione di tutte le caratteristiche e gli attributi di Ganesha si può trovare nella Ganapati Upaniad (una Upaniad dedicata a Ganesha) del rishi Atharva, nella quale Ganesha è identificato con il Brahman e con Ātman.[2] In questo inno, inoltre, è contenuto uno dei mantra più famosi associati a questa divinità: Om Gam Ganapataye Namah (lett. Mi arrendo a Te, Signore di tutti gli esseri).
Nei Veda si trova anche una delle più salmodiate preghiere attualmente attribuite a Ganesha, che costituisce l'inizio del Ganapati Prarthana:
Gaānā tvā ganapati havāmahe kavim kavīnām upamaśravastamam
jyeṣṭarājam brahmaām brahmaas pata ā nah śṛṇvann ūtibhi sīda sādanam[3]
(Rig Veda 2.23.1)

                  Il Signore del Buon Auspicio

In termini generali, Ganesha è una divinità molto amata ed invocata, poiché è il Signore del buon auspicio che dona prosperità e fortuna, il Distruttore degli ostacoli di ordine materiale o spirituale; per questa ragione se ne invoca la grazia prima di iniziare una qualunque attività, come ad esempio un viaggio, un esame, un colloquio di lavoro, un affare, una cerimonia, o un qualsiasi evento importante. Per questo motivo è tradizione che tutte le sessioni di bhajan (canti devozionali) comincino con una invocazione a Ganesha, Signore del "buon inizio" dei canti.
È inoltre associato con il primo chakra, che rappresenta l'istinto di conservazione e sopravvivenza, la procreazione ed il benessere materiale.
                            Attributi corporei

Piccola statua di Ganesha in legno di Sandalo
Ogni elemento del corpo di Ganesha ha una sua valenza ed un suo proprio significato:
      la testa d'elefante indica fedeltà, intelligenza e potere discriminante;
      il fatto che abbia una sola zanna (e l'altra spezzata) indica la capacità di superare ogni dualismo;
      le larghe orecchie denotano saggezza, capacità di ascolto e di riflessione sulle verità spirituali;
      la proboscide ricurva sta ad indicare le potenzialità intellettive, che si manifestano nella facoltà di discriminazione tra reale ed irreale;
      sulla fronte ha raffigurato il Tridente (simbolo di Shiva), che simboleggia il Tempo (passatopresente e futuro) ne attribuisce a Ganesha la padronanza;
      il ventre obeso è tale poiché contiene infiniti universi, rappresenta inoltre l'equanimità, la capacità di assimilare qualsiasi esperienza con sereno distacco, senza scomporsi minimamente;
      la gamba che poggia a terra e quella sollevata indicano l'atteggiamento che si dovrebbe assumere partecipando alla realtà materiale e a quella spirituale, ovvero la capacità di vivere nel mondo senza essere del mondo;
      le quattro braccia di Ganesha rappresentano i quattro attributi interiori del corpo sottile, ovvero: menteintellettoegocoscienza condizionata;
                        in una mano brandisce un'ascia, simbolo della recisione di tutti i desideri, apportatori di sofferenza;
                        nella seconda mano stringe un lazo, simbolo della forza che lega il devoto all'eterna beatitudine del Sé;
                        la terza mano, rivolta al devoto, è in un atto di benedizione (abhaya);
                        la quarta mano tiene un fiore di loto (padma), che simboleggia la più alta meta dell'evoluzione umana.
                           La zanna spezzata

Statua di Ganesha proveniente dallo stato dell'Andhra PradeshIndia.
La zanna spezzata di Ganesha, come si è visto, indica principalmente la capacità di superare o "spezzare" la dualità; tuttavia, questo è un simbolo che può assumere vari significati.

« Un elefante ha, di norma, due zanne. Anche la mente propone spesso due alternative: quella buona e quella cattiva, l'eccellente e l'espediente, il fatto e la fantasia che la porta fuori strada. Per fare qualsiasi cosa, la mente deve comunque diventare determinata. La testa di elefante del Signore Ganesha ha quindi una sola zanna per cui Egli è chiamato "Ekadantha", che significa "Colui che ha una sola zanna", per ricordare ad ognuno che si deve possedere la determinazione mentale. »

Ci sono vari aneddoti che spiegano l'origine di questo particolare attributo (v. paragrafo Come si ruppe la zanna di Ganesha?).
                          Ganesha e il Topo
La cavalcatura di Ganesha è un piccolo topo (Mushika o Akhu), che rappresenta l'ego, la mente con tutti i suoi desideri, la bramosia dell'individuo; Ganesha, cavalcando il topo, diviene padrone (e non schiavo) di queste tendenze, indicando il potere che l'intelletto e la discriminazione hanno sulla mente. Inoltre il topo (per natura estremamente vorace), viene spesso raffigurato a fianco di un piatto di dolci, con lo sguardo rivolto a Ganesha mentre tiene un boccone stretto tra le zampe, come in attesa di un suo ordine; rappresenta la mente che è stata completamente assoggettata alla facoltà superiore dell'intelletto, la mente sottoposta ad un ferreo controllo, che fissa Ganesha e non si accosta al cibo se non ne riceve il permesso.
                           Sposato o celibe? 
È interessante notare come, secondo la tradizione, Ganesha sia stato generato dalla Madre Parvati senza l'intervento del marito Śiva; infatti Śiva, essendo eterno (Sadashiva), non sentiva alcuna necessità di avere figli. Così Ganesha nacque dall'esclusivo desiderio femminile di Parvati di creare. Di conseguenza, la relazione di Ganesha con la propria madre è unica e speciale.
Questa devozione è la ragione per la quale la tradizione dell'India del sud lo rappresenta come celibe (v. l'aneddoto Devozione alla Madre). Si dice che Ganesha, ritenendo sua madre Parvati la donna più bella e perfetta dell'universo, abbia esclamato: "Portatemi una donna bella come lei ed io la sposerò".
Nell'India del nord, invece, Ganesha è spesso raffigurato sposato alle due figlie di BrahmaBuddhi (intelletto) e Siddhi (potere spirituale). In altre raffigurazioni le sue consorti sono Sarasvathi (dea della cultura e dell'arte) e Lakshmi (dea della fortuna e della prosperità), a simboleggiare che queste qualità accompagnano sempre colui che ha scoperto la propria Divinità interiore.
                      Aneddoti mitologici 
Come ottenne una testa di elefante? [modifica]
L'articolata mitologia induista presenta tante storie che spiegano in che modo Ganesha ottenne una testa di elefante; spesso l'origine di questo particolare attributo si trova negli stessi aneddoti che riguardano la sua nascita.
Nelle storie in questione, inoltre, si raccontano anche varie ragioni che rivelano l'origine dell'enorme popolarità del suo culto.
                     Decapitato e rianimato da Shiva 
La storia più conosciuta è probabilmente quella tratta dallo Śiva Purana: una volta Madre Parvati volle fare un bagno nell'olio, per cui creò un ragazzo dalla farina di grano di cui si era cosparsa il corpo e gli chiese di fare la guardia davanti alla porta di casa, raccomandando di non far entrare in casa nessuno. In quel frangente Śiva tornò a casa e, trovando sulla porta uno sconosciuto che gli impediva di entrare, si arrabbiò e lo decapitò con il suo tridente. Parvati ne fu molto addolorata e Śiva, per consolarla, inviò le proprie schiere celesti (Gana) a trovare e prendere la testa di qualsiasi creatura avessero trovata addormentata con il capo rivolto a nord. Essi trovarono un elefante che dormiva in tal modo, e ne presero la testa; Shiva la attaccò al corpo del ragazzo, lo resuscitò e lo chiamò Ganapathi, o capo delle schiere celesti, concedendogli che chiunque lo adorasse prima di iniziare qualsiasi attività.
                               Shiva e Gajasura 

Un'altra leggenda riguardante l'origine di Ganesha narra che, una volta, ci fosse un Asura (demone) dalle sembianze di elefante chiamato Gajasura, il quale eseguì una penitenza (o tāpas); Shiva, soddisfatto di questa austerità, decise di concedergli in dono qualsiasi cosa desiderasse. Il demone voleva che dal suo corpo si emanasse continuamente del fuoco, in modo che nessuno osasse avvicinarlo; il Signore glielo concesse. Gajasura proseguì la sua penitenza e Shiva, che gli appariva davanti di tanto in tanto, gli chiese nuovamente che cosa desiderasse; il demone rispose: "Io desidero che Tu risieda nel mio stomaco".
Shiva esaudì la richiesta e vi prese dimora. Infatti, Śiva è anche conosciuto come Bhola Shankara, poiché è una divinità facile da propiziare; quando è soddisfatto di un devoto gli concede qualunque cosa chieda, e questo a volte genera situazioni particolarmente intricate. Fu così che Parvati, sua moglie, lo cercò ovunque senza risultato; come ultima risorsa si recò dal proprio fratello Viṣṇu, chiedendogli di trovare suo marito. Egli, che conosce tutto, la rassicurò: "Non preoccuparti, cara sorella, tuo marito è Bhola Shankara e concede prontamente qualunque grazia il Suo devoto Gli chieda, senza prenderne in considerazione le conseguenze; per cui penso che si sia cacciato in qualche guaio. Scoprirò cosa è accaduto".
Allora Viṣṇu, l'onnisciente regista del gioco cosmico, inscenò una piccola commedia: tramutò Nandi (il toro di Śiva) in un toro danzatore e lo condusse al cospetto di Gajasura, assumendo nel contempo le sembianze di un suonatore di flauto. L'incantevole esecuzione del toro mandò in estasi il demone, il quale chiese al suonatore di flauto di esprimere un desiderio; il Viṣṇu musicante allora rispose: "Puoi darmi quello che ti chiedo?" Gajasura replicò: "Per chi mi hai preso? Io posso darti subito qualunque cosa tu chieda". Il suonatore quindi disse: "Se è così, libera dunque dal tuo stomaco Śiva che vi si trova". Gajasura capì allora come questi non fosse altri che Viṣṇu Stesso, l'unico che potesse conoscere quel segreto, così si gettò ai suoi piedi e, liberato Śiva, Gli chiese un ultimo dono: "Io sono stato benedetto da Te con molti doni; la mia ultima richiesta è che tutti mi ricordino adorando la mia testa quando sarò morto"Śiva condusse allora lì il proprio figlio, la cui testa venne sostituita con quella di Gajasura. Da allora, in India è viva la tradizione per cui qualunque iniziativa, per essere prospera, deve cominciare con l'adorazione di Ganesha; questo è il risultato del dono di Śiva a Gajasura.
                             Lo sguardo di Shani 

Una storia poco celebre riguardante le origini di Ganesha si trova nel Brahma Vaivarta PuranaŚiva chiese a Parvati, la quale desiderava avere un figlio, di compiere un particolare sacrificio (punyaka vrata) per un anno, in modo da appagare Viṣṇu.
Dopo il completamento del sacrificio, il Signore Krishna promise a Parvati di incarnarsi come suo figlio, all'inizio di ogni kalpa o era cosmica. Così Krishna nacque come un bellissimo bambino, con grande gioia di Parvati che volle celebrare la miracolosa nascita. Tutti gli dèi e le dee si riunirono per gioire della nascita. Shani, figlio di Surya (il deva del sole), era presente ma si rifiutò di guardare il neonato; disturbata dal suo comportamento, Parvati gliene chiese la ragione, e Shani rispose che se avesse guardato il bambino lo avrebbe ferito. In seguito all'insistenza di Parvati, Shani volse lo sguardo e, non appena i suoi occhi si posarono sul neonato, la sua testa fu tagliata all'istante. Tutte le deità presenti si disperarono, per cui Viṣṇu si precipitò sulle rive del fiume Pushpabhadra e tornò con la testa di un giovane elefante, e la unì al corpo del bambino infondendogli nuova vita. Viṣṇu benedì il bambino, promettendogli che egli sarebbe stato adorato prima di qualunque altra deità, e che sarebbe stato il migliore tra gli yogi; allo stesso modo Śiva lo pose a capo delle sue truppe e lo benedì, affermando che qualsiasi ostacolo, di qualsiasi entità, sarebbe stato superato pregando Ganesha.
          
La prima parte del poema epico del Mahābhārata dichiara che il saggio Vyāsa chiese a Ganesha di trascrivere il poema sotto la sua dettatura; Ganesha acconsentì, ma solo alla condizione che Vyāsa avrebbe dovuto recitare il poema ininterrottamente, senza alcuna pausa. Il saggio, allora, pose a propria volta una ulteriore condizione: Ganesha avrebbe non solo dovuto scrivere, ma comprendere tutto ciò che udiva ancor prima di scriverlo. In questo modo Vyāsa avrebbe potuto riprendersi un poco dal suo continuo parlare, semplicemente recitando un verso difficile da capire. La dettatura cominciò, ma nella foga della scrittura il pennino di Ganesha si ruppe, così egli si spezzò una zanna e la usò come penna affinché la trascrizione potesse andare avanti senza interruzioni, così da permettergli di mantenere la parola data.[4]
                        Ganesha e Parashurama
Un giorno Parashurama, un avatar di Viṣṇu, si recò a fare visita a Śiva, ma lungo la strada fu bloccato da Ganesha. Parashurama si scagliò contro di lui con la sua ascia, e Ganesha (sapendo che quell'ascia gli era stata donata da Shiva) acconsentì a farsi colpire, perdendo così una zanna che fu tagliata.
                             Ganesha e la Luna

Ganesha mentre cavalca il topo. Si notino i fiori offerti dai devoti. Scultura del tempio Vaidyeshvara a TalakkaduKarnataka (India).
Si racconta che un giorno Ganesha, dopo aver ricevuto da moltissimi adoratori una gran quantità di dolci (Modak), per digerire meglio quell'impressionante mole di cibo, decise di fare una passeggiata; salì sul topo che utilizza come veicolo e partì. Era una notte magnifica e la Luna splendeva. All'improvviso spuntò un serpente che spaventò a morte il topo, il quale sussultando fece cadere il suo cavaliere. Il grosso stomaco di Ganesha venne schiacciato e, troppo pieno, scoppiò; tutti i dolci che aveva mangiato si sparsero attorno a lui. Tuttavia, egli era troppo intelligente per prendersela a causa di questo incidente, per cui senza perdere tempo in inutili lamentele, si preoccupò soltanto di risolvere al meglio la situazione: prese il serpente che aveva causato l'incidente e lo utilizzò come cintura per tenere chiuso il suo addome e bendare la ferita; e, soddisfatto, salì nuovamente sul topo e riprese il suo giro. Chandra, il deva della Luna, nel vedere la buffa scena scoppiò a ridere e si prese gioco di Ganesha; questi allora ritenne giusto punire il deva per la sua arroganza, quindi si spezzò una zanna e la lanciò contro la Luna spaccandone a metà il viso luminoso. Egli la maledisse, decretando che chiunque l'avesse guardata sarebbe stato perseguitato dalla sfortuna. Chandra, rendendosi conto del proprio errore, chiese perdono e pregò Ganesha di ritirare la maledizione; ma una maledizione non può essere revocata, soltanto attenuata, così Ganesha condannò la Luna a crescere e calare in intensità secondo cicli di 15 giorni, e stabilì che chiunque l'avesse guardata durante la festività di Vinayaka Chaturthi sarebbe stato colpito dalla sfortuna. Così, in certi momenti la luce della Luna si sarebbe spenta, per poi ricominciare poco a poco ad apparire; ma la sua faccia sarebbe rimasta intera soltanto per un brevissimo periodo di tempo, perché poi si sarebbe nuovamente "spaccata" fino a scomparire.
          Ganesha, Capo delle Schiere Celesti 
Una volta fu indetta una grande gara tra i Deva per scegliere tra essi il capo dei Gana (le truppe di semidèi al servizio di Shiva). I concorrenti avrebbero dovuto fare velocemente il giro del mondo e ritornare ai Piedi di Shiva. Gli Dei partirono sui propri veicoli, ed anche lo stesso Ganesha partecipò con entusiasmo alla gara; ma aveva una grossa corporatura, e per veicolo un topo! Naturalmente, procedeva con notevole lentezza e ciò gli era di grande svantaggio. Non aveva ancora fatto molta strada, quando gli apparve davanti il saggio Narada (figlio di Brahma), che gli chiese dove fosse diretto. Ganesha fu molto seccato e andò su tutte le furie, poiché era considerato infausto il fatto che, non appena s'iniziasse un viaggio, si incontrasse un Brahmino solitario. Nonostante Narada fosse il più grande dei bramini, figlio dello stesso Brahma, ciò rimaneva comunque di cattivo auspicio. Inoltre, non era considerato buon segno ricevere la domanda "Dove sei diretto?" quando ci si stava dirigendo da qualche parte; quindi Ganesha si sentì doppiamente sfortunato. Tuttavia, il grande brahmino riuscì a calmare la sua collera. ll figlio di Shiva gli raccontò il motivo della sua tristezza e il suo desiderio di vincere; Narada lo consolò, esortandolo a non disperarsi, e gli diede un consiglio:
"Così come un grande albero nasce da un singolo seme, il nome di Rama è il seme da cui si è sprigionato quell'immenso albero chiamato Universo. Perciò, scrivi per terra il nome "Rama", fai un giro intorno ad esso, e precipitati da Shiva a reclamare il tuo premio."
Ganesha tornò da suo padre, il quale gli chiese come avesse potuto fare così in fretta. Rispose, raccontandogli la storia ed il suggerimento di Narada; Shiva, soddisfatto della saggia risposta alla sua domanda, dichiarò vincitore suo figlio il quale da quel momento fu acclamato con il nome di Ganapati (Conduttore delle schiere celesti) e Vinayaka (Maestro di tutti).
                        L'appetito di Ganesha 

Ganesha è anche il distruttore della vanità, dell'egoismo e dell'orgoglio.
Un aneddoto tratto dai Purana narra che il tesoriere di Svarga (il paradiso) e dio della ricchezza, Kubera, si recò un giorno sul monte Kailasa per ricevere il darshan (la visione) di Shiva. Poiché era molto vanitoso, lo invitò ad una cena nella sua sfarzosa città, Alakapuri, in modo da potergli esibire tutte le sue ricchezze. Shiva sorrise e gli disse: "Non posso venire, ma puoi invitare mio figlio Ganesha. Ti avverto che è un vorace mangiatore!". Per nulla preoccupato, Kubera si sentiva pronto a soddisfare con la sua opulenza anche una fame insaziabile come quella di Ganesha. Prese con sé il piccolo figlio di Shiva e lo portò nella sua città; lì gli offrì un bagno cerimoniale e lo rivestì di abiti sontuosi. Dopo questi riti iniziali, iniziò il grande banchetto. Mentre la servitù di Kubera si impegnava al massimo per servire tutte le portate, il piccolo Ganesha si mise a mangiare, mangiare e mangiare... Il suo appetito non si arrestò neppure dopo aver divorato i piatti destinati agli altri ospiti; non c'era nemmeno il tempo di sostituire una portata all'altra, che Ganesha aveva già divorato tutto e, con segni di impazienza, attendeva nuovo cibo. Divorato tutto quanto era stato preparato, Ganesha prese a mangiare decorazioni, suppellettili, mobili, lampadari... Atterrito, Kubera si prostrò davanti al piccolo onnivoro e lo supplicò di risparmiargli il resto del palazzo.
"Ho fame. Se non mi dài altro da mangiare, divorerò anche te!", disse a Kubera. Questi, disperato, si precipitò sul monte Kailasa per chiedere a Śiva un rimedio urgente. Il Signore gli diede allora una manciata di riso abbrustolito, dicendo che quello l'avrebbe saziato; Ganesha aveva già ingurgitato quasi tutta la città, quando Kubera gli donò umilmente il riso. Con quel cibo, finalmente Ganesha si saziò e si calmò.
                       Devozione alla Madre 
Una volta, da bambino, il piccolo Ganesha stava giocando con un gatto e inavvertitamente lo ferì. Quando tornò a casa, trovò la madre Parvati dolorante e ferita; le chiese come si fosse fatta male, ed ella rispose che la responsabilità non era di altri se non dello stesso Ganesha. Sorpreso, egli le domandò quando questo fosse successo. Parvati spiegò che, in quanto "Energia Divina" (o Shakti), Lei è immanente in tutti gli esseri; quando Ganesha ferì il gatto, anche Parvati fu ferita. Ganesha realizzò che tutte le donne erano unicamente manifestazioni di sua Madre, e decise di non sposarsi. Fu così che rimase un Brahmachari, ovvero "celibe a vita"; ma d'altronde, non avendo desideri, Ganesha non sentiva alcuna necessità di avere delle mogli o dei figli.
Il Signore la cui forma è OM

Omkara
Ganesha è anche definito Omkara o Aumkara, ovvero "avente la forma della Om   (o Aum)". Infatti, la forma del suo corpo ricalca il contorno della lettera sanscrita che indica il celeberrimo Bija Mantra; per questo Ganesha è considerato l'incarnazione del Cosmo intero, Colui che sta alla base di tutto ciò che è manifesto (VishvadharaJagadoddhara).

La sacra sillaba Aum in lingua Tamil.
In lingua Tamil, la sacra sillaba è indicata da un carattere la cui forma ricorda la sagoma della testa d'elefante di Ganesha. Questo particolare è simbolo dell'identificazione di Ganesha con la Om, l'identificazione di Dio con il Verbo ("In principio era il Verbo, / il Verbo era presso Dio / e il Verbo era Dio." Giovanni 1,1), ovvero il suono primordiale che da Lui scaturisce generando l'intero universo manifesto.

                        I nomi di Ganesha 

Statua di Ganesha fotografata a Londra durante la festa di Dipavali.
Come per tutte le altre Murti induiste, anche Ganesha è invocato attraverso innumerevoli appellativi che si riferiscono ai suoi attributi e caratteristiche.
Alcuni di essi:
      GanapathiConduttore delle schiere celesti (Gana)
      GananathaSignore delle schiere celesti
      GananayakaMaestro di tutti gli esseri
      Omkaresha o OmkareshvaraSignore la cui forma è OM
      GajavadanaSignore dalla testa di elefante
      GajananaSignore dal volto di elefante
      VinayakaColui al di sopra del quale non esistono Maestri
      VighneshvaraSignore degli ostacoli
      Vighna VinashakaDistruttore degli ostacoli
      Vishvadhara o JagadoddharaColui che regge l'Universo
      Vishvanatha o JagannathaSignore dell'Universo
      Mushika VahanaColui che cavalca il topo
      Lambodharadal grosso ventre
      Vakratundadalla proboscide ricurva
      Ekadantadall'unica zanna
      Shupakarnadalle larghe orecchie

Un'altra murti molto amata è quella di Bala Gajanana o Bala Ganesha (lett. piccolo Ganesha o Ganesha bambino), in cui un giovanissimo Ganesha dalla piccola proboscide e dai grandi occhi viene raffigurato in braccio ai Genitori Divini, oppure mentre abbraccia dolcemente il Lingam, simbolo di Śiva.
              I Festival ed il culto di Ganesha 
Nell'India del sud, si festeggia un'importante festività in onore di Ganesha. Anche se è particolarmente popolare nello stato del Maharashtra, la si esegue in tutta l'India. Si celebra in dieci giorni, cominciando da Vinayaka Chaturti. Fu introdotta da Balgangadhar Tilak come mezzo per promuovere sentimenti nazionalistici quando l'India era occupata dagli Inglesi. Questo festival si celebra e culmina nel giorno di Ananta Chaturdashi quando la murti di Shri Ganesha è immersa nella più vicina riserva d'acqua: a Bombay la murti viene immersa nel Mare Arabico, a Pune nel fiume Mula-Mutha, mentre in varie città indiane del nord e dell'est, come Kolkata, le murti sono immerse nel sacro fiume Gange.


Le rappresentazioni di Ganesha si basano su simbolismi religiosi antichi migliaia di anni che culminano nella figura di una divinità dalla testa di elefante. In India le statue sono espressioni di significati simbolici e quindi non sono mai state spacciate come repliche esatte di una figura vivente. Ganesha non è visto come un'entità fisica, ma come un più elevato essere spirituale e le murti (rappresentazioni scultoree) hanno la funzione di simboleggiare la divinità come figura ideale. L'errore più comune per la concezione giudaico-cristiana occidentale è scambiare il concetto di murti con quello di idolo (culto ad oggetti fine agli oggetti di per sé stessi); c'è una profonda differenza tra i due, poiché presso la filosofia induista le murti sono punti di focalizzazione simbolica attraverso i quali è possibile raggiungere la Divinità. Per questa ragione si intraprende l'immersione delle murti di Ganesha nei fiumi più vicini, poiché questo simboleggia il fatto che esse permettono una comprensione solo temporanea di un Essere superiore; questa concezione è pertanto opposta a quella di idolo, che tradizionalmente indica il culto ad un oggetto per l'oggetto stesso, considerato divino.
Il culto di Ganesha in Giappone è stato datato all'anno 806.























             La rinascita della popolarità 
























Recentemente, si è verificata una rinascita del culto di Ganesha e si è sviluppato un interesse sempre crescente verso questa divinità nel mondo occidentale, in seguito ad una "inondazione" di presunti miracoli: secondo la rivista Hinduism Today ed il libro Ganesha, Remover of Obstacles (di Manuela Dunn Mascetti), il 21 settembre 1995 le statue di Ganesha in India avrebbero cominciato spontaneamente a bere latte, ogni volta che un cucchiaio veniva posto davanti alla bocca di ogni statua per onorare il Dio-elefante. È riportato che il fenomeno si allargò e si verificò anche in altri luoghi, da New Delhi a New YorkCanadaMauritiusKenyaAustraliaBangladeshMalaysiaRegno UnitoDanimarcaSri LankaNepalHong KongTrinidadGrenada e Italia. Questi avvenimenti furono considerati miracolosi da molte persone, e vennero interpretati come un ricordo della giocosità di Ganesha, del suo amore per i giochi e gli scherzi.


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                       SHIVA NATARANJAI












                                        

    Il Signore della corte di Tillai esegue una            

    danza mistica: che cos è, mio caro?

    Tiruvasagam, XII, 14

    Fra i nomi principali di Shiva vi è quello di Nàtaràja, « Il Signore dei danzatori» o «Re degli 
    attori».

 Il Cosmo è il Suo teatro. Il Suo repertorio comprende molti passi, situazioni e manifestazioni, differenti della Creazione. Egli è, nello stesso tempo, attore e pubblico, Creatore, conservatore e (distruttore) o trasfromatore:
   

                                  Quando lAttore suona il tamburo,
                                  tutti vengono a vedere lo spettacolo;
                                  quando lAttore raccoglie gli oggetti di scena,
                                  rimane da solo nella Sua felicità.


    Non saprei dire quante diverse danze di Shiva siano note ai Suoi devoti. Senza dubbio, lidea di fondo espressa da tutte queste danze è più o meno la stessa: la manifestazione dellenergia ritmica primordiale.

    Shiva è lEròs Pròtogonos di Luciano quando scriveva: «Sembrerebbe che la danza sia nata al principio di ogni cosa e venuta alla luce con lantico Eròs; infatti vediamo questa danza primordiale manifestarsi chiaramente nella danza corale delle costellazioni, negli astri, nei pianeti e nelle stelle fisse, nel loro intrecciarsi e avvicendarsi nellarmonia ordinata dell'Universo».


    Non intendo dire che il significato più profondo della danza di Shiva fosse presente alle menti di coloro che per primi danzarono, con unenergia ebbra e forse sotto leffetto di droghe, in onore del dio delle montagne preariano successivamente diventato Shiva.

    Nella religione o nellarte un grande motivo e qualunque grande simbolo diventano tutto per tutti gli uomini, ai quali offrono, nel corso delle epoche, i tesori che essi trovano nei propri cuori. Quali che fossero le origini della danza di Shiva, questa diventò con il passare del tempo la più nitida immagine dellattività di Dio di cui una qualsiasi forma artistica o religiosa abbiano mai potuto vantarsi.

    Fra le varie danze di Shiva, per quanto riguarda il nostro studio, ne tratteremo solamente tre, anche se una sola di queste costituisce il principale oggetto della nostra più utile interpretazione.

La prima è una danza serale nella regione dellHimàlaya, accompagnata da un coro divino, che viene così descritta nello Shiva Pradosa Stotra:

    «Ponendo la Madre dei Tre Mondi (la sua sposa Pàrvatì) sopra un aureo trono, intarsiato di gemme preziose, Shùlapàni (altro nome di Shiva) danza sulle alture del Kailàsa (la sua sacra Montagna) e tutti gli dèi Lo circondano:
    Sarasvati suona la vina, Indra il flauto, Brahma tiene in mano i cembali che scandiscono il tempo, Laksmi intona un canto, Visnu suona il tamburo e tutti gli dèi stanno intorno: i Gandharva, gli Yaksa, i Pataga, gli Uraga, gli Shudda, i Sàdhya, i Vidyàdhara, gli Amara. le Apsaras e tutti gli esseri che dimorano nei tre mondi si riuniscono là per assistere alla danza celeste e per ascoltare la musica del coro divino allora del tramonto». 

    A questa danza serale fa riferimento anche linvocazione che precede il Kathà Sarit Sàgara. Nelle rappresentazioni pittoriche di questa danza Shiva ha due mani e la compartecipazione degli dèi è chiaramente indicata dal loro assetto corale.                                                                              

                                                                                                                                                            
    La seconda celebre danza di Shiva viene chiamata Tàndava che è, in origine, quella di una divinità preariana appartenente allaspetto tamasico della divinità, quello di Bhairava o Virabhadra. Essa viene esguita da Shiva  rappresentato con dieci braccia che danza selvaggiamente insieme a Devi, la dea Parvatì, seguito da schiere di asura (spiriti inquieti) saltellanti. Tale danza è la danza cosmica della creazione, dellesistenza e della distruzione, o trasformazione di ogni cosa, per rimanifestarsi in seguito, in altra e dimensioni, continuando questa danza della Creazione.
 Rappresentazioni di questa danza sono frequenti nelle sculture antiche, come quelle di Ellora, Elephanta e, inoltre, di Bhuvaneshvara che è, in origine, quella di una divinità preariana.

    
 In terzo luogo, abbiamo la danza Nadanta di Nàtaràja davanti allassemblea (sabhà) nella sala dorata di Cidambara, o Tillai, il Centro dellUniverso, rivelato per la prima volta agli dèi e ai rsi (saggi) dopo la capitolazione di questi ultimi nella foresta di Taragam, come riferisce Koyil Puranam.
 La leggenda può essere riassunta come segue:

Nella foresta di Taragam abitavano schiere di rsi eretici (saggi ribelli seguaci della Mìmàmsà, una corrente filosofica).  Là, per confutarli, Shiva,  come Signore dell'Universo si recò per confermare il Suo primato, accompagnato da Visnu, travestito da bella donna, e da Ati-Sesan, (la divinità dellenergia primordiale).

    In un primo momento i rishi furono indotti a una violenta disputa luno con laltro, ma ben presto la loro collera si diresse contro Shiva, che essi cercarono di annientare con i loro potenti incantesimi.
 Nei fuochi sacrificali crearono una tigre feroce che sì slanciò contro di Lui; ma, sorridendo con gentilezza, Egli la catturò e, con lunghia del Suo dito mignolo, 1e tolse la pelle e la indossò come un vestito di seta.



Non scoraggiati dallinsuccesso, i rishi rinnovarono le loro offerte sacrificali alle forze del male sui loro fuochi sacri  e produssero un serpente mostruoso che Shiva, tuttavia, catturò e Si avvolse intorno al collo come una ghirlanda. A quel punto Shiva cominciò a danzare: ma qui, da ultimo, lo assalì un mostro nella forma di un nano malvagio, Muyalaka.

Il Dio lo schiacciò con la punta del piede e gli spezzò la schiena, cosicché egli si dimenava al suolo; in tal modo, umiliato il Suo ultimo nemico, Shiva riprese a danzare davanti a dèi e rishi. Allora Ati-Sesan rese onore a Shiva e, prima di ogni altra cosa, chiese in dono di poter contemplare ancora una volta questa danza mistica; Shiva promise di farlo assistere nuovamente alla danza nella sacra Tillai, il Centro dellUniverso.

Questa danza di Shiva a Cidambara o Tillai costituisce il soggetto delle bellissime immagini, incisioni di rame e bellissime sculture di bronzo dell'India meridionale raffiguranti Shri Nàtaràja, il Signore della Danza Cosmica. Queste immagini differiscono fra loro in dettagli di poco conto, ma esprimono tutte una concezione fondamentale. Prima di procedere però ad esaminare in cosa esse consistano in tutta la loro ricca gamma di simboli, sarà necessario descrivere la figura di Shri Nàtaràja nella sua rappresentazione caratteristica.

Le immagini o sculture, dunque, raffigurano Shiva danzante, con quattro mani e con la chioma intrecciata e ingioiellata, le cui ciocche inferiori si agitano nella danza. Fra i Suoi capelli sono visibili un cobra attorcigliato (quello precedente, che rappresenta, appunto, lenergia cosmica domata),  un teschio( simbolo del Signore che vince la Morte) e la figura della sirena Ganga, (il fiume Gange di cui Shiva frenò la furiosa discesa sulla terra dalle valli paradisiache, per dare la vita sulla terra assetata); sopra la Sua testa si trova la luna crescente, simbolo dei poteri della mente che il Dio conferisce ai suoi devoti, e i capelli del Dio sono incoronati con un serto di foglie di cassia, (la pianta ornamentale per incoronare la testa dei Grandi).

Allorecchio destro Shiva porta un orecchino da uomo, allorecchio sinistro uno da donna; Egli è adorno di collane e bracciali, di una cintura ingioiellata, di cavigliere, di catenine da polso, di anelli alle mani e ai piedi. La parte principale del Suo abbigliamento consiste nei calzoni ornati aderenti, ed Egli indossa anche una sciarpa ondeggiante e un cordone sacro. Una delle mani destre tiene un tamburo, simbolo della vibrazione cosmica creatrice che scandisce il tempo ed emana le vibrazioni energetiche; laltra è alzata per mostrare assenza di paura; una delle mani sinistre porta il fuoco sacro della purificazione, laltra indica in basso il nano deforme, Muyalaka, il demone dellignoranza; vi è poi un altro cobra; quindi il piede sinistro è sollevato e sta a significare la ricerca dellelevazione spirituale nellesisistenza.



                                                                                                                                                   
Alla base del tutto vi è un piedistallo a forma di loto sul quale poggia unaureola circolare, orlata di fuoco (tiruvasi = l'Universo) che lo incorona,  internamente scossa dalla danza e dalle braccia e  mani vorticanti del Dio che agitano il tamburo e reggono il fuoco della vita. Tali immagini o sculture sono di tutte le dimensioni; raramente, se non proprio mai, esse superano in totale i quattro piedi di altezza.

Anche se non potessimo affidarci ai riferimenti letterari, linterpretazione di questa danza non riuscirebbe difficile. Per fortuna siamo comunque assistiti da una copiosa letteratura contemporanea che ci mette in grado di spiegare completamente non soltanto il significato generale della danza ma, nella stessa misura, i dettagli del suo concreto simbolismo.

Alcune peculiarità delle immagini di Nàtaràja appartengono, ovviamente, alla concezione di Shiva in generale: le Sue ciocche intrecciate come quelle di uno yogin; la ghirlanda di cassia; il teschio di Brahma; la figura del Gange che cadendo dal cielo frenò la sua furia fra i capelli di Shiva; i cobra, simbolo dellenergia universale domata; i diversi orecchini, simbolo dellaspetto androgino del dio che contiene in se il principio maschile e femminile della creazione, tutti aspetti che alludono alla natura duale di Mahàdeva, «la cui metà è Umà, (altro nome della Dea madre)»; le quattro braccia, che rappresentano il Suo dominio sui quattro punti cardinali del mondo.
 Anche il tamburo è generalmente un attributo di Shiva che pertiene al Suo carattere di yogin, (Signore del tempo) sebbene nella danza assuma, da come abbiamo visto, ulteriori significati cosmici.

Qual è, allora, il senso della danza Nadanta di Shiva secondo gli shivaiti?

Nelle linee fondamentali, esso si ricava da testi come questo; «Il nostro Signore è il Danzatore che, come il calore latente nella legna da ardere, diffonde il Suo potere nella mente e nella materia e le fa danzare a turno nell'evoluzione della Creazione».

La danza, di fatto, rappresenta 1e Sue cinque attività (Pancakrtyà):

     Srsti - dominio, creazione, evoluzione;

    Sthiti - conservazione, sostegno;

    Sambhàra - distruzione, evoluzione; T

    irobhàva - occultamento, incorporamento, illusione e, inoltre, acquietamento;

    Anugraha - liberazione, salvezza, grazia.

    

 Queste, considerate separatamente, sono le attività delle deità Brahma, Visnu, Rudra, Maheshvara e Sadàshiva.
Questa attività cosmica è il motivo centrale della danza. Con altre citazioni potremo llustrare e spiegare il ricco simbolismo con maggiori dettagli.

    La sacra scrittura, Unmai Vilakkam, v. 36, infatti, ci dice:

    «La creazione nasce dal tamburo, dalla sua vibrazione;

    la protezione deriva dalla mano della speranza;

    dal fuoco che tiene nellaltra mano ha origine la purificazione e la distruzione, per favorire una nuova manifestazione evolutiva;

    il piede sollevato concede la liberazione al sincero ricercatore».

 Si osserverà che la quarta mano indica questo piede sollevato, simboleggiando in tal modo il rifugio dello spirito. 

    Nel seguente passo di tale sacra scrittura, poi, leggiamo:

    «O mio Signore, la Tua mano che regge il tamburo sacro ha creato e ordinato con le vibrazioni cosmiche i cieli, la terra, gli altri mondi e le innumerevoli anime 

    La Tua mano levata protegge sia le Tue creature coscienti sia quelle incoscienti.

    Tutti questi mondi sono trasformati dalla Tua mano che tiene il sacro fuoco. 

    Il Tuo sacro piede, piantato al suolo, offre un riparo alle anime affaticate che si dibattono negli affanni della causalità mentre

    il Tuo piede sollevato assicura leterna beatitudine a coloro che Ti raggiungono 

   Queste Cinque Azioni sono, in verità, la Tua Opera» (Cidambara Mummani Kovai).



    I seguenti versi dal Tirnkuttu Dariana - «Visione della Danza sacra, che costituiscono il nono tantra del Tirxmantram di Tirumalar, ampliano ulteriormente il motivo centrale:

    La Sua forma è ovunque: pervade ogni  cosa
    con la Sua Shiva-Shakti;
    Cidambara è in tutti i luoghi, in tutti i luoghi è la Sua danza;
    poiché Shiva è tutto ed è onnipresente,
    dappertutto si manifesta la  danza di Shiva clemente.

    Le Sue danze di cinque specie sono temporali e senza tempo.

    Le Sue danze dì cinque specie sono le Sue Cinque Attività

    Con la Sua Grazia Egli compie i cinque atti,
    questa è la sacra danza di UmàSahaya.
    Egli danza con (la Terra, l' Acqua, il Fuoco, il Vento e lEtere:
    cosi il nostro Signore danza sempre nella corte.

    Visibile a coloro che superano la màya e la mahàmàyà,
    
     - lillusione e la superillusione 

    Il nostro Signore danza la Sua eterna danza,
    La forma della Shakti (l'Energia cosmica) è tutta gioia;
    questa gioia unificata è il corpo di Umà:
    questa forma di Shakti che nasce nel tempo
    e unisce gli opposti è la danza.
    Il Suo corpo è Akash, (lo spazio cosmico) la nube scura allinterno è Muyalaka, (lignoranza)
    gli otto angoli del mondo sono le Sue otto braccia,
    le tre fonti luminose sono i Suoi tre occhi, (i tre mondi);
    diventando questo, Egli danza nel nostro corpo come la totalità.

 Questa è la Sua danza divina. Il suo significato più radicale si coglie quando si comprende che essa ha luogo nel cuore e nel Sé individuale. Dio è dappertutto; quel «dappertutto» è anche e soprattutto il cuore umano. E così in un altro passo troviamo anche:


    Il piede danzante, il tintinnio dei campanelli,
    i canti che vengono eseguiti e i differenti passi,

    la forma assunta dal nostro Gunupara Danzante:
    impara a conoscere tutto questa dentro te stesso,
    e le tue catene scompariranno.

A questo fine, tutto, fuorché il pensiero rivolto a Dio, devessere espulso dal cuore, in cui Egli solo dimora e danza.

Nell Unmai Vilakkam leggiamo ancora:

    «Gli asceti silenziosi, distruggendo il triplice legame, si insediano laddove i loro sé individuali vengono annullati nella meditazione. Quindi essi contemplano il sacro e si riempiono di beatitudine. Questa è la danza del Signore dellassemblea, la cui vera forma è la Grazia».

    Con questo riferimento agli «asceti silenziosi» confrontiamo le belle parole di Tirumular, un grande saggio del passato:

    «Quando riposano là, essi [gli yogìn che raggiungono lo stadio di pace più elevato] dimenticano se stessi e diventano inattivi, (contemplativi, in estasi);

    Il luogo in cui abitano gli inattivi è lo Spazio puro nel mentale liberato.

    Il luogo in cui gli inattivi si svagano è la Luce di Dio.

    Ciò che gli inattivi conoscono è il Vedànta.

    Ciò che gli inattivi trovano in quel luogo è la  profonda pace e la fusione con lAssoluto>.
    Shiva è un distruttore delle negatività e ama i luoghi solitari dove la meditazione è più efficace. 

     Ma che cosa distrugge?

    Non soltanto i cieli e la terra alla fine di un ciclo cosmico del mondo, ma le catene che avvincono ogni anima individuale.



                                                                                                                                                        
 Dove si trova, e che cosè il campo solitario?  Non è il luogo in cui i nostri esseri si annullano, ma i cuori di chi Lo ama, lasciati abbandonati e desolati. Il luogo in cui lego è distrutto indica la condizione nella quale lillusione e le azioni umane  vengono bruciate: è quello il rogo, il campo crematorio, in cui danza Shri Nàtarja; perciò Egli è chiamato Sudalaiyadi, «danzatore del campo crematorio».

    In questa similitudine riconosciamo il collegamento storico fra la danza leggiadra di Siva in quanto Nàtaràja e la Sua danza selvaggia in quanto distruttore degli aspetti negativi che bruciano nel nostro cuore..
    Questa concezione della danza è diffusa anche fra gli Shakta, (i cultori della Shakti, lEnergia divina)  specialmente nel Bengala, dove viene adorato laspetto materno, anziché quello paterno, di Shiva. Qui Kàlì, (la dea Madre) è la danzatrice, e per consentirne lingresso il cuore devessere purificato con il fuoco, svuotato con la rinuncia.

  Tornando al Sud, vediamo che lo scopo della danza di Shiva viene spiegato in altri testi Tamil: «Per assicurare alle infinite anime tutti i frutti di entrambi i generi, il nostro Signore, con cinque azioni, esegue la Sua danza> (Shivajnàna Siddhiyar, Supaksa, Sùtra V).

    I due generi d frutti sono Iham, la ricompensa in questo mondo, e Purana, la beatitudine in Mukti, (la liberazione in vita dei saggi illuminati attraverso lintensa pratica dello yoga e della meditazione).

    Ancora lUnmai Vilakkam, V 32, 37, 3 ci insegna che «la Suprema lntelligenza danza nellanima individuale per cancellare i nostri peccati: 

    con questi mezzi il nostro Padre dissolve le tenebre dellillusione (Màyà);

    brucia la rete della causalità (karma);

    schiaccia il male (mala, ànava, avidyà),

    fa piovere la Grazia e immerge amorevolmente lanima nelloceano della Beatitudine (ànanda).

    Coloro che contemplano questa danza mistica non vedono mai rinascite.


    La concezione del divenire come svago e divertimento (lìlà) del Signore è importante anche nelle Scritture Shivaite. Cosi, Tirumular scrive:

    «La danza eterna è il Suo gioco».

    Questa spontaneità della danza di Shiva viene espressa nel Poema dellEstasi di Skrjabin con chiarezza tale che i seguenti estratti serviranno a spiegarla meglio di qualsiasi altra esposizione formale; quello che il grande e ispirato poeta illuminato, Skrjabin scrisse è precisamente ciò che venne rappresentato dallartista figurativo indù in maniera straordinaria nella rappresentazione di Nàtaràja, lo Shiva danzante nelle famose immagini e bronzi.



    

    (Leggete ora con profonda meditazione questa meravigliosa lirica uscita dalla mente di un estatico poeta indiano antico che descrive il Creatore che in prima persona contempla e gode della Sua stupenda Creazione!):

    

    Lo spirito (purusa) che gioca,
    lo spirito che desidera,
    lo spirito che crea ogni cosa con la fantasia (yoga-màyà),

    si abbandona alla beatitudine (ànanda) dellamore
    ()

    Tra i fiori della Sua creazione (prakrti), Egli si ferma a baciare
    Accecato dalla loro bellezza, Egli corre, saltella, danza, -volteggia
    ()

    Egli è tutto estasi, tutto beatitudine, in questo gioco (lìIà)

    libero e divino, in questa lotta damore,
    nella meravigliosa grandezza della pura assenza di fini

    e nellunione delle tendenze contrastanti (dvandva).

    Solo nella consapevolezza, solo nellamore,
    lo Spirito apprende la natura (svabhàva) del Suo essere divino

     ()
    «O mio mondo, o mia vita, o mia fioritura, o mia estasi!

    In ogni vostro istante io creo
    negando tutte le forme prima esistite:                                                                                           

    io sono leterna negazione (neti, neti).
    Godendosì questa danza, soffocando in questo vortice,

     nel dominio dellestasi, Egli si alza rapido in volo.

    In questo incessante mutamento (samsàra, nitya bhàva),
    in questo volo,
    senza scopo (niskàma), divino,
    lo Spirito Si comprende,
    nel potere della volontà, solo (kevala), libero (mukta);
    sempre creando, irraggiando tutto, vivificando tutto,

    giocando divinamente nella molteplicità delle forme (prapanca),

    Egli Si comprende
    «Abito già in te, o mio mondo!
    Tu mi hai sognato: ero io che venivo allesistenza

     ()
    E tu sei tutto: unonda di libertà e beatitudine»
    Luniverso (samsàra) viene abbracciato da una conflagrazione
    generale (mahàpralaya),
    lo Spirito è al culmine dellessere e avverte il fluire ininterrotto

    del potere divino (Sàkti) della volontà libera.
    Egli è tutto coraggio:
    ciò che prima era minaccioso, ora è eccitazione,
    ciò che prima era terrificante, ora è gioia

     ()
    E luniverso risuona dellurlo di gioia che Io sono.




    Sembra che questo aspetto immanente di Siva abbia fatto nascere lobiezione secondo cui Egli danza come coloro che cercano di compiacere gli occhi dei mortali: ma si ribatte che, di fatto, Egli danza per mantenere la vita del cosmo e per concedere la liberazione a chi Lo cerca. Addirittura, se poi interpretiamo correttamente le danze dei danzatori umani, vedremo che anchesse conducono alla liberazione.

    Tuttavia è più vicino alla verità rispondere che la causa della Sua danza universale risiede nella Sua natura cosmica, che tutti i Suoi gesti sono innati (svabhàva-jah), spontanei e senza finalità egoiche, poiché il Suo essere si trova oltre lambito dei fini.


    In un senso molto più arbitrario la danza di Shiva viene identificata con il Pancaksara, cioè con le cinque sillabe della preghiera Shi-va-ya-na-ma, che significano: « Onoriamo il Signore dell'Universo, o, Salute a Shiva, il Dio benevolo; ma anche: Oh Signore misericordioso donaci ogni bene!».

    Sempre nell Unmai Vilakkam ci viene detto:

    «Se si medita su queste belle cinque lettere, lanima raggiungerà la terra in cui non esistono le tenebre, e la Shakti, l'Energia divina) la renderà una cosa sola con Shiva».
    Un altro verso dellUnmai Vilakkam spiega larco ardente (tiruvasi); il Pancaksara e la danza vengono identificati con la sillaba mistica Om  mentre larco è luncino (kombu) dellideogramma di questo simbolo: Larco, il cerchio, o l'Universo stesso intorno a Shri Nàtaraja è lOmkàra, la sacra vibrazione cosmica Om; e laksara, il fulgore, che non è mai separato dallOmkàra, è lo splendore in essa contenuto.

    Questa è la Danza del Signore di Cidambara, il Signore dei cuori puri».
    Tuttavia larco, o il cerchio infuocato che lo circonda è spiegabile in modo più naturale come rappresentazione della danza della Natura, la Prakrti in contrasto con la danza della sapienza di Shiva: «Da una parte si svolge la danza della natura, dallaltra la danza dellilluminazione.

    Fissa la tua mente al centro di questultima» (TìruArulPayan, cap. IX, 3).

    Nella parte seguente vi sono ulteriori e bellissimi commenti sul simbolsmo di questa straordinaria rappresentazione artistica del Nàtaràja, il signore della Danza della Vita e dell'UniversoLeggete e rileggete il tuttosoprattutto la lirica. E fantastica, grandiosaCommovente!


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                                                La danza di Shiva  



    A Nallasvami Pillai, un grande mistico e studioso delle belle Arti indiane antiche; e ad Ananda K. Coomaraswamy, altro eminente studioso contemporaneo delle Belle Arti indiane ed internazionali, dobbiamo i commenti di questo mirabile e complesso simbolismo sulla Danza di Shiva: la prima danza è lazione della materia, lenergia materiale e individuale. Essa è larco, il cerchio infuocato dentro il quale Shiva danza; è il tiruvasi, lOmkàra (l'OM) che rappresenta anche la danza della Natura, la danza della dea Kàli, Durga, Uma, Pàrvatì, Laksmi, i vari nomi o aspetti della dea Madre dell'Universo!

    Laltra è la danza di Siva: laksara, la Luce inseparabile dallOmkàra - chiamata ardhamàtra, cioè la quarta lettera del Pranava -, Caturtha e Turya, (cioè quello stato in cui attraverso la meditazione si raggiunge l' Illuminazione!.)

   La prima danza non si può eseguire a meno che non sia Shiva stesso a volerlo e a danzare.
    
La conclusione generale a cui arriva questa interpretazione dellarco è, allora, che esso rappresenta la materia, la natura, Prakrti; lo splendore contenutovi, Siva che danza al suo interno e tocca larco con la testa, le mani e i piedi, è lo Spirito (purusa) universale onnipresente e onnipervadente.

 Fra larco e Siva si trova lo spirito individuale poiché ya sta fra Shi-va e na-ma. (Infatti, quando si canta: Om nama shivaya, inspirando e Shivaya nama Om, espirando - vedi che ya, lo spirito individuale,  cioè noi ...dona a noi...ya quindi sta tra Shiva e nama - In sintesi la frase: Shivaya nama Om significa: Oh Signore misecordioso donaci la Grazia divina e concedici ogni bene!

     
    Ora, riassumendo lintera interpretazione, vediamo che i significati essenziali della danza di Siva sono tre:

    il primo, è che esso è limmagine del Suo gioco ritmìco, origine di ogni movimento ne1 cosmo, rappresentato dallarco, dall'Universo intorno a Lui;

    il secondo, è che lo scopo della Sua danza consiste nel liberare gli spiriti degli uomini dallinsidia dellillusione;

    il terzo, è che il luogo in cui avviene la danza Cidambara, il Centro delluniverso, si trova proprio dentro il nostro cuore!

 Finora ho evitato ogni valutazione estetica e ho soltanto cercato di trasporre lidea centrale nella concezione della danza di Siva dallespressione plastica a quella verbale, senza riferimento alla bellezza o allimperfezione delle opere individuali. Ma non può essere fuori luogo richiamare la vostra attenzione sulla grandezza di questa stessa concezione in quanto sintesi di Scienza, Religione e Arte.

    Se osservate, infatti, la meraviglia di questa statua, di questa effige simbolica, nella sua complessità e sintesi, ne risulta realmente qualcosa di grandioso!!!


    Quanto è sorprendente la portata del pensiero e della sensibilità di quei rshi-artisti (rshi = saggi) che concepirono per primi un archetipo come questo offrendo unimmagine della realtà, una chiave per la complessa trama della Vita e della Creazione universale;  una teoria della natura che non si adatta solamente ad un singolo gruppo ristretto di individui o una razza, né può essere accolta soltanto dai pensatori di un solo secolo ma esercita universalmente il suo fascino sul filosofo, sul musicista, sullamante e sullartista di ogni epoca e Paese!

    Quanto grande nel potere e nella grazia questa immagine danzante doveva apparire a tutti coloro che si sono sforzati di esprimere la propria intuizione della vita in forme plastiche!

 In questa epoca di specializzazioni non siamo abituati a una simile sintesi di pensiero; ma per coloro che «videro» immagini come questa, la vita e il pensiero non poterono essere separati in compartimenti stagni. Non sempre, quando giudichiamo i meriti delle opere individuali, comprendiamo la piena estensione del potere creativo che, per mutuare lanalogia dalla musica, riuscì a scoprire una maniera così efficace nellesprimere i ritmi essenziali e così profondamente significativa e verosimile alla meraviglia del Creato e dell'Universo intero!.

 Ogni parte di unimmagine come questa rappresenta in modo immediato non una semplice superstizione o un dogma, ma fatti palesi. Nessun artista odierno, per quanto grande, potrebbe creare più fedelmente o più sapientemente unimmagine di quella Energia che la Scienza postula di necessità in tutti i fenomeni.

    Se intendiamo riconciliare il Tempo con lEternità, sarà difficile riuscirci senza concepire alternanze di fasi che si estendono oltre vaste distese spaziali e grandi tratti di tempo. Particolarmente significativi, allora, sono lalternanza di fase scandita dal tamburo che crea e il fuoco che «trasforma» ma non distrugge: questi non sono che simboli della dottrina del giorno e della notte di Brahmà, (...altro nome del Creatore)


    Nella notte di Brahmà la Natura è inerte e non può danzare finché non lo vuole Shiva. Egli si desta dalla Sua estasi meditativa e, danzando, invia attraverso la materia inerte onde pulsanti di un suono che provoca il risveglio; anche la materia inferiore danza, quindi, apparendo come unaureola intorno a Lui.

    Danzando, Egli sostiene i Suoi molteplici fenomeni della manifestazione dell'Universo e sulla Terra. Nella pienezza del tempo, ancora danzando, Egli distrugge tutte le forme e i nomi con il fuoco e concede nuovo riposo. Questa è poesia, ma è anche Scienza!

     Non è strano che la figura di Nàtaràja abbia ispirato ladorazione di tante generazioni passate. E ancora oggi, avvezzi a ogni genere di scetticismo, esperti nel ricondurre tutte le fedi a superstizioni primitive ed esploratori dellinfinitamente grande e dellinfinitamente piccolo, siamo affascinati devoti di Nàtaràja, devoti del Dio Unico, il Signore dell'Universo che danza la vita di noi tutti sin dalle origini, e all'!nfinito!

       Qui si conclude questa lunga dissertazione sulla danza di Shiva Nàtaràja...Credo sia il caso di approfondire bene il tutto e di meditare a lungo sui contenuti...


                                              Meditazione raccomandata!!!

    

...Om nama Shivaya (inspirando) - Shivaya nama Om! (espirando)

    
 Provate a praticare questa meditazione, al sole rosso al tramonto, tra cielo e mare o se siete in montagna, tra terra e cielo!

    Prima ad occhi aperti, fissando il sole; e poi ad occhi chiusi...almeno per un quarto d'ora!

                      Vi risetterà la mente e l'animo elevando la vostra energia interiore!

    

                                                            OM SHANTI

    

    ( Cortese concessione di  GarbhaYoga )




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molteplici direzioni, in Te che sei la dimora di tutto, che sei presente in tutto ciò che è mobile e immobile, in Te o Benefico io trovo rifugio".

Kundalini e dintorni




Pare che un maestro realizzato possa concedere un Samadhi a chiunque egli voglia, per dargli un assaggio di beatitudine. Di fatto però è raro che lo faccia, perché corpo e psiche del ricevente devono essere perfettamente armonizzati. Se il sistema nervoso di un individuo  non è pronto, un travaso di energia cosmica produrrebbe un'estasi, un orgasmo talmente forte da poterlo quasi incenerire sia metaforicamente (malattia psichica o vera e propria follia) sia letteralmente (morte per "scarica elettrica"). Cosa rende armonizzato un corpo e una mente? Anni e anni di meditazione, di mantra, di rosari, japa, di yoga o di qualunque altra disciplina spirituale.


Se non ci si è consumato il sedere in pratiche meditative o se non si è nati puri, l'armonia rimane un concetto musicale e basta. Ma nemmeno quello è sufficiente, perché se è il mio ego che vuol meditare, magari per acquisire qualche potere o conoscenza sfruttabili economicamente oppure per prestigio o per fama, il consumo del sedere servirà a poco. Ciò che conta è una cosa soltanto: una sincera, ardente tensione verso il divino, un fuoco mistico costante. Quella volta che Yogananda chiese al maestro Ram Gopal Muzundar un assaggio di Samadhi gli venne risposto più o meno la stessa cosa, cioè che il suo sistema nervoso non era pronto a ricevere una potente scarica di Energia. Ma la conferma dei rischi cui si va incontro per la prematura circolazione di energia nei canali nervosi (per gli yogi indiani nelle nadi, canali del corpo sottile) ci viene data dalla "bruciante" esperienza di Gopy Krishna, il quale stava per rimetterci la pelle. Molti santi occidentali (Santa Teresa d'Avila, San Giovanni della Croce, Santa Caterina, ecc.), raccontando le loro quasi insostenibili estasi hanno usato termini erotici: si parla di baci, di abbracci, di unioni sottili con lo Sposo o la Sposa, tutte cose che nei loro racconti appaiono come dei veri e propri orgasmi. Noi crediamo che un assaggio di tali grandiose estasi ogni serio ricercatore ha avuto la fortuna di provarlo. Quando si "gioca" col respiro seriamente, quando si prega "con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le proprie forze", quando si canta un mantra fino al silenzio mentale, quando si agisce con Amore assoluto, corpo e mente vengono armonizzati, i canali sottili vengono purificati dal Prana che comincia a circolare in essi, ed il serio ricercatore è pronto per almeno un assaggio di Beatitudine grazie alla circolazione della Divina Energia, la quale può produrre le cose più strane: arresto del respiro grossolano "sostituito" dallo stesso flusso di energia, strani movimenti del corpo, inspiegabili "rumori interiori", o suoni, visioni, musiche, e chi più ne ha più ne metta. A quel punto, l'assaggiatore capirà meglio il linguaggio dei mistici e dei santi orientali e occidentali.


Il rischio è che queste cose vengano "ficcate a forza" nel cervello dello pseudo ricercatore, quello dalla volontà debole, a cui al massimo potrà capitare di autoipnotizzarsi e viverle nella sua fantasia… La volontà  forte è appannaggio di quel ricercatore la cui coscienza individuale è talmente ansiosa di riunirsi alla Universale Coscienza di cui è parte , che nella sua vita non vede altro scopo che quello. La sua mente è concentrata su quell'unico obbiettivo e questo la rende super.
"Aiutati che Dio t'aiuta" suona l'antico adagio. Ebbene, ad una simile coscienza "individuale" vengono offerti mille aiuti dal Cielo. Il guaio è un altro: quando il ricercatore si imbatte in un tale movimento di energia farebbe bene a documentarsi con la tanto valida letteratura sul Kundalini Yoga e sui Tantra, perché il rischio è quello di perdere anni preziosi per ricercare la stessa esperienza che si è impressa nella mente in maniera così forte da avere quasi drogato il  fortunato "malcapitato"! La meditazione deve continuare, andare avanti, perché la meta è l'unione,  Yoga. Lo stesso dicasi per i cosiddetti poteri (siddhi): la meta non è quella: "non ti  curar di lor…".



Ma cos'è che risveglia Kundalini? Solo il potere generato dalle pratiche spirituali ridesta Kundalini ci informa il maestro Sivananda (Kundalini Yoga - ediz. Vidyananda). Più o meno le stesse cose ci dice Lilian Silburn nelle prime pagine del suo "La Kundalini o l'energia del profondo - ed. Adelphi,  altrettanto fanno, Gopy Krishna nei suoi libri sulla Kundalini, e Muktananda nel suo "il Giuoco della Coscienza" - Med.. Fra i tanti autori di tale particolare Yoga, questi maestri parlano per esperienza personale. Ma forse tanti altri saggi hanno raggiunto la meta senza mai averne parlato, in omaggio all'antico adagio orientale che recita "chi non sa nascondere la propria saggezza è uno sciocco".
Il talento che ci è stato affidato alla nascita (vedi bellissima parabola dei talenti del Maestro Gesù) è quella Goccia di Oceano, quella Coscienza individuale, quella moneta di Cosmica Energia che deve avere un unico scopo: centuplicarsi, cioè perdersi nel mare dell'Universale Coscienza, nella assoluta Energia-Luce-Cristo-Verbo creatore di tutto.

L'alchimia è una sorta di Kundalini Yoga il cui linguaggio è misterioso e altamente simbolico. Spesso la sua simbologia fa riferimento a pratiche simili allo "Yoga del sesso" orientale, ma come diceva quel grande maestro di saggezza che era Nisargadatta Maharaj non si può spegnere il fuoco (dei sensi delle passioni e dei desideri) con la benzina. Sì, esiste anche quel tipo di pratica, ma noi condividiamo il pensiero di Maharaj: la sua saggezza traspare dal suo linguaggio che, dopo l'illuminazione, non è certo più quello di un analfabeta tabaccaio indiano. Dal momento del suo risveglio è sbocciato come un fiore e le "api" sono accorse a Bombay da tutto il mondo, la sua creatività è nata grazie ad un risveglio della Divina Energia.
Per concludere ripetiamo: quello che occorre è una fermissima intenzione, un fuoco costante, un Sé che ha deciso di illuminarsi nel nostro corpo-mente dopo aver visto il gran da fare del sé-figliol prodigo.


Una piccola parentesi
Partendo proprio dal figliol prodigo possiamo tentare di spiegare i "meccanismi" attraverso cui una persona assolutamente normale, un bel giorno diviene un ricercatore, un mistico, un filosofo di quelli che stanchi dei pensieri comuni, salendo sul tetto della mente, chiedono ad essa di farsi antenna, di rimanere nella più assoluta attenta passivita' per riuscire a captare intuizioni, verità relative che possano costituire il primo varco di un sentiero che dal fitto della foresta di questa vita possa condurre, tappa dopo tappa, verso la Verità. E' il momento dell'incontro della prima Grazia scesa e del primo merito salito. Come se un dito pigiasse un tasto di pianoforte ed una nota ne venisse fuori presso che contemporaneamente. Oppure è come un seme che, dopo tanto tempo che stava lì nel terreno aggrappato alla propria "inutile" individualità di seme, decidesse di sposare la terra, l'acqua, l'aria e il fuoco  solare. O ancora, per dirla musicalmente, è come il momento della modulazione: l'armonia oziava in Do maggiore fra scale ascendenti e discendenti, pause e accenti, ed ecco che improvvisamente irrompe un Re settima: si apre una porta, ed  è Sol Maggiore, un'altra tonalità. Ecco, il mistico è un ex uomo comune, davanti a cui si è improvvisamente aperta una porta che decide di entrare per vedere dove conduce. Il misticismo, all'inizio, è una novità: il mondo e la vita si trascinavano con la solita prevedibilità e monotonia, e di colpo appare l'imprevisto. A prima vista potrebbe sembrare una fuga da se stessi, un tuffarsi nel mare della novità per rinnovarsi nella propria speciale individualità, ma così non é. Se il fortunato decide di attraversare quella porta, un vento miracoloso  gli spalancherà i cancelli dell'interiorità, e dopo il primo timido  dubbio sulla reale consistenza del proprio ego, di quel senso dell'io che ognuno ha, dopo la prima vaga certezza della illusorietà di esso, si farà prendere dalla smania febbrile di conoscere la natura della propria vera essenza. Si chiederà allora: "ma io, chi sono veramente? Sono questo corpo, questa mente, questo corpo-mente o c'è dell'altro?". E la "caccia" comincia. Ma cosa stranissima, cacciatore e preda sono la stessa cosa! E' un paradosso, ma è la verità. Come faccio a sapere che è la verità? Dal fatto che fior di Maestri, fondatori di religioni e non, parlando della loro esperienza hanno detto che è così. Come faccio a sapere che non hanno mentito? I bugiardi alla lunga vengono sbugiardati e le bugie hanno le gambe corte.  I racconti di tutti questi maestri sono come le fotografie che un esploratore ha portato da terre sconosciute, come i sentieri che un esperto alpinista ha aperto in alta montagna, ma soprattutto: le loro tecniche sono verificabili, i loro sentieri sono ripercorribili: provare per credere.


Da che mondo è mondo ci sono sempre stati maestri per ogni disciplina. All'inizio i filosofi erano anche scienziati. Aristotele, per esempio, sezionava il corpo di animali morti per conoscerne l'anatomia. Ci sono stati maestri di matematica, di fisica, di medicina, astronomia, botanica, ecc. Ma ci sono anche stati maestri di spiritualità, e come è stato giusto creare facoltà scientifiche, mi sembra altrettanto giusto che siano nate facoltà teosofiche, intendendo per esse non solo vere e proprie facoltà, ma anche luoghi in cui una persona autorizzata dalla sua saggezza potesse insegnare la scienza dello spirito. Ma rientriamo in argomento.

Con il suo ormai classico "Il potere del serpente" Sir John Woodroffre, pubblicato con lo pseudonimo Arthur Avalon, ha divulgato in occidente i segreti dello Yoga Kundalini. Il libro, ricco di citazioni e riferimenti bibliografici, è stato regolarmente "saccheggiato" e imitato da tanti manuali su Kundalini e Chakra che vediamo in bella mostra nelle nostre librerie.  Per fortuna, fra di essi, ve ne sono alcuni scritti da autentici Maestri di Yoga  o da loro discepoli. Noi consideriamo il testo  di Avalon molto serio ed onesto. Non ci ha voluto vendere niente, suo scopo è stato solo quello di arricchire l'occidente con uno Yoga che godeva di scarsissima divulgazione scritta. L'argomento è affrontato con molto rigore.
Forse è utile ricordare un brano dell'introduzione, quello in cui, citando un passo del secondo capitolo del Gandharva Tantra, Woodroffe ci ricorda quali devono essere le qualificazioni per poter accedere al tantrismo: "l'aspirante deve essere intelligente, deve aver controllo sui propri sensi, astenersi dal recare offesa a qualsiasi essere vivente, mantenersi puro, credere nei Veda, aver fede nel Brahman che è l'unico rifugio ed essere un non-dualista". Questo passo, se letto con intelligenza, ci fa capire come per accostarsi alla disciplina di cui trattasi, occorre aver già fatto parecchia strada.



Questo vuol dire una cosa sola (che mai ci stancheremo di ripetere: prima di cominciare esercizi mirati al risveglio dell'Energia è opportuno procedere alla purificazione del corpo e della mente, perché quell'energia potenzia tutto quello che trova al suo passaggio, quando non crea guai seri a causa di un blocco nelle nadi. Il sistema nervoso di chi si accinge al risveglio della Dormiente deve essere a prova di bomba, e la salute fisica non deve essere da meno. L'aspirante intelligente è colui che capendo tutto questo non si butta a capo fitto sugli esercizi direttamente, ma procede con molta prudenza: i Chakra inferiori sono  gli inferi e non è prudente avventurarsi in essi sconsideratamente. Questo lo sanno benissimo psichiatri e psicologi, i quali tutti, nel corso delle loro analisi, procedono con estrema cautela. Solo quando si è padroni di sé ci si può affrontare.

Non arrecare offesa a nessuno vuol dire avere un perfetto controllo mentale e soprattutto aver coltivato l'Amore privo di attaccamento. Ma questo può nascere solo in colui che riesce ad intuire che un Unico Identico Spirito dimora in tutte le cose, che Una ed Una Sola Vita anima tutti gli esseri. Ed a quel punto l'unica, vera motivazione dell'aspirante dovrebbe essere: realizzare di "Essere Quello" e di fare del suo meraviglioso e preziosissimo corpo il "Suo Tempio". Detto questo è chiaro che il lavoro consisterà esclusivamente nella pulizia del corpo e nel mantenimento della sua salute e nella pulizia della mente con lo smascheramento dell'ego. Se la spinta è questa, fare Kundalini Yoga è opportuno, se no è meglio fare palestra o corsa campestre. Ogni Maestro di Yoga dovrebbe sempre all'inizio, prima di cominciare, chiedere all'aspirante: "Perché vuoi seguire questa disciplina? Per stare bene in salute? Per vincere l'emotività? Per acquisire poteri?  Per… per la liberazione?" - e se non viene scelta l'ultima risposta dovrebbe rifiutare di accoglierlo.

Ma avviciniamoci piano piano alla materia da trattare. Le scuole di Yoga non hanno lo scopo di rafforzare l'ego, la persona, la maschera, sono licei di ricerca interiore. L'università sarà appannaggio di quei pochi che avranno davvero realizzato il Sé: ogni loro sguardo, ogni loro parola, ogni loro azione sarà giusta e sacra. Ed allora i loro discorsi verranno scritti e diventeranno testi universitari. Le università di questo genere non sono create dal basso (della gente si riunisce e decide di fondarle), ma dall'alto: là dove esplode la santità , ne nasce una.



Di solito il principiante apre un testo di Yoga e corre subito al capitolo della pratica e assumendo una qualunque posizione comincia a fare esercizi di Pranayama. Ma il percorso indicato dallo Yoga non prevede il fai da te, a meno che uno non sia nato mistico come Ramana o RamaKrisna e "sappia" quello che fa. Lo Yoga prevede delle tappe che vanno assolutamente rispettate. Esse sono otto:

1 Proibizioni o astinenze: Yama
2 Discipline o osservanze: Niyama
3 Posture o posizioni: Asana
4 Controllo ritmico del respiro: Pranayama
5 Interiorizzazione dell'attenzione: Pratyhara
6 Concentrazione:Dharana
7 Meditazione: Dhyana
8 Contemplazione o supercoscienza: Samadhi.

Questo è Raja Yoga, la "via regale" insegnata da Patanjali. Chi vuole svegliare Kundalini non dovrebbe prescindere da esso, se no fa il passo più lungo della gamba. Scopo finale di tutti i tipi di Yoga è l'illuminazione, la realizzazione del Sé, l'unione di Shiva e Shakti.
Shiva, che era possessore della Potenza, e Shakti, che era la Potenza stessa, sono tutt'uno, come lo erano sempre stati,ma nel mondo, "la Shakti in quanto azione, vela la coscienza negando, in vario grado, Se stessa come Coscienza"(Avalon pag. 33).

A questo punto possiamo definire Kundalini Shakti come "potenza arrotolata" (Kundala=arrotolato) che riposa nel centro del corpo, nel Muladhara, come energia statica. La pratica  può svegliarLa rendendoLa dinamica nel corpo e fuori di esso.
 Siccome il nostro non deve essere un discorso troppo pesante ma solo un'introduzione al Kundalini Yoga, saltiamo direttamente al concetto di Prana. Nella Sacra Bibbia è detto che dopo aver creato l'uomo Iddio gli soffio nelle narici e lo animò. Ebbene quel Soffio divino, quel Vento è il Vayu indiano inteso come Prana, come Energia Divina che anima ogni cosa sotto e sopra il cielo. Diciamo subito che la stessa energia pranica nel corpo umano, a seconda delle funzioni cui presiede, si specializza e assume diversi nomi:

Prana, Apana, Samana, Vyana, Udana ed altre. A noi interessano più le prime due, poiché nel corso della pratica potranno dar vita ad un incontro che potremo paragonare ad un'anticipazione di nozze mistiche (poca cosa in confronto all'estasi prodotta dalla risalita del Serpente di Fuoco che dovrebbe di regola seguire l'incontro delle due correnti Prana e Apana): è come se il respiro sposasse se stesso ed interrompesse improvvisamente il suo ciclo inspirazione-espirazione, laciando il posto ad un secondo respiro involontario che poco ha a che vedere con immissione ed emissione , essendo esso costituito dallo stesso fluire dell'Energia nei canali. Diciamo questo per mettere sull'avviso il principiante, di modo che possa eventualmente far fronte a situazioni impreviste. Ma la cosa verrà approfondita più in là con lo studio del Pranayama. Torniamo allora un attimino indietro dando uno sguardo sommario alle tappe dello Yoga di Patanjiali. Intanto diciamo subito che non lo ha inventato lui ma che, sicuramente a seguito delle sue esperienze, ha messo ordine in una disciplina che si tramandava soltanto oralmente da millenni e che mai era stata corporificata così bene.



"L'obiettivo delle prime quattro tappe (Yama, Niyama, Asana, Pranayama) è di purificare contemporaneamente la mente e il corpo fisico", ci informa Goswami Kriyananda nel suo "La scienza spirituale del Kriya Yoga" - Amrita (pag. 2) e l'autore-maestro precisa che per pulizia mentale nello Yoga si intende "pulizia delle nadi", i canali del corpo sottile. A questo proposito è da ricordare come Gopi Krishna pensava che il movimento dell'energia avvenisse nei nervi, forse per via degli effetti del suo movimento che avevano una fortissima ripercussione sul corpo.

Tra le astinenze mi preme sottolineare la non violenza e il celibato. La prima è importantissima perché mette in moto quell'Amore nato dalla convinzione che lo Spirito che alberga in ogni cosa è Unico e che l'essenza di ognuno di noi (e per noi intendo ogni essere vivente: uomo animale pianta o cosa). Nel momento in cui questa convinzione diviene ferma e certa, come può mai esser fatto del male al prossimo? (E per prossimo intendiamo ancora ogni cosa altra da noi). Già di per sé tale convinzione potrebbe portare all'illuminazione, alla realizzazione del Sé, ed in tal caso ci potremmo risparmiare pericolosi esercizi di Pranayama e quant'altro mai. Quanto al celibato è bene intenderlo come "non- sensualità" come dice Kriyananda, e non come obbligo di astenersi dal rapporto sessuale. Ripetendo le parole del suo maestro Yogananda egli raccomanda solo moderazione e controllo degli istinti più grossolani, anzi poco più avanti ci dice chiaro e tondo (confermando così il pensiero ebraico sull'unione fra marito e moglie) che "L'amore è un mezzo per dirigere grandi quantità di energia pranica attraverso il proprio corpo, e tuttavia, soltando dirigendo questa energia pranica verso il vostro partener con tutto l'amore fisico e mentale possibile, riceverete la stessa quantità di energia cosmica nel vostro universo. Se invece siete dispersivi e tiepidi, l'energia verrà diretta al'esterno del corpo, non intercetterete l'oceano di energia cosmica e sarete ancora più dispersivi".

Tra le osservanze invece mi piace sottolineare lo studio individuale delle tecniche del misticismo che possono condurre alla realizzazione. Tali tecniche sono tutte contenute  nei testi sacri di ogni tradizione. Pertanto lo studio individuale equivale allo studio approfondito dei testi sacri. Questo permette anche di sintonizzarsi col maestro a noi più caro, più vicino, e sviluppare per lui una ardente devozione che non può che alimentare sempre più il fuoco della ricerca. Per averli noi studiati in passato e a volte anche commentati, consigliamo per l'Induismo: Le Upanishad, la B.Gita, il Mahabharata, il Ramayana; per l'occidente la Bibbia e i Vangeli nonché le regole degli ordini monastici più famosi e la vita di alcuni grandi santi.

 Abbiamo voluto titolare questo nostro breve discorso "Kundalini e dintorni" soprattutto per avere la possibilità di parlare meno di Kundalini e più dei dintorni. Perché? Ma perché della prima se ne fa un così gran parlare che riteniamo ne siano stati svalutati i contenuti. E' per questo che insistiamo tanto sulla purificazione, sulla lettura dei testi sacri, prima di passare alla molla attivante la Kundalini, il Pranayama ed i mantra. Se manca il fuoco mistico quello che si alimenta con la bakti (devozione) e con lo studio diretto alla realizzazione e non all'indottrinamento, se non si sono purificati i centri bassi nelle corrispettive sfere d'influenza è pressoché inutile starsene li' per ore a cercare di mandare su un'energia per "strade" (intendi nadi, canali sottili) intasate: sarebbe come chiedere alla fidanzata di venirci a trovare suggerendole come percorso la via più trafficata. Se invitiamo un ospite bisogna che gli rendiamo disponibili gli spazi in cui muoversi.

Chi si avvicina alla Yoga, di qualunque tipo esso sia, deve rendersi conto che sta per aprire un laboratorio alchemico all'interno si sé e che deve sviluppare una grande attenzione e concentrazione attraverso la volontà. Manipolerà terra (corpo attraverso le posture), acqua (sentimenti attraverso introspezione sincera), aria (pensieri attraverso un'accurata osservazione della mente che altro non  è che una successione di essi), fuoco (prana attraverso respirazioni, visualizzazioni, mantra, e soprattutto attraverso l'Energia universale e individuale che fino al momento delle nozze mistiche saranno due). Alla fine, con Samadhi raggiungerà l'arresto mentale, ma esso varia a seconda della strada percorsa. Anche se, come giustamente osserva Gopi Krishna, "il fine dello Yoga non è quello di creare un impedimento al normale flusso del pensiero con sforzi prolungati di concentrazione, ma di aprire nel cervello nuove aree di percezione in grado di manifestare uno stato di coscienza sovrumano" (Il Segreto dello Yoga Kundalini - pag. 14 - Ubaldini). Ovviamente l'autore dice questo basandosi sulle sue esperienze abbastanza sconvolgenti. Egli arriva persino ad affermare, contrariamente a quanto detto da tanti altri maestri realizzati, che nel sublime momento dell'unione mistica non ci sia annientamentto della personalità. Questo ci permette di dire come le esperienze non sono tutte uguali e come ogni individuo vive la cosa in maniera del tutto speciale. I guai nascono quando dei grandi maestri (o loro discepoli) cominciano ad affermare che l'unica, autentica e vera esperienza del Divino è quella loro e che le altre sono tutte false. Crociate e guerre sante non hanno bisogno di commenti. Sulle "interpretazioni divergenti attribuite all'esperienza dei mistici" il sopracitato autore a pag. 39 dello stesso testo dà una sua personale interpretazione degna del massimo rispetto, che noi però non riportiano per motivi di spazio e di tempo.



I Chakra sono dei plessi che la fisiologia degli indù colloca lungo la colonna vertebrale. I principali sono sette . Il glossario Sanscrito della collezione Vidya ci informa che "corrispondono ai centri di gravità della coscienza e delle sue determinazioni nell'ambito dell'individualità…sono rappresentati sotto forma di loti (padma) che l'ascesa della Kundalini colora, anima e dischiude. Ognuno di questi Cakra è in stretta corrispondenza con certe funzioni fisiche, mentali, vitali e spirituali ed esprime un determinato stato di coscienza…I cakra rappresentano determinazioni della energia-consapevolezza o sakti la quale giace , virtualmente "arrotolata" (Kundalini) , alla base della colonna, nell'ultimo cakra (muladhara) …Lo Yoga in generale tende a integrare tali determinazioni, di per sé limitanti, nella pura Coscienza la quale è priva di limite e di forma, cioè è infinita (Siva)…"
Avalon li definisce più semplicemente "come centri sottili di azione, nel corpo, delle Shakti o potenze dei vari Tattva o principi che costituiscono le guaine corporee".

E se fosse la scala di Giacobbe?  La domanda è un po' strana, ma a ben pensare, se la consapevolezza dell'Essere (la Kundalini) dorme alla base della colonna in Muladhara (ricordate come Giacobbe si addormento' su una pietra a Luz, che poi chiamo' Betel = Casa di Dio), il risveglio in questo padma di base e l'attraversamento progressivo di tutti gli altri chakra  non costituiscono una risalita vera e propria attraverso una scala coscienziale via via sempre più "raffinata" ? A noi sembra proprio di sì.
Gli Angeli che attraverso la scala di Giacobbe scendono sono emanazioni dell'Energia Macrocosmica, quelli che salgono sono aspetti qualificati dell'Energia Microcosmica.
Ma più che verificare la tesi, a noi premeva sottolineare come in tutti i testi sacri del mondo vengano date indicazione sulla via del ritorno.

E' utile ricordare ancora una volta che la purificazione delle nadi attraverso la respirazione cosciente è importantissima: se l'energia trova il percorso intasato, non circola, non scorre.
Da questo momento in poi il praticante deve assolutamente accumulare quanta più energia possibile. Fisicamente attraverso le posture dell'Hata Yoga capaci di energizzare ogni singolo chakra e attraverso la conservazione dell'energia sessuale (conservazione del seme); emotivamente attraverso la sublimazione di sentimenti e passioni in compassione e vero amore senza attaccamento verso ogni cosa; mentalmente attraverso la concentrazione e la meditazione con le quali è assicurata la tranquillità mentale. Respirazione, mantra, mudra, immobilità e ardore mistico faranno il resto.
Dei mudra diciamo subito che sono dei gesti della mano capaci di bloccare la fuori uscita di energia dalla mano stessa e rimetterla in circuito.

Nell'introduzione a "Luce dei tantra" (Tantraloka) di Abhinavagupta ed. Adelphi, il prof. Raniero Gnoli, ordinario di Indologia all'Università di Roma, traduttore dell'opera, a pag. XLV parla brevemente del linguaggio e i mantra: "l'Io, in quanto è pensiero, coscienza, è anche linguaggio, parola…Il linguaggio non è un fatto soltanto acustico o muscolare, ma è il pensiero stesso che parla in noi…Il linguaggio è lo stesso Io, la nostra stessa soggettività…Il pensiero consiste in una vocalità, la quale è costituità da un discorso interiore. Questa vocalità è indipendente da convenzioni e consiste in uno stupirsi ininterrotto…" Queste poche frasi aprono dei veri e propri cancelli: la parola è il corpo del pensiero, la materializzazione del pensiero. Più le parole sono ispirate, più hanno potere; più sono egoiche, meno potere hanno. Le prime volano nell'aria e penetrano nei cuori con dolcezza e leggerezza, le seconde sono pesanti e non attraversano neanche la pelle, perché cadono appena escono di bocca. Le parole di un poeta sono diverse dalle normali parole, sono cariche di una sorta di "amore", sono piene di "poesia", di anima, diSpirito. Sono come lo sguardo di una ragazza innamorata,: amorevoli, toccanti, fiori profumati. Ebbene i mantra sono parole "poetiche", a volte monosillabi senza senso, che nascono nelle menti dei grandi maestri durante le più alte mete meditative (Samadhi). La loro efficacia, come la bellezza delle parole poetiche, è figlia di quel continuo stupore che proviene dalla costante pratica dello Yoga. I Mantra sono conoscenza in seme. "Gli stadi dello Yoga sono stupori" recita Vasugupta nel 12° de "Gli afosismi di Siva ( - a cura di S. Tortorella - ed. Mimesis - pag.69). E lo stupore cresce ancora di più allorché dalla fantasia si passa all'immaginazione e da questa al "vedere" dentro tramite l'apertura del cosiddetto terzo occhio, Ajna Chakra. Come nei sogni, si andrà dentro e non più fuori attraverso gli occhi. Il prof. Gnoli ci ricorda ancora che presso le scuole tantriche i mantra sono frasi, parole   o sillabe rituali perlopiù prive di senso compiuto, di modo che salmodiandole la nostra attenzione non è costretta a rincorrere fuori come di solito fa con le parole normali che indicano qualcosa. E' un po', diciamo noi, come un Koan Zen che, privo di significato oppure paradossale, crea alla mente un corto circuito. Con i mantra la coscienza non va da nessuna parte, ma riposa in sé. Le cinquanta lettere dell'alfabeto sanscrito "sono concepite…come altrettante potenze della  coscienza, dell'Io, che per grazia di esse si afferma non come statica unità, ma come inesauribile varietà e movimento…Per il santo, il senso storico o letterale delle parole  e, con esso, tutto il nostro pensiero, tutta la storia, ricevono un senso, una dimensione nuova…".

Il santo, con la sua estrema sensibilità, è in grado di percepire nelle parole non solo il senso ma anche quella particolare musicalità capace di "modificare" la coscienza e di indirizzarla verso nuovi stati, e questo perché certe parole manifestano il loro potere allo stesso modo in cui certi uomini manifestano il loro. Roberto Provana ( con lo pseudonimo Sat) nel suo libro "Mantra la potenza dei suoni (  - ed Arktos, pag. 15),  ci dice che "col mantra si mira a reintegrare la parola fino a raggiungere uno stato nel quale un nome non evoca più l'immagine di un oggetto, bensì il suo potere ; e la parola non rappresenta più un rumore prodotto da una serie di  contrazioni delle corde vocali, ma la voce stessa della cosa quale essa risuona di là da ogni orecchio particolare, nella forma di una lingua cosmica…". Noi crediamo che il santo abbia avuto una tale espansione di coscienza da poter tradurre l' "Io sono Quello "   in mille particolarità, in modo tale che, se osserva la luna o il sole e sente di esserlo, ne sente la musica, che trova una istantanea traduzione in mantra, in un particolare fonema  che ne contenga l'essenza, come il seme contiene l'albero. Ma qui arriviamo ai Bija  (sillabe-semi), e siccome non possiamo allargarci troppo, rimandiamo il lettore che volesse approfondire ai testi citati e a quelli che alla fine consiglieremo di consultare. Per ora ci basta sapere che un mantra va svegliato con la ripetizione ( japa) ; Sat ci suggerisce l'immagine del dormiente che a furia di scosse ininterrotte viene svegliato e si muove (immagine suggerita peraltro da Avalon a pag. 82 del suo "Il potere del serpente". Ma egli ci ricorda anche che la parola acquista potere nel silenzio, per cui il praticante dovrebbe risparmiare parole e immergersi nell'assoluto silenzio, affinché il mantra acquisti più potere. Non so se ci avete mai fatto caso, ma le parole dei chiacchieroni, di quelli che parlano tanto per parlare, ci scivolano sulla pelle e non raggiungono neanche l'orecchio: sono prive di fuoco, di potere, di silenzio, di anima.

Sempre a proposito di mantra, Mircea Eliade, nel suo oramai classico "Yoga immortalità e libertà"   della Bur (pag. 207) riporta un concetto espresso da Vasubandhu nel suo trattato "Biddhisattvabhumi": il vero significato dei mantra consiste nella loro assenza di significato e che meditando su questo non-significato, si arriva a comprendere la realtà ontologica dell'universo". Ma ritenendo il concetto dell'autore limitativo, Eliade aggiunge che "se è vero che la ripetizione del mantra annulla la 'realtà' del mondo profano, questo è soltanto un primo passo dello spirito, indispensabile per sfociare in una realtà più profonda".

Tutta questa nostra lunga chiacchierata spero abbia fatto capire al lettore che il Kundalini Yoga non può essere ridotto ad una asana, un  po' di respirazione cosciente accompagnata da mantra e visualizzazioni mentre brucia qualche bastoncino d'incenso al sandalo. Lo Yoga è una regola di vita che prevede anche quanto sopra. Se non vi è una vera, sincera conversione, una totale interiorizzazione dei sensi, perdiamo solo tempo.

Pratica

Il Prana e l'Apana (respiri ascendente e discendente) si muovono in Ida (nadi lunare) e Pingala (nadi solare) a sinistra e a destra della Sushumna nadi, il canale centrale. Tutto il lavoro consiste nell'incanalare i due soffi nel canale centrale dove opera un terzo soffio, l'Udana. Nel momento in cui la normale respirazione cessa, Prana e Apana si sono uniti, Sushumna si è aperta e nello stesso tempo Kundalini si è svegliata e comincia a salire di Ruota in Ruota. Se raggiunge il Chakra alla sommità della testa ed esce dal foro di Brahma si unisce all'Energia cosmica ed è Liberazione.

Nella stanza 24 del Vijnanabhairava (trad. e comm.di Attilia Sironi - Adelphi) è detto: "In alto il soffio ascendente, in basso il soffio discendente. Il soggetto che preferisce è la stessa Dea, essenziata di emissione. Nel luogo della duplice nascita, si ha, in ragione dell'onnicomprensione, lo stato onnicomprensivo". La stanza si riferisce proprio ai due soffi  (Prana e Apana) che nascono dal cuore e nel Dvatashanta, nei quali si estinguono (Sironi): il momento in cui l'inspirazione è finita ma non è ancora cominciata l'espirazione è particolare, perché al meditante possono accedere tante cose, fra cui l'  "onnicomprensione" che la traduttrice rende con "stato di coscienza di pienezza".

Tanti maestri spirituali raccomandano ai discepoli di stare bene attenti nel momento del risveglio, quando il senso dell'io non ha ripreso ancora possesso del corpo-mente, perché pare che anche lì ci siano buone possibilità di "onnicomprensione", di comprendere cioè la propria vera natura.
Ho voluto introdurre questo testo tantrico (Vijnanabhairava=conoscenza del tremendo; Bhairava è il nome di Shiva nel suo aspetto di distruttore di forme) per due ordini di motivi. Primo perché è un "manuale pratico di meditazione" (Gnoli); secondo, perché nelle stanze 11-13 Shiva dice delle cose interessanti: "In realtà Bhairava…non è l'insieme dei suoni…non si identifica con il nada e il bindu…non è connesso con la successione delle ruote e non è essenziato dalla Potenza.

Tutte queste cose non sono altro infatti che spauracchi per bambini, rivolte a coloro la cui mente non è ancora svegliata; tutto ciò, come le chicche date dalla madre, è menzionato al solo scopo di spingere all'azione" (idem - il corsivo è nostro).

Queste tre stanze in effetti si prendono gioco del discepolo che fin dall'inizio comincerà a visualizzare Chakra, bindu ecc, al fine di far salire una Potenza che non essenzia lo stesso Shiva-Bhairava. Come dire (secondo l'autore) il Kundalini Yoga è per principianti, per coloro che ancora dormono profondamente. Ma ovviamente la cosa va presa per il giusto verso, e cioè considerndo il fatto che ogni maestro mette al di sopra di tutti il proprio insegnamento: tutti gli altri sono per principianti. Sicuramente l'autore o gli autori del Vijnanabhairava la pensavano così.

Di tale testo noi abbiamo la traduzione e il commento della Sironi introdotta da Gnoli, e i discorsi di Bhagawan Shree Rajneesh sul Vijnana Bhairava Tantra tradotti dall'inglese da Roberto Donatoni.
Ecco quello che pensa lo Gnoli di tali discorsi: " In tempi a noi recentissimi, il Vijnavabhairava è stato liberamente interpretato da Rajneesh, che gli ha dedicato cinque volumi, Dio sa quanto attendibili" (pag. 35 succitata opera Adelphi). Lo Gnoli forse dimentica che Osho era laureato in Filosofia, che era indiano, che conosceva il tantra (discusso, chiacchierato, ma tale), e che da buon colto indiano conosceva il Sanscrito, e che bene e male, almeno nella traduzione del testo, potrebbe essere apprezzabile, se non nei commenti visti dall'ottica di un pratico, che agli occhi di un teorico potrebbero essere incomprensibili. Noi in quel libro abbiamo trovato anche molta spiritualità e buone intuizioni.  Ma torniamo al testo e alle techiche di conoscenza del Bhairava. Dalla stanza 28 si comincia a parlare di tecniche che hanno a che vedere con la Kundalini. Le riporto così come tradotte dalla Sironi: 28. Su dalla radice, luminosa di raggi, più sottile del sottile, giova meditare come questa (potenza) si acquieti alla fine nello dvadasanta: in tal modo si ha il sorgere di Bhairava.

Il commento del traduttore si limita a ricordarci che Kundalini è l'energia vitale che giace arrotolata alla base del coccige e che quando si ridesta, attraversando tutte le ruote (Chakra), alla fine trova riposo in Shiva. La stanza invece ci sta consigliando di fare un esercizio di visualizzazione che lo stesso Yogananda raccomandava ai suoi discepoli, e cioè quello di immaginare che la Kundalini si accenda, li'  nel Muladhara, e che poi salga lungo la colonna in un raggio sottilissimo come il filo del ragno, e che termini la sua corsa oltre il foro di Brahma. E siccome l'energia segue la mente, può verificarsi il sorgere di Bhairava, la realizzazione.

(Questa potenza giova meditarla) ascendente, simile a un lampo, via via attraverso le varie ruote, su su fino allo dvadasanta: così, alla fine, si invera il grande sorgere (di Bhairava).
Qui la variante consiste nel visualizzarla come un lampo che attraversa via via i vari Chakra.
Riempiendo rapidamente per mezzo di essa lo dvadasanta ,  attraversandolo con quel ponte che è la contrazione delle sopracciglia, e resa così la mente priva di pensiero discorsivo, si invera, nel punto più alto di tutto, il sorgere dell'onnipervadenza.
I metodi meditativi del Vijnanabhairava sono tanti e ovviamente non parlano solo di Kundalini. La stanza 62 per esempio: se si medita come tutto il corpo o anche l'universo sia essenziato di coscienza, allora, tutto insieme, grazie a un pensiero privo di  rappresentazioni differenziate, si invera il supremo risveglio.
Ma lo stesso risveglio può essere ottenuto anche meditando sulla grande gioia provata per avere incontrato un amico dopo tanto tempo (stanza 70); oppure, identificandosi con la gioia del canto (stanza72); con la fissità dello sguardo e l'assenza di pensieri (stanza 79); dondolando il corpo ritmicamente e lentamente (stanza  82); meditando "Io sono dovunque" senza attaccamento al corpo (102); oppure pensando saldamente "Io sono l'Assoluto" (107); meditando sullo stato mentale prodotto da una ardente devozione (119); ecc.

Ma torniamo al nostro Yoga Kundalini e ad uno dei suoi misteri: "è facile destare la Kundalini, ma è molto difficile portarla al sahashrara attraverso i differenti chakra".(Sivananda pag. 82).
Questo accade perché i doni che a profusione dà mano mano che apre un Chakra sono come sirene capaci di catturare la nostra coscienza, che anziche' correre verso l'alto, verso l'abbraccio con la Coscienza Universale, si ferma per refforzare le pareti dell'io. Ecco la vera difficoltà: trascendere l'ego. Basta un'estasi, un "orgasmo mistico", e rimani lì per anni con la mente, ed ogni volta che ti siedi in meditazione ricerchi la bella esperienza che tanta beatitudine ti ha dato. Magari il Serpente vorrebbe andare oltre, ma tu lo leghi a quel Chakra basso collegato al sesso, e anziché andare oltre quei primi scalini che hanno a che vedere coi sensi e col corpo, fissi la tua coscienza là. Non c'è solo il corpo (da curare, trattare bene, pulire, nutrire ecc.), c'è anche il cuore e la mente, e soprattutto Il Bhairava, per dirla col Vijnabhairava tantra, lo Shiva supremo, il terrifico, il Tremendo.

La Bhagavad Gita li dice costantemente: non attaccamento. Quindi quando mediti non cercare nulla, ti basti meditare, seguire la tecnica suggerita senza aspettative. Quello è il trucco.
Pertanto faremmo bene a seguire i consigli saggi di Sivananda, e cioè scegliere una delle tante techiche proposte da Hatha Yoga, Bhakti Yoga, Raja Yoga, Jnana Yoga, quella che più si adatta a noi, e praticarla regolarmente.
Per quanto attiene agli esercizi farò così, proporrò di volta in volta un autore e sceglierò dal suo libro le techiche che ritengo più serie, semplici, non pericolose. Il tutto a mo' di una bibbliografia ragionata. Mi pare giusto cominciare con l'ormai classico
 Arthur Avalon Il potere del serpente  ed. Mediterranee.
Per la descrizione dei Cakra l'autore si avvale di due testi (Chat - Chakra Nirupana, e Paduka Panchaka. Sono due opere di Laya Yoga, quel particolare tipo di Yoga la cui sadhana consiste nell'assorbimento coscienziale nei singoli chakra).
Nell'interno della colonna vertebrale vi sono i sei principali Chakra, essi sono Muladhara, Svadhishthana, Manipura, Anahata, Vishuddha, Ajna, e alla sommità della testa il Sahashrara. Hanno tutti le corolle in giù, tranne quando Kundalini li ravviva.


Muladhara è di color cremisi ed ha quattro petali, su cui vi sono le lettere Vam, sham, sham cerebrale, Sam.  Questo loto è il centro del tattwa della terra di colore giallo ed ha come mandala un quadrato. Il bijamantra è Lam, cioè la lettera 'la' nasalizzata. Quando questo centro vibra produce un particolare suono, che grossolanamente tradotto è appunto Lam. La qualità del tattwa è rappresentata da un elefante simbolo di forza e stabilità. Organo di senso cui presiede, l'odorato. Parti anatomiche, piedi. Ogni Chakra ha un animale simbolo che oltre alla qualità del tattwa é anche veicolo della divinità del centro stesso. La devata (divinità) di questo loto è Brahma creatore che ha per Shakti 'Savitri'. Nel Muladhara, come un serpente,arrotolata tre volte e mezzo, giace Kundalini, la cui testa copre la porta di Sushumna, il canale centrale. Prima di andare oltre voglio riportare un passo (pag. 136) in cui appare chiaro come sia l'albero cabalistico del misticismo ebraico, sia la fisiologia sottile dei tantra parlano lo stesso linguaggio: "Il Supremo discende dunque attraverso le sue manifestazioni dal sottile al grossolano sotto la forma dei sei Deva e delle sei Shakti nelle loro sei dimore dell'asse del mondo, e sotto la forma dei sei centri nell'asse del corpo, o colonna vertebrale".  A me sembra si parli di vere e proprie emanazioni dal più sottile al più denso. Ma torniamo ai centri.
Non ci scordiamo che i mantra in ogni centro sono il corpo di una Devata, una divinità. Per cui, quando essi vengono cantati, si evocano le divinità stesse.


Il secondo loto partendo dal basso è Svadhishthana nella regione sopra i genitali; è di colore bianco (vermiglio o arancio secondo altri) ed ha sei petali su cui ci sono le lettere Bam, Bham, Mam, Yam,  Ram, Lam. Il Tattwa di esso è l'acqua ed il mandala ha la forma di luna crescente. Il Bijamantra è Vam, cioè la lettera 'va' nasalizzata. L'animale simbolo è il Maraka, una specie di alligatore. La divinità è Vishnu e come Shakti ha Rakini. Organo di senso, il gusto. Parti anatomiche, mani.



Manipura, il terzo Chakra è nella regione dell'ombelico. Ha dieci petali. Le dieci lettere sono da, dha, na,ta, tha, dadka, na, pa, pha. E' di colore rosso, il mandala ha forma triangolare, il bijamantra è
Ram su un ariete. Divinità Rudra, mentre la Shakti è Lakini. Stimola l'organo della vista (e l'ano).
Il quarto Chakra è Anahata nella regione del cuore. Ha dodici petali, le cui dodici lettere sono: ka, kha, ga, gha, na,cha, chha, ja,jha,na,ta,tha.Stimola il senso del tatto (pene organo d'azione), è di color fumo (per altri verde),il mandala è un esagono a sei vertici. Bijamantra Yam su un'antilope. Divinità Isha, e come Shakti ha Kakini.

Vishuddha è il quinto Chakra. E' nella regione della gola, ha sedici petali, le lettere sono le vocali a, a accentata, i, i acc.,u, u acc., ri, ri acc., Iri, Iri acc, e, ai, o au, am, ah. Stimola il senso dell'udito, è di colore bianco, ed il suo mandala è un cerchio. Il Bijamantra è Ham su un elefante bianco (per altri porpora). La divinità è Sadashiva, e la Shakti è Shakini. Organo d'azione bocca.

Ajna  è il sesto Chakra. Si trova nella regione fra le sopracciglia, ha due petali, le cui lettere sono ha e ksha. Presiede alle facoltà mentali. Non viene indicato colore (per altri bianco splendente o color luna). Bijamantra Om. Divinità Shambhu, Hakini per Shalti.


L'ultimo Chakra è sopra la testa, Sahashrara, il loto dai mille petali. Tutte le lettere si trovano qui ripetute venti volte (venti per cinquanta è uguale a mille). E' la dimora di Ishvara, che è Shiva-Shakti. Qui vi è il vuoto perfetto. Le lettere si leggono da destra a sinistra.
Questi sono i Chakra che il praticante può "stimolare" durante la pratica (se seguito da un maestro competente) attraverso visualizzazioni, concentrazione, mantra che equivalgono  a invocazioni di divinità, posture, e, cosa importantissima, particolari respirazioni. A proposito del controllo del respiro, prima di avventurarsi in esercizi di pranayama è bene sottoporsi ad una visita medica per appurare la sanità di corpo e mente (soporattutto cuore, polmoni, pressione, ecc.). Chi è affetto  da  patologie si accontenti di osservare il respiro che entra e che esce, senza intervenire per nessun motivo sui ritmi respiratori. Quanto alla pratica vera e propria, Sir Voodroffe-Avalon possiamo dire che condensa tutto in un periodetto fra le pagine 154 e 155. Lo riporto aggiungendo il corsivo per metterlo in evidenza, perché alla fin fine torniamo a Patanjali: "Tutte le forme di Yoga, sia Mantra sia Hata o Raja, hanno le stesse otto membra (Ashtamga) o forme ausiliarie preparatorie: Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratiahara, Dharana, Dhyana, Samadhi".  Ed il nostro autore, qualche pagina oltre ammonisce: "Né la sede del fiore di loto, né il fissare lo sguardo sulla punta del naso sono Yoga. E' l'identità di Jivatma e Paramatma che costituisce lo Yoga"  (anche qui il corsivo è nostro). Jivatma è il Sé incarnato, Paramatma è il Sé supremo.

Il testo di Lilian Silburn "La Kundalini o l'energia del profondo" - Adelphi, non è certo un testo per principianti. I suggerimenti, le tecniche che propone, per sua stessa ammissione, non sono complete. Tuttavia, la lettura di questo libro, per chi ha già avuto qualche esperienza di risveglio d'energia, è prezioso. La fisiologia cui la Lilburn  fa riferimento e quella dello Shivaismo Trika (monista e non dualistico) del Kashmir (nord dell'India).  La parolaTrika vuol dire ternario. La triade considerata da questa scuola è costituita da Pasu, anima individuata; Pasha o onergia di legame; Pati o il Signore, Shiva (Diz. Sanscrito Vidya). Se negli altri sistemi Yoga i Chakra sono "rappresentazioni figurate", per questa scuola essi sono centri di vibrazione di cui si ha diretta esperienza. Ogni  chakra ha un certo numero di raggi, che i testi tantrici mutarono poi in petali, lettere, suoni, colori, ecc. Il Trika prende in considerazione solo cinque ruote (esclude il secondo dell'altra tradizione). Ogni ruota  ha una "forza ostruente" che va sciolta e recuperata dalla Kundalini. "Alcuni nodi di energia sono difficili da sciogliere" ci dice l'autore (centro di base e centro in mezzo agli occhi). Neutralizzato il veleno del serpente, che quando dorme distrugge la vitalità attraverso l'agitazione sessuale, lo stesso veleno si trasforma in forza ascendente. La secondo ruota è quella dell'ombelico, ha dieci raggi. La terza, nel cuore. Appena sveglio, questo Chakra dona la sua potenza agli altri spontaneamente.
Nella nota a pag. 57 la Silburn ci ricorda che " Agendo eslusivamente su di esso, si evitano molte complicazioni e difficoltà associate al risveglio del Muladhara e di Ajna".Relativamente a quest'ultimo Chakra, l'autrice ci informa che esso per l'energia vitale costituisce un passaggio difficile, perché per andare oltre occorre saper "padroneggiare il Samadhi e beneficiare dell'aiuto di un ottimo guru". Dopodiché ci suggerisce la lettura della stanza 36 del Vijnanabhairava che ha a che vedere proprio con questo difficile attraversamento. Ma se uno lo va a leggere ci capisce ben poco, mentre l'esposizione della tecnica da parte della gentile Silburn (che ha avuto la fortuna di avere un maestro davvero qualificato) è comprensibile:  se nel momento in cui si riesce a rompere la porta delle sopracciglia il pensiero è non duale "si accede alla trascendenza e si diviene onnipervadenti". In pratica ci viene suggerito di riempire d'energia pranica tutte le ruote fino ad Ajna e quando questo centro è colmo ed il Samadhi ne  evita la dispersione attraverso i sensi, "basta corrugare leggermente le sopracciglia e proiettare subito questa energia" verso il centro supremo. Se la cosa non riesce, l'energia si disperde dalle narici.
Qui si parla di Samadhi, per cui, capite bene, si tratta di pratiche avanzate. Davvero solo chi si è purificato nel corpo e nella mente e poi ha trasceso l'ego riesce a condurre Kundalini, di Chakra in Chakra, fin lassù. Ma torniamo all'Ajna Chakra. La stanza 36 del Vijnanabhairava ci  dice che una volta "traforate le sopracciglia si ha la vista del Bindu, un punto molto luminoso, "fuoco sottile che sprizza come una fiamma" ci dice la Silburn riportando sicuramente le parole di Abhinavagupta nel Tantraloka (La luce dei tantra). A tal proposito è interessante rileggere il molto ricamato (ma non per questo disprezzabile) resoconto che della sua esperienza fa Muktananda nel suo libro "Il Giuoco della Coscienza - il risveglio di Kundalini" ed. Mediterranee. Egli dedica molte pagine a questa luce ed alle esperienza che dal suo manifestarsi ha avuto. Sempre la nostra espertissima autrice ci ricorda che se sul Bindu ("il punto sensa dimensioni")  si fissa la nostra attenzione nel momento in cui esso, giunto nel mezzo della fronte, sta per svanire, "si viene assorbito nello splendore della coscienza", ed i tre bindu del cuore delle sopracciglia e della testa diventano una cosa sola. La pratica continua (e noi rimandiamo al bel libro di cui trattasi), ed alla fine "lo yogin… gode della più totale delle felicità…Per lui ogni cosa è immersa nella beatitudine.


Ma non è finita perché rimane da perforare ancora l'ultima ruota. Giunto nell'ultimo Chakra lo yogin ha "realizzato il Sé, ma non Shiva, nell'universo". Se questa suprema ruota viene perforata, intense vibrazioni provocano vertigini ed ebrezza (Silburn). Ma dodici dita sopra la testa vi è un'ultima stazione conoscibile solo da chi si identifica con Shiva.
Se si va ad analizzare la figura dell'I Am Presence della scuola "I Am" , ci si renderà conto che essa simbolizza proprio questa fase finale della tecnica tantrica in questione. L'Onnipervadente Energia della Presenza (Shiva della tradizione tantrica), una volta contattata unifica i tre centri cuore, sopracciglia, sommita' della testa.    Chi fa di questo centro oltre la testa, o in termini di "I Am" chi fa di questa Presenza "la sua dimora permanente e vi conduce la propria energia a volontà, diviene un liberato in vita" (Silburn).      Chi ha avuto esperienze di Kundalini e ne vuol sapere di più è invitato a leggere questo libro. Prima di concludere con questo testo, vogliamo ricordare ai praticanti un passaggio importante. Secondo la scuola del Trika "è sufficiente concentrarsi sul soffio perché le esperienze relative ai centri si susseguano spontaneamente, via via che l'energia coscienziale li attraversa"  (Pag. 78).

Chi invece vuol seguire la via dello Hatayoga e concentrarsi sulle ruote legga il bel libro Chakras - ruote di vita della Anodea Judith della Armenia.

Per chi invece non ha voglia di imbottirsi il cervello con centinaia di nomi sanscriti, di concetti astrusi, di pratiche impossibili; per chi, insomma, ha voglia di andare al sodo, l'agile, ma non per questo meno profondo libro di Orfeo Bedini "Yoga - respirazione, capacità vitale, sessualità ed. Promolibri, fa al caso suo. Inoltre Jivan Mukta (questo il suo nome iniziatico) tiene le sue lezioni di Hata - e tantra-Yoga presso il centro Yoga Jivan Mukta di Roma.

Per concludere questa breve chiacchierata su Kundalini, ci rimane da parlare del Pranayama.
Il testo migliore (per noi) in materia è Teoria e pratica del Pranayama - di B.K.SundaraRaja Iyengar - ed. Mediterranee. Chi volesse sapere il massimo sul controllo della respirazione non ha che da leggerlo.
La cosa strana di questo breve "saggio" è che la spinta ci è venuta a seguito dello studio del poema epico Ramayana, e che la conclusione di esso ci riconduce, grazie al libro dello Iyengar, allo stesso Ramayana. L'autore infatti comincia con due invocazioni: una al figlio del Dio del vento il Signore Hanuman, e l'altra al Saggio Patanjali. Non è certo per caso che Iyengar cominci da essi, visto che le basi su cui si fonda il Kundalini Yoga sono proprio il Prana (Vento) e gli otto scalini proposti da Patanjali. Vogliamo riportare entrambe le invocazioni perché cariche di ardore mistico.



Al Signore Hanuman

Io saluto il Signore Hanuman, Signore del Respiro, Figlio del Dio del Vento…
Che porta cinque volti e dimora dentro di noi
Nella forma dei cinque venti o energie
Di cui sono pervasi il nostro corpo, la nostra mente e la nostra anima,
Che riunì Prakrti (Sita) con Purusa (Rama)…
Possa Egli benedire il praticante
Unendo la sua energia vitale - prana -
Con il Divino Spirito interiore.

Al Saggio Patanjali

Mi inchino al più nobile dei Saggi , Patanjali…
Che apportò la serenità alla mente con la sua opera sullo Yoga,
la chiarezza del discorso con la sua opera sulla grammatica
e la purezza del corpo con la sua opera sulla medicina.
Là dove vi è lo Yoga,
vi sono prosperità, successo, libertà e beatitudine.

Di questo libro non riporterò tecniche di respirazione, spingendo così il praticante a procurarselo e a leggerlo attentamente. Citerò solo un passo della prefazione dello stesso Iyengar (pag. 21):
"Il Pranayama…non può venire appreso mediante dibattiti e discussioni, ma deve essere acquisito con un impegno cauto e paziente. Incomincia arrecando sollievo a coloro che soffrono di disturbi come il comune raffreddore, il mal di testa e la disarmonia mentale. Il suo nadir è l'elisir di vita."
(il corsivo è nostro).

Qui ha termine la curiosità: chi vuole davvero praticare, si dia una mossa. Non ci vuole  molto e costa poco: sono sufficienti Hanuman e Patanjali, e tanta ma tanta voglia di VERITA'.

Ecco qui di seguito l'elenco di tutte le opere citate e quelle consigliate.
Opere Citate
-     Swami Sivananda - Kundalini - Yoga - Ed. Vidyananda;
-       Arthur Avalon - Il potere del serpente - Ed. Mediterranee;
-       Lilian Silburn - La Kundalini o l'energia del profondo - Ed. Adelphi;
-       B.K.S. Iyengar - Teoria e pratica del Pranayama - ed. Mediterranee;
-       Goswami Kriyananda - La scienza spirituale del Kriya Yoga - Ed. Amrita;
-       Abhinavagupta - Luce dei tantra - a cura di Raniero Gnoli - Adelphi;
-       Glossario Sanscrito - Asram Vidya;
-       Vijnanabhairava la conoscenza del tremendo  - adelphi;
-       Sat - Mantra la potenza dei suoni - Ed. Arktos;
-       Bhagwan Shree Rajneesh - Il libro dei segreti - Bompiani;
-       Orfeo Bedibni - Yoga - respirazione, capacità vitale, sessualità - Promolibri;
-       Vasugupta - Gli aforismi di Siva - Mimesis Simory;
-       Roy Eugene Davis - La scienza del Kriya Yoga - Ed. Vidyananda;
-       Gopi Krishna: Il segreto dello Yoga Kundalini - Ubaldini
Kundalini, l'energia evolutiva dell'uomo (Commento psicol. Di J. Hillman) - Ub.
Iniziazione alla Kundalini - Mediterranee;
-       Mircea Eliade - Lo Yoga , immortalità e libertà - Rizzoli;
-       Swami Muktananda - Il giuoco demma coscienza , il risveglio di Kundalini - Mediterranee;



"Io mi sforzo di ricondurre il divino che è in me
al divino che è nell'universo"
           ( Plotino ) 

( cortese concessione di Garbhayoga )


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INTRODUZIONE ALLA PRATICA DEL BHAKTI YOGA E DEL KIRTAN (MANTRA) DEL MAESTRO JAI UTTAL IN OCCASIONE DI UN SUO CONCERTO IN PUBBLICO.




ATTRAVERSO LE SUE ISPIRATE PAROLE, JAI UTTAL TRACCIA UNA BELLISSIMA SINTESI DELLO YOGA IN GENERALE, DEI MAESTRI INDIANI, DELL’ IMPORTANZA DEL MANTRA E DEL BHAKTI YOGA, NONCHE DEL SIMBOLISMO PROFONDO DEGLI ASPETTI DEL DIVINO, NELLE   SUE  DIFFERENTI MANIFESTAZIONI NELL’UNIVERSO.

La traduzione in Italiano è sta realizzata grazie alla preziosa collaborazione di Cristina Candioli  – nostra amica e socia (di madrelingua inglese) - iscritta al Corso Internazionale di Formazione Insegnanti Yoga, organizzato dalla nostra Associazione in collaborazione con la C.U.I.D.Y., Confederazione Ufficiale Italiana dello Yoga; la E.Y.F., Federazione Europea Yoga  ed  il World M.Y.A. Movimento Mondiale per la Diffusione dello Yoga e l’Ayurveda.



Nel secondo brano del C.D. Jai Uttal canta i primi versi del Mantra:
"...Hari Om!...Hari Om! ...Guru Om!...Guru Om!...Sia Ram! Sia Ram ecc...." 

Poi inizia a parlare al pubblico conveuto al concerto:


"...Salve a tutti! "

Il mantra che ho appena cantato è un invito ed una invocazione agli Spiriti guida, ai cari amici, agli Angeli e a tutti coloro che ci aiutano, affinché si uniscano a noi nella pratica del Kirtan. Quando pronuncio le parole “ ...Sia Ram”...dico: io vedo Sita, la Divinità infinita che si manifesta nella Creazione, e vedo Ram, Colui che tutto pervade, la fonte non manifesta di tutta la Creazione.

In ogni volto che osservo, in ogni sguardo che incontro io vedo Sita e vedo Ram, e quindi vi dico “Namastè”, benvenuti, benvenuta a Sita e benvenuto a Ram!

Quando canto “Om Guru, Om Guru” chiedo al mio Guru e al Principio del Guru Universale, che è quella energia che ci conduce verso la luce, Colui che rimuove l'oscurità interiore nelle nostre coscienze...di venire presso di noi, di cantare attraverso di me, attraverso noi tutti, per insegnarci e portarci verso la Saggezza e la Luce interiore.

Molti secoli fa, in India, vivevano degli esseri straordinari chiamati Rishis, o sapienti, che svilupparono dei sistemi in grado di portare l’essere umano a più diretto contatto con i diversi piani d’esistenza elevandoli fino ai massimi livelli di Coscienza Superiore.  Questi sistemi, che vennero chiamati Yoga, aiutavano gli esseri umani ad accordare le loro menti, i loro corpi, le loro vite e le loro anime...

Erano pratiche volte ad armonizzare le energie del corpo, a essere più in accordo con la natura e le sue forze, e miravano a calmare la mente ed a focalizzare il respiro. Molte di quelle pratiche sono andate perdute; oggigiorno molti pensano allo yoga come ad un sistema di esercizi puramente fisici, ma in realtà lo Yoga, nei suoi vari rami e metodologie, è davvero molto di più! Riguarda tutto il nostro essere, lo scopo della vita e la relazione con il Se Universale!

Tutti gli Yogis avevano compreso che una delle parti più importanti dell’essere umano è il cuore, centro delle emozioni. Possiamo allenare il corpo come forsennati, possiamo diventare ultra intelligenti, ma che fare delle nostre emozioni? Le emozioni sembrano nascere e morire, procedono incessanti come le onde del mare e nessuno sa mai cosa avverrà delle proprie emozioni.

Cerchiamo di controllare le nostre emozioni, tentiamo di naconderle, di reprimerle, ma gli antichi yogis sapevano bene che questa non era la maniera giusta. Sapevano che le emozioni hanno un ruolo cruciale nel portare gli uomini verso una divina consapevolezza, e le emozioni sono un potenziale enorme! Ed è per questo che è necessario imparare a gestirle al meglio, per il bene nostro, dei nostri cari e dell'umanità tutta... 

Quindi, piuttosto che sbarazzarci delle emozioni dobbiamo utilizzarle perchè sono il nostro carburante, la nostra energia. Le emozioni sono ciò che Dio ci ha dato per parlare con lui! E cosi nacque il Bhakti Yoga.

La parola bhakti viene in genere definita come devozione, anche se credo che in Occidente abbiamo una visione ristretta del suo significato. Per devozione noi intendiamo in genere sottomissione o asservimento, ma in India, il paese da cui proviene questa tradizione, il termine bhakti indica, e credo in maniera più accurata, una relazione che sia la nostra relazione con il Divino, la nostra personale relazione con la nostra anima o con l’Universo infinito, con l’Assoluto.

Inoltre tutte le emozioni che entrano in gioco in queste relazioni sono valide, sono emozioni che vengono toccate, purificate ed elevate nel Bhakti Yoga.

Sappiamo che quando ci innamoriamo l’amore non è affatto un sentimento monocromatico! Chi tra noi è stato innamorato sa che l’amore ha innumerevoli colori, e tante sfumature...Nell’amore c’è il desiderio, la paura – c’è tanta paura nell’amore! C’è la gelosia, la ricerca dell'altro, dell'altra...c'è lo struggimento per  l’altro!
L’amore contiene l’estasi e la magia assoluta dell’attimo nel quale l’individuo si dissolve nell’infinita unità...
Sono tutti aspetti dell’amore.

Allo stesso modo nel Bhakti Yoga noi abbracciamo l’intera gamma delle emozioni, e troviamo infatti molte pratiche nel Bhakti; questo perché gli yogis ritenevano che la sfera delle emozioni fosse qualcosa di immenso, senza limiti; infatti riguarda tutti i nostri sentimenti, la nostra mente, la nostra psiche...la nostra anima!
Qunindi non c’era una visione circoscritta negli insegnamenti di questi grandi maestri del passato o contemporanei...  

Loro dicevano che puoi danzare con Dio, puoi preparare del cibo per Dio, sentire uno struggente amore per Dio, scrivergli delle poesie, dipingere per Lui... poiché, dopotutto, chi è Dio, se non l’intera Creazione che si  manifesta intormo a noi!?!
Ma, forse più importante di ogni altra cosa, noi possiamo cantare con Dio! Ed è da ciò che deriva il Kirtan, i canti che ascolterete su questo album e che canteremo insieme.

Il “Samkirtan” (La pace interiore che sgorga attraverso il canto ed eleva l’anima), è il processo del cantare che origina dal cuore e non dalle labbra o dalla lingua solamente, ma è l’espressione della gioiosa commozione che scaturisce dal cuore quando la gloria di Dio e della Sua Creazione viene  ricordata nel canto…

 Solo in tal modo si realizza la spontanea manifestazione dell’estasi interiore che non bada alla lode o al biasimo, non ricerca l’ammirazione o l’apprezzamento degli ascoltatori, ma solamente cantare per la propria gioia e soddisfazione di esprimere tutto se stesso in questa  straordinaria forma che tocca profondamente la nostra anima e tutto il nostro essere!  Solo il “kirtan” (canto), di questo tipo superiore può chiamarsi “Samkirtan”! 

Il Kirtan, quindi, include la ripetizione degli innumerevoli nomi delle tantissime divinità, sia maschili che femminili del vasto Pantheon indiano. Nell’Induismo, la tradizione dalla quale viene questa pratica, tutti i nomi sono considerati dei Mantra potentissimi e degli strumenti antichissimi per svelare quel profondo canyon, misterioso e sconosciuto, che contiene tutte le nostre emozioni  e aspirazioni.

E quasi non importa quale nome scegliamo, quale mantra cantiamo, sono tutti un canale per le nostre aspirazioni o preghiere inespresse, un mezzo per navigare il “Fiume della vita” e per addentrarci nell’acqua che ci conduce a quella Fonte cosmica, divina e infinita…

Il Kirtan viene quindi praticato da tempo immemorabile, da milioni di persone...da svariati secoli...ed ogni parola si è arricchita di infinita energia! Ritengo che nel tempo la musica sia cambiata parecchio, molta musica che faccio io è moderna eppure i Mantra e le parole che recitiamo vengono cantate da secoli e secoli.
Questi Mantra venivano  cantati da persone che lodavano Dio pieni d’estasi, da chi piangeva disperato, da chi sedeva e con infinita pazienza ripeteva il nome di Dio; tutti alla ricerca della connessione dei loro cuori con quel Grande Infinito Cuore!

Molti di noi coccidentali non sono abituati a cantare, si vergognano e si sentono inibiti quando cantano di fronte ad altri. Nella vita molti di noi non sanno come esprimere le proprie emozioni; normalmente abbiamo a disposizione solo una gamma ristretta di emozioni che ci possiamo permettere di provare, e nelle quali ci sentiamo a nostro agio.
Eppure, wouh! Abbiamo così tanto dentro di noi!

E più riusciamo a esprimerci...più riusciamo ad aprirci al mondo e alla vita, più riusciremo a liberarci dalle tensioni, dalle ansie e dalle proccupazioni...e più diventeremo ricchi interiormente! Tutti noi, le nostre vite ed i nostri cuori e la nostra mente, allora,  si espandono, si elevano sempre più! 
Ed il canto è uno strumento così incredibile e potente per liberare le emozioni che molti non conoscono neanche! Solo così avviene che la voce, unita ad un respiro a pieni polmoni, tocca direttamente quel pozzo interiore delle emozioni e delle turbe mentali, purificandoci...

All’inizio, ribadisco, quando cantiamo, potremmo sentirci intimiditi...anche a me capita quando inizio a cantare…poi si comincia e gradualmente le nostre “finestre chiuse” interiori si dischiudono; la porta del cuore si apre e maggiormente riusciamo ad allontanare le nostre inibizioni, il nostro auto-giudizio, le nostre autocritiche, e, finalmente il nostro ego si quieta...e allora entriamo sempre più in uno stato di pace, di armonia interiore e con tutti.

…Ad esempio, all'inizio, ci preoccupiamo di come sembriamo quando cantiamo, ci preoccupiamo di chi ci ascolta…poi, iniziando, man mano, ci si abbandona alla pratica e sempre più  l’esperienza diventa entusiasmante e ricca di sensazioni profonde!

Per alcuni di noi questa esperienza può sembrare molto strana, nuova ed esotica, ma vorrei lo stesso invitare voi tutti a provarla, a sperimentarvi e, se possibile, mettere da parte per un attimo la nostra, la vostra mente analitica e iniziare a cantare!

La cosa più importante, ripeto, è non essere critici con voi stessi; tutto ciò che provate è assolutamente valido, è assolutamente perfetto!
A volte cantando, io metto la mia mano sul cuore e ascolto la vibrazione prodotta dalla mia voce, lì, proprio sul centro del mio cuore...e sento in tutto il mio essere l’energia che cresce...e allo stesso tempo canto più forte, più intensamente...e canto esternamente le parole e canto anche internamente con passione...

E sempre più, tutto questo, molto dolcemente, mi conduce verso quel luogo…verso quel vasto “Oceano” di sensazioni divine racchiuse dentro me…dentro di noi. E quando parlo di “sensazioni divine” intendo tutte le sensazioni, umane e divine,  divine e umane che sono dentro tutti noi! ...Quindi, perché riteniamo che ci possa essere  una qualche differenza in tutte queste nostre manifestazioni interiori?

Ho sentito per la prima volta il Kirtan da adolescente, a New York. Abitavo a Manhattan e quando sentii degli album di musica folk e tradizionale indiana tutto ciò mi catturò totalmente!...Furono i suoni e le voci a rapirmi e a sollevarmi e, più di tutto, quell’incredibile anelito e desiderio di pace...di amore...di sublime....che udivo nel loro canto.

Cosi, all’età di 19 anni andai in India e tra tutte le cose meravigliose che mi accaddero la più incredibile fu l’incontro con un santo indiano, un Guru chiamato Neem Karoli Baba.
Era un uomo semplicissimo per moltissimi aspetti; indossava un telo bianco e sedeva su una panca di legno, mentre sorrideva e parlava e ripeteva il nome di Dio, dicev: Ram, Ram, Ram!
Ma la sua presenza era così magnetica e potente da riuscire a toccarmi profondamente nel cuore ed a stravolgermi interiormente, profondamente!  Questo Maestro mi illuminò la mente ed il cuore e mi fece intraprendere un nuovo sentiero di vita…

Attorno a Maharaj, (il titolo onorifico di un Guru illuminato) risuonavano le voci di persone che cantavano Samkirtan; si sentivano anche da lontano, per le strade anche attraverso gli altoparlanti, e la sua musica era cosi appassionata e commovente che volevo ascoltarla sempre più! ...E desideravo solo imparare a conoscerla meglio.

E mentre sedevo accanto a questo Santo uomo, che era l’incarnazione di un vastissimo Amore, tutte le benedizioni di questo meraviglioso essere spirituale toccavano il mio cuore in una maniera che è impossibile a descriversi.

E così ascoltando il Kirtan tutto il tempo appresi un modo per esprimere ciò che era racchiuso nel mio cuore.
Oltre a tutto ciò, il mio Guru Maharaji adorava il Kirtan e quando cantavamo tutti insieme sentivo che, allo stesso tempo, stavamo donando qualcosa a lui e allo Spirito universale e nel contempo ricevevamo tutti grande energia interiore, grande passione.
E ciò accade perchè, quando apriamo i nostri canali psichici, a noi viene regalata ogni cosa...Dio ci dà il nutrimento interiore, ci da il respiro e la vita!  Quindi, che cosa possiamo donare noi in cambio a Dio?

Maharaji mi ha benedetto donandomi la Bhakti! (La devozione sincera, profonda…). Egli ha piantato in me i semi della Bhakti, ha attivato in me una grande energia! E mi ha fornito degli strumenti per continuare a far crescere quei semi. Mi sento molto fortunato di aver ricevuto tutto questo e di poterlo condividere con voi...

Al alcuni di voi potrebbe sembrare sconcertante cantare canzoni dedicate a centinaia di diverse divinità indiane, maschili e femminili. Divinità con la testa di elefante! Dività con il viso da scimmia! Dee con otto braccia e Dee che cavalcano delle tigri, dei cigni e altro ancora! Ma tutto ciò è profondamente insito nella molteplicità dei simboli divini nella tradizione induista.

Dopotutto perchè dovremmo ritenere Dio come qualcosa di diverso rispetto al creato, a noi stessi, ai nostri cari e alle persone che conosciamo ed a tutti gli esseri!?!
Come esseri umani noi abbiamo innumerevoli sfaccettature, tanti aspetti e volti, abbiamo tanti modi di essere nel mondo e innumerevoli colori  sono racchiusi dentro di noi… Non è lo stesso per Dio…nelle Sue varie espressioni di Manifestazione e di Potenza?

Io credo che l’ Essere Universale, l’ Unità universale, si manifesti in maniera che noi possiamo relazionarci con Lui, o con Lei, in particolar modo con tutta la gamma delle nostre diverse emozioni che proviamo...

...Tra le mie divinità preferite, e tra i miei migliori amici, per me c’è Hanuman, il Dio dal volto di Scimmia! (...questo ovviamente è un simbolo che si rifà agli antichi abitanti primitivi di quelle regioni, di colore scuro). 
Hanuman è un essere così vasto...così imprevedibile e misterioso, che è quasi impossibile descriverlo con poche parole!
Hanuman è il simbolo della totale abnegazione, della devozione e del servizio assoluto, al Divino!

Hanuman è pronto a fare qualsiasi cosa per Dio...per servirlo! Allo stesso tempo, però, è anche un ferocissimo guerriero; è
l’ acerrimo nemico dei demoni dell’ignoranza, dell’egoismo, della violenza e di coloro che manifestano la totale noncuranza dell’Io Supremo! Questo dimostra che ci sono moltissimi contenuti da considerare per comprendere i differenti aspetti delle divinità dell’Induismo.

Hanumam è il figlio del Dio del Vento, del Soffio Divino ed è conosciuto anche come il Respiro di Ram! La Forza vitale, l’Energia cosmica che ci collega a Dio, all’ Infinito!

Tra le divinità più popolari in India e anche tra i più conosciuti in Occidente troviamo Ganesha, il Dio dal volto di Elefante. Anche questo carico di simbolismo! Ganesha viene sempre invocato all’inizio di ogni impresa e di ogni prova perchè è il Dio che rimuove gli ostacoli.Ganesha è il depositario della Saggezza e conferisce la Conoscenza divina, è dotato di pazienza infinita e rappresenta anche l’elemento Terra, le radici.
Infatti, viene detto: ”...Come possiamo procedere e andare avanti nella vita finchè non abbiamo fatto pace con le nostre radici, le nostre fondamenta”?

....Nel mio CD ci sono anche parecchi Kirtan dedicati a Radha e Krishna, Radhe e Govinda e Radhe e Sham.
Radha e Krishna sono gli amanti divini; Radha è la Dea, l’incarnazione di tutti i sapori e gli aromi dell’amore…è il momento in cui il cuore è in piena fioritura e i frutti più carichi sono pieni di nettare... Questo è  il simbolismo di Radha!
E Krishna, detto anche Govinda, o Sham, (colui che da la gioia, l’amico interiore Divino) è la forza assoluta e non manifesta della Creazione, del Creatore! E' la Divinità vista come il nontro più intimo e caro amico/a!

Quando pensiamo, quindi, a Radha e Krishna, Radhe e Govinda, Radhe e Sham, ci riferiamo agli aspetti più romantici delle emozioni umane che rappresentano il nostro intimo, quel luogo interiore nel quale desideriamo, aneliamo ricongiungerci con l’Amato, e insieme al nostro prediletto,  ci distacchiamo da tutti i nostri attaccamenti e desideriamo solo, vicini volto a volto, abbracciare l’Amato, l’Amata…
Quando Krishna suonava il flauto tutti coloro che sentivano tale melodia perdevano ogni attaccamento verso i problemi dell’esistenza terrena, tutto si dissolveva come fumo, come vapore, e diventavano Radhe, Radha…esseri pieni di amore per tutto e tutti!

In India, nell’area nella quale Krishna e Rada vengono ancora adorati, le persone sono solite rivolgersi tra di loro salutandosi e chiamandosi: Radhe! Radhe! E’, infatti, un altro modo di dire Radha. Non si salutano, quindi, dicendosi: Ciao John, Jo, Mary ecc. bensì dicono: “Radhe! Radhe! Radhe!” Chiamandosi in tal modo con il nome della Dea, chiamandosi amato, amata. Questo perchè noi siamo tutti gli amati di Dio e tutta la Creazione è il desiderio della Dea  di ricongiungersi con Dio…

Troviamo poi il Dio Shiva, il Distruttore, il Trasformatore! Colui che rappresenta  l’Energia primordiale della trasformazione! Shiva...Mahadeva (Il Grande Dio), sono tutti i diversi nomi di Shiva;  ed ancora: Nataraj, (Il signore della Danza Cosmica), Shivaraj, (il Fausto Signore dell’Universo); sono i tanti nomi per indicare quella potente onda di trasformazione continua, il maremoto ed il vento del cambiamento; il Grande fuoco che purifica e trasforma tutto l’Universo, nelle sue molteplici espressioni e manifestazioni!

Shiva è tutto ciò!...E' quella potentissima forza che produce mutamento..! E ci riferiamo a lui come al Distruttore perché cancella ciò che è scritto sulla lavagna così che nuove opere possano essere scritte! Egli distrugge tutto affinché la rinascita possa avvenire all’istante.!
Ed è tutto ciò che accade dentro di noi, ogni secondo, in ogni millesimo di secondo, in tutte le nostre cellule, in tutto il nostro essere...in tutti gli esseri sulla nostra Terra e nell'Universo infinito! ...Creazione, Conservazione, Distruzione e Trasformazione!

OM  NAMAH  SHIVAYA!  OM  NAMAH  SHIVAYA!  OM  NAMAH  SHIVAYA!

In questo CD abbiamo anche dei mantra rivolti a Durga, a Kali, che sono entrambi sinonimi della Divinità vista sotto l' aspetto del Principio femminile creatore manifesto; Durga e Kali  ci possono aiutare a vincere la collera, la furia distruttiva e tutti quegli aspetti e tendenze più negativi della personalità e dell'animo umano! 
Durga, Kali, Parvati, Shakti e molti altri sono i vari nomi dell' Energia femminile, la manifestazione nel fenomenico del Principio creatore, considerata anche  la sposa di Shiva.

Nei vari dipinti o sculture indiani Kali e  Durga vengono raffigurate mentre cavalcano tigri e cavalli e vanno alla carica nella battaglia; impugnano le armi per distruggere, recidere, estirpare, appunto,  gli aspetti negativi del nostro ego;  per questo esse hanno delle  espressioni feroci sul volto.

Kali brandisce la spada ed è coperta dal sangue della testa recisa dell’ego; a volte la Madre universale si manifesta totalmente piena d’ira, perchè il potere del nostro io, del nostro ego è così forte, distruttivo, tenace e ingannevole che produce tanto male tra gli esseri umani, tra noi…i suoi figli!
Ma questi simbolismi sono utili a comunicare tali messaggi anche alle genti umili, non colte…perché tutto è utile e necessario per il raggiungimento della nostra liberazione; la Dea ci aiuta così a diventare liberi dalle negatività interiori ed elevare il nostro spirito. 

Si narra infatti che quando guardiamo davvero intensamente negli occhi di Kali... "negli occhi del mondo..." allora tutte le brutture del mondo, le nostre brutture e tutti  gli orrori  umani si tramutano nella "Visione meravigliosa del Suo volto" che diviene di una mirabile bellezza e Luce assoluta! E' la meraviglia della Creazione intorno a noi!

...Perché  la nostra Terra, tutti gli esseri, tutto il Mondo, tutto l'Universo,   sono una Creazione Meravigliosa...Straordinaria...Fantastica....Infinita! …E io ritengo che sia proprio questa l’essenza della Bhakti! Ed il vero cuore di questa pratica è l’abbandonarsi ad essa…

 Ogni volta che canto e recito un Mantra, sia che canto Krishna, Shiva, Hanuman, Ram, Sita o altri, dico anche una preghiera: “Che la mia volontà personale, il mio ego, si dissolva nella Grande Volontà Unica, nell’Immensa Coscienza Universale…

Che io possa offrire a Te oh signore, a Voi oh Dei tutti i miei desideri, i miei sogni, le mie motivazioni e ragioni.. tutto! E che sia fatta la Tua volontà, non la mia…”

 Secondo me questo è l'essenza della nostra pratica e della nostra vita...il cuore di tutto! E quando canto penso al mio Guru, per me il vero canale che mi conduce al Mondo e a Voi qui oggi convenuti! 
Tutto l’Universo è racchiuso anche nel mio cuore, nel nostro cuore!!!

HARI OM!   HARI OM!  HARI OM!
 Jai Uttal     

 ( Adattamento di R. Mattei)




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YOGA NIDRA : L'EDUCATORE DELLA COSCIENZA








Praticando lo Yoga Nidra, la parte integrante del Pratyahara, al quinto livello, sperimenteremo il rilassamento totale attraverso la rotazione della coscienza, la visualizzazione e la percezione delle sensazioni opposte. In tal modo potremo addentrarci negli strati più profondi del Subconscio e dell’ Inconscio ottenendo l’Integrazione nella nostra Coscienza.
Con tali pratiche potremo raggiungere il livello “Alfa” o “Ipnagogico” che favorirà la liberazione delle “Endorfine” e delle “Encefaline”, i potenti neuro ormoni della guarigione e  rigenerazione, prodotti nel cervello ed in vari altri distretti del nostro meraviglioso organismo: intestino e gonadi, per esempio! Questo fantastico fenomeno avviene, appunto, nei momenti di rilassamento profondo,     di abbandono totale,  di concentrazione sul respiro circolare e  sull’ osservazione distaccata dei moti della nostra mente.

A questo punto Sarà necessario,  completare l’opera su di noi praticando: Dharana, Dhyana e Samadhi; …Concentrazione,  Meditazione e Identificazione  con il Sé, sperimentandoci, nello Yoga Interiore o “Samyama”. In tal modo giungeremo al culmine, il “Samadhi” di questo straordinario “Ottuplice Sentiero” del Raja Yoga di Patanjali, il “Samadhi”, la Contemplazione Trascendentale con l’Assoluto!
Queste potenti pratiche favoriranno, il ristabilirsi dell’ “Omeostasi”, l’ equilibrio interiore e la salute fisica e psichica  del “Sadhaka”, il sincero praticante spirituale yoga.
Attuando il “Satsangha”  raggiungeremo la  “Comunione di anime”;  sperimentandoci con il Mantra e le danze katartiche,  realizzeremo la purificazione del nostro Karma e la gioiosa espansione della  Coscienza!

Tutte queste pratiche concorreranno a farci recuperare dagli effetti negativi dello stress, a liberarci dalle turbe mentali deprimenti e distruttive, dalle tendenze negative e perniciose  della personalità e del nostro ego…potremo così  liberarci  dai “Samskara” negativi!
Tutta questa intensa pratica ci permetterà di ritrovare tutte le nostre forze latenti, sviluppare le “Siddhi”, i poteri latenti della mente, ed ampliare la nostra “Intelligenza Spirituale”!
Tutto questa intensa ricerca ci permetterà di divenire esseri “Intelligenti Spiritualmente” e acquistare una maggiore consapevolezza dell’  ”Immagine globale” relativa a noi stessi e all’Universo… e del nostro posto e scopo al suo interno!
Perché l’ “Intelligenza Spirituale è la più importante delle nostre molte forme di intelligenza!  
Essa  ha il potere di trasformare positivamente la nostra vita, la civiltà, il pianeta e il corso della storia! E soprattutto saremo e vivremo in Pace!
“Voglia Iddio che tutti i Popoli della Terra trovino finalmente questa Pace tanto desiderata!”
Solo in tal modo favoriremo la libera evoluzione interiore ed il raggiungimento di un nuovo equilibrio Psico-Fisico individuale ed universale permettendoci di affrontare le esperienze della vita con  serenità, equanimità, saggezza e gioia di vivere!
E’ sempre possibile ritrovare la nostra “Grande Energia Creatrice”.
E’ solo necessario realizzare la  “Chiara Visione”!
E’ tempo di “Scegliere il Nostro Destino

      


                                       “Conosci Te Stesso - Realizza Te Stesso   
         Attraverso le Metodologie
 dello Yoga Nidra provenienti dall’antico Tantra
La maggior parte di noi porta con sé eredità caratteriali che provengono in parte dalla famiglia di origine, dall’ambiente, dall’educazione, dalla formazione ricevuta e fondamental-mente dal proprio Karma o destino che dir si voglia.
Sono infatti le tendenze e gli istinti innati, impressi nella coscienza individuale, che emergendo prepo-tentemente, nel corso della vita, dimostrano la vera natura dell’ individuo.
Le eredità che provengono dalla famiglia, a seconda del tipo di educazione ricevuta, positivamente o negativamente, condizionano la nostra avventura sulla Terra. Similmente, le qualità positive o negative delle tendenze e degli istinti che costituiscono la natura più profonda della personalità individuale, determinano l’ evoluzione della nostra vita attuale.
I condizionamenti negativi della personalità ci appesantiscono emotivamente, energeticamente e psicologicamente, influenzando tutte le nostre relazioni umane, che siano sentimentali, famigliari, lavorative, facendoci sfociare spesso in frequenti conflitti con noi stessi e con gli altri.
Per questo non dobbiamo dare la colpa a nessuno. Non è questione di colpa. Noi siamo quello che siamo! Ma è da questa base che dobbiamo riemergere ed evolverci considerando, soprattutto, che ognuno di noi è, secondo la teoria del Karma, il frutto delle azioni e del comportamento passato. Tutto il nostro modo di essere, in questa attuale esperienza terrena, in continua evoluzione, ci porta a confrontarci continuamente con problematiche esistenziali spesso ardue e difficili da superare.
 La Filosofia dello Yoga e Vedanta affermano che,con una forte determinazione ed una incrollabile presa di coscienza e disciplina, possiamo intraprendere la via della “Reintegrazione”; effettuare cioè la definitiva catarsi nella nostra coscienza, rilanciare tutte le forze e divenire finalmente i padroni della vita e del nostro destino.
E’ solo questione di decidersi a far buon uso del famoso: “Libero Arbitrio”; libertà di agire ma con discernimento; volontà di effettuare una radicale e positiva trasformazione della nostra personalità e della vita o, altrimenti, continuare ad essere sempre più coinvolti e stravolti da un’esistenza travagliata.
Sarà necessario comprendere allora il vero scopo della vita, svolgere serenamente il nostro ruolo nel contesto dell’esistenza, divenire più comprensivi e disponibili; realizzare i nostri nuovi obiettivi con serenità e saggezza.
 Per ottenere tutto questo è necessario migliorare la conoscenza dei propri meccanismi psicologici a livello corporeo, emotivo e comportamentale attraverso le numerose metodologie proposte dalla Scienza Yoga – nello specifico - dallo Yoga Nidra e dalla Psicologia del Profondo. Sviluppare la forza vitale, ampliare la conoscenza ed espandere la coscienza sono infatti le tre componenti fondamentali per la nostra crescita totale e “Realizzazione” nella vita.
Potrebbe sembrare arduo e faticoso ma questo percorso sarà semplicemente affascinante! Man mano vedremo crescere la nostra passione per questo tipo di ricerca e conoscenza totale di noi stessi; una nuova energia sprigionerà dal nostro essere sviluppando un rinnovato entusiasmo per la vita e la creatività.
 Tutto ciò potrà effettuarsi attraverso le pratiche esperienziali dello Yoga Nidra sul corpo, sulla mente e sulla psiche: sciogliendo le rigidità del corpo, congiuntamente alle posture ed alla respirazione profonda, rilasseremo le tensioni nervose e mentali. Ma andremo oltre in questo processo evolutivo: verrà trattato tutto il nostro complesso essere, soma-psiche attraverso specifiche pratiche provenienti dall’antico Tantra Yoga, “Lo Yoga della Potenza”: (Hatha, Kundalini, Kriya, Mantra, Meditazione), ciò favorirà la salute totale del corpo, della mente e l’evoluzione dello spirito.
E’ soprattutto attraverso lo Yoga Nidra, la porta di accesso ai livelli più profondi dell’essere, che si può realizzare, infatti, il rilassamento totale, raggiungere ed imparare a prolungare il livello “Alfa”, nel nostro cervello; tale stato ottimale di rilassamento, visualizzazione ed interiorizzazione favorirà la liberazione delle “Endorfine” endogene ed il conseguente recupero dagli effetti negativi e debilitanti dello stress. Tali pratiche ci porteranno a ristabilire lo stato di equilibrio interiore, l’“Omeostasi” apportatrice di guarigione e salute totale.

 Per mezzo delle tecniche di rilassamento, visualizzazione guidata, respirazione e meditazione dinamica, si ottiene il rafforzamento della struttura di base della nostra mente, la liberazione dalle tendenze negative e dai vizi comportamentali radicati nella nostra coscienza. L’eliminazione delle turbe mentali e la conseguente espansione della coscienza ci condurranno allo sviluppo dei poteri superiori della nostra mente.
Attuando la respirazione alternata e circolare, le tecniche di comunicazione, le danze catartiche di gruppo, il mantra e la meditazione, realizzeremo la purificazione dei livelli più profondi del nostro essere, subconscio e inconscio migliorando emotivamente il rapporto con noi stessi e con la società.



Recenti studi e ricerche scientifiche, effettuati nei maggiori Istituti di ricerca ospedaliera nel mondo, hanno confermato la validità delle suddette pratiche yoga come coadiuvanti nelle terapie delle numerose malattie psicosomatiche provocate dagli stati prolungati di stress, insoddisfazione e tensione nervosa.
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                                            VIDYA - AVIDYA






 La conoscenza iniziatica, diversamente da quella mondana, non ha nulla a che fare con la  natura materiale delle cose, ma con il loro appartenere al mondo dello spirito imperituro o  a quello delle apparenze fenomeniche, con il loro essere permanenti o impermanenti. Qui  non esiste divisione tra bene e male in senso morale, ma piuttosto l’ essere attinente al  divino oppure non esserlo.  

E  una via per esclusione, una via arida e fredda adatta alle menti logiche e determinate, a  chi per natura è portato a comprendere piu che ad agire e amare.

 Avidya , la non scienza,  è considerare importante cio che è illusorio, perituro, instabile, vincolante e creatore di  Karma.

Vidya , la vera scienza, è la capacita di riconoscere cio che è stabile, eterno, puro e  assoluto  , ovvero Sat-Cit-Ananda -- Essere  , Coscienza , Beatitudine --  la vera natura del Sè. 

Abbandonando cio che è Avidya ( non realta in senso spirituale) e stabilizzandosi nel Sè il  saggio raggiunge la realizzazione suprema.   


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I "Klesha", le cinque sorgenti della sofferenza umana
Avidya, Asmita, Raga, Dvesha, Abhinivesha

Klesha in sanscrito, significa afflizione, sofferenza di carattere esistenziale dovuta alla non conoscenza della propria natura di Essere-Coscienza-Beatitudine assoluti (Satchidananda);  
Avidya è la radice di tutti gli altri klesha, definito ignoranza nel senso di nescenza o inconsapevolezza che porta a commettere degli errori che condizionano, di conseguenza, la nostra vita e l'intera esistenza.
Asmita è il senso dell'io individuale, “l'identificazione del Purusa con il città” (del nostro Sè supremo con il piccolo io); in tal modo condizioniamo la nostra Coscienza spirituale con le attività mentali e le vicissitudini quotidiane vivendo, di conseguenza, una vita di conflitti interiori ed esteriori. 
Raga é l'attrazione per qualcosa e si fonda sulla memoria del piacere; siamo attratti da qualcosa che in passato ci ha dato piacere, soddisfazione e viviamo in una perenne aspettativa di nuove simili esperienze; ma la vita e le situazioni cambiano, e sovente ci succedono imprevisti e contrasti inaspettati che ci causano frustrazioni, pentimenti ed afflizioni.
Dvesha è il contrario, ostilità, avversione, repulsione e si basa sull'insoddisfazione e dolore; dvesha si fonda a sua volta sul ricordo del dolore: tutto ciò che ci ricorda anche lontanamente esperienze negative e dolorose cerchiamo di evitarlo, ma non sempre ci riusciamo... 
Abnivesha viene definita attaccamento, istinto di sopravvivenza; questo attaccamento eccessivo, soprattutto in vecchiaia,  mette in moto quella particolare forza karmica che porta a reincarnarci in vite successive, anziché a liberarci e fonderci nell'Assoluto. Quindi è una forza molto potente contro la liberazione dello Spirito. 

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