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martedì 8 novembre 2011

CON IL SAGGIO MUKTANANDA...ALLA SCOPERTA DELLA MENTE

II   MISTERO  DELLA  MENTE

Dai sublimi insegnamenti di  Swami Muktananda




Swami Muktananda nasce nel 1908 da una agiata famiglia di proprietari terrieri e fin dalla più tenera età ebbe modo di accostare grandi saggi .

Questi incontri segnarono una svolta nella vita del ragazzo. Poco dopo decise di andar via di casa alla ricerca di una esperienza diretta di Dio, un viaggio che l'avreb­be portato a percorrere l'India in lungo e in largo per ben tre volte nell'arco di quasi venticinque anni.

Incontrò il suo primo maestro, Swami Siddharudha, uno studioso e santo tra i più famosi dell'epoca, in un ashram a Hubli, trecento chilometri a nord della casa dei suoi genitori.
Fu lì che studiò il Vedanta e prese i voti di sannyasa, ossia i voti monastici, ricevendo il nome di Swami Muktananda, "la beatitudine della liberazione".

Quando Siddharudha morì, nel 1929, Swami Muktananda cominciò a visitare un ashram dopo l'altro, incontrando più di sessanta maestri spirituali e assorbendo i loro insegnamenti, sem­pre alla ricerca di qualcuno che gli desse l'esperienza di Dio.

La sua ricerca continuò per diciotto anni. In quel periodo divenne un esperto delle maggiori scritture indiane, apprese un'ampia gamma di discipline e abilità, dall'hatha yoga all'arte culinaria, alla medicina ayurvedica, ma senza trovare ciò che cercava.
Infine uno dei santi che aveva conosciuto lo mandò da Bhagawan Nityananda, il Maestro Siddha, ossia il maestro spiri­tuale perfetto, incontrato tanti anni prima. Bhagawan Nityananda


BHAGAWAN NITYANANDA

Un personaggio straordinario Bhagawan Nityananda! Uno dei saggi e santi moderni dall’India. Viveva allora nel piccolo villaggio di Ganeshpuri, ottanta chilo­metri a nordest di Bombay. Swami Muktananda riconobbe in Bhagawan Nityananda il Guru che aveva sempre cercato e che, come dichiarò in seguito, con questo incontro, "mise per sempre fine al mio vagare".

Da Bhagawan Nityananda egli ricevette Shaktipat, la sacra iniziazione dei Siddha grazie alla quale viene risvegliata l'energia spirituale di una persona. Quest'energia, chia­mata kundalini, è un potenziale divino che esiste all'interno di ogni essere umano. Una volta risvegliata permette a un cercatore di raggiungere i livelli più sottili dell'esperienza intcriore.

Con questa iniziazione, Swami Muktananda divenne un disce­polo e si dedicò al sentiero spirituale indicatogli dal suo Guru. Questo fu l'inizio di un periodo di nove anni di intensa trasforma­zione, di totale purificazione, nel corso del quale Muktananda esplorò i regni ulteriori della coscienza, arrivando a stabilizzarsi nella pienezza e nell'estasi della propria natura più profonda.
Nel 1956 Bhagawan Nityananda dichiarò che il viaggio ulteriore del suo discepolo era giunto al termine: Swami Muktananda aveva rea­lizzato il Sé, l'esperienza dell'unione con Dio.

Anche dopo aver raggiunto la meta della sua ricerca, Swami Muktananda rimase un discepolo devoto e continuò a vivere tran­quillamente vicino a Ganeshpuri. Bhagawan Nityananda fece costruire per lui un piccolo ashram, vicino al suo, e per cinque anni Guru e discepolo vissero a meno di un chilometro di distan­za.

Poi, nel 1961, poco prima di morire, Bhagawan Nityananda scelse come suo successore Swami Muktananda e gli diede il comando di portare l'iniziazione shaktipat e le pratiche senza tempo dello yoga ai cercatori di tutto il mondo. Quel giorno Bhagawan Nityananda gli disse: "II mondo intero ti vedrà".

Negli anni successivi Babà, come veniva chiamato Swami Muktananda, viaggiò per tutto il mondo, impartendo ad altri la stessa iniziazione Shaktipat che aveva ricevuto, facendo conoscere gli insegnamenti e le pratiche del Siddha Yoga a moltissimi cercatori e dispensando con generosità la grazia donatagli dal suo Guru.

Persone che non avevano mai sentito parlare di medita­zione, in presenza di Babà si sentivano attirate verso una quiete intcriore che dava nuovo scopo e significato alla loro esistenza. Babà ideò programmi per dare shaktipat a gruppi numerosi di persone, e non si stancò mai di spiegare il processo di trasforma­zione in atto al loro interno. Via via che la fama di Babà si dif­fondeva, il suo ashram, ora noto come Gurudev Siddha Peeth, si espanse per accogliere i cercatori che arrivavano e, col tempo, in tutto il mondo furono aperti altri ashram e centinaia di centri di meditazione Siddha Yoga.

Nel 1982, poco prima di morire, Swami Muktananda designò come successore Swami Chidvilasananda. Sua discepola sin dal­l'infanzia, ella aveva viaggiato con lui a partire dal 1973, traducen­do in inglese i suoi scritti, i suoi discorsi, e i molti dialoghi infor­mali con i devoti. Colma sin dalla più tenera età dell'anelito a rag­giungere Dio e ardentemente impegnata nella ricerca spirituale, divenne una discepola esemplare.

Il suo Guru la guidò con molta attenzione nel sadhana, in modo da prepararla alla successione. Nel maggio del 1982 Swami Chidvilasananda prese i voti monastici e verso la fine dello stesso mese Swami Muktananda le confe­rì il potere e l'autorità del lignaggio Siddha, l'eredità spirituale rice­vuta dal suo Guru.

Da allora Gurumayi, come viene spesso chia­mata, continua a dare shaktipat e a insegnare le pratiche spirituali del Siddha Yoga a un numero sempre maggiore di cercatori, facen­do conoscere loro il messaggio di Swami Muktananda:
Medita sul tuo Sé. Onora il tuo Sé. Adora il tuo Sé. Comprendi il tuo Sé. Dio dimora in te come te.


SWAMI CHIDVILASANANDA

Prefazione

Swami Muktananda era uno psicologo, ma non del tipo a cui siamo abituati in Occidente. Nella cultura da cui proveniva, uno psicologo non è qualcuno con una laurea e qualche anno di pra­tica. Gli psicologi dell'Oriente (cioè i veri psicologi) sono dei saggi, uomini e donne di rara e splendida sapienza.

Nella tradi­zione di Swami Muktananda, tali grandi psicologi sono chiamati Siddha, Maestri che hanno realizzato il Sé, esseri che non solo hanno raggiunto lo stadio più alto dell'evoluzione umana, ma che sono anche in grado di fare avanzare gli altri verso questa meta.

Benché in Oriente tali Maestri siano stati conosciuti e ricono­sciuti per millenni, la maggior parte degli occidentali ha una così scarsa conoscenza dei livelli più elevati della coscienza umana che trova difficile persino immaginare che cosa significhi averli padroneggiati.
Ci può far piacere pensare che un essere umano è una creatura in grado di perfezionarsi e che la vita è un processo che conduce verso livelli sempre più elevati di maturità, ma, tutto sommato, non abbiamo nessun modello che suggerisca quale potrebbe essere il risultato finale di questo processo di crescita.

Swami Muktananda era un tale modello. Stando con lui, osser­vandolo, cominciavamo a renderci conto fino a che punto arriva la potenzialità umana. Swami Muktananda aveva la spontaneità di un bambino, unita alla sicurezza e alla saggezza di un uomo che aveva trovato risposta a tutte le proprie domande. Sia che parlasse a migliaia di persone o fosse in intima conversazione con una o due, era sempre completamente concentrato, assolutamente presente, e in totale sintonia.

Il suo amore e la sua accettazione degli altri erano incondizionati: benché andassero da lui persone con sofferenze mentali ed emotive di ogni tipo, non ha mai respinto nessuno. Il poeta e saggista Paul Zweig era solito raccontare quanto accadde durante il suo primo incontro con Swami Muktananda, quando un uomo in evidente stato di agitazione si alzò e urlando affermò che in questo mondo di sofferenza nessuno aveva il diritto di esse­re felice come lo era Swami Muktananda.

Swami Muktananda rimase semplicemente seduto nella sua sedia guardandolo con occhi calmi, finché ad un certo punto l'uomo gridò: "Che cosa faresti se tirassi fuori una pistola e premessi il grilletto?"
"Morirei amandoti" fu la risposta di Swami Muktananda. Ciò che colpì Zweig, e che colpì anche gli altri intorno a Swami Muktananda, fu non solo il suo amore, ma anche la sua assenza di paura, la sicurezza e la padronanza di sé con cui diede all'uo­mo quella risposta che disarmò totalmente la sua rabbia e fru­strazione.

Queste sono le qualità che tutti cerchiamo in un inse­gnante: saggezza e coraggio, amore ed intuizione, capacità di comprensione e la conoscenza necessaria per guidare gli altri verso la loro realizzazione.
In effetti, un Siddha offre ai suoi studenti non solo risposte alle loro domande, ma il mezzo per entrare in contatto con le loro risorse più profonde di forza, libertà e amore. Egli ha la capacità di risvegliare nelle persone l'energia spirituale latente, di avviare un processo interiore spontaneo che le condu­ca non solo ad una pace e soddisfazione più grandi, ma anche a espandere radicalmente l'esperienza di chi esse sono realmente.
Quando qualcuno andava da Swami Muktananda per domandare come capire e come aiutare le persone, molto spesso egli rispondeva parlando della mente. Per lui comprendere se stes­si e gli altri significa soprattutto comprendere la propria mente, e trattare con i problemi significa soprattutto trattare con la mente.

L'insoddisfazione che sperimentiamo, ci diceva, non è causata da forze esterne, né è il risultato di precoci condizionamenti. Le nostre difficoltà derivano dall'incapacità di gestire i prodotti della nostra mente. Perciò la sua cura contro l'infelicità e la sensazione di confusione era molto semplice: padroneggiare la propria mente.


Il punto di vista di Swami Muktananda sulla mente era basa­to sulla psicologia classica dello yoga, derivata in particolare dagli Yoga Sutra di Patanjali e dagli insegnamenti della grande filosofia monistica dello Shivaismo del Kashmir.

Questo approccio si fonda sulla comprensione che la mente non è né il cervello fisico né l'intelletto (benché l'intelletto sia una parte della mente). In realtà la definizione yogica della mente è molto simile alla nozio­ne di ego che troviamo nella psicologia occidentale.

La mente, nello yoga, è il bagaglio psichico interiore di un essere umano, un insieme complesso di percezione, cognizione, giudizio e identità personale, che determinano la qualità dell'esperienza individuale di vita.

Secondo la psicologia yogica, la mente comprende quat­tro funzioni. Attraverso i sensi, essa riceve informazioni su noi stessi, gli altri e l'ambiente. Poi mette in relazione queste infor­mazioni con la nostra esperienza precedente, integrandole nella storia personale e rendendole parte di noi stessi. In seguito for­mula un giudizio sui dati ricevuti, e infine deposita l'esperienza, assieme a tutte le altre, nel vasto magazzino dell'inconscio.

La base di tutte le funzioni della mente è il processo di cogni­zione e pensiero. Swami Muktananda sottolinea in questo saggio che la mente consiste in un flusso continuo di pensieri. Questo è ciò che tutti noi sperimentiamo non appena rivolgiamo la nostra attenzione all'interno.

Quando ci stendiamo per addormentarci, ritiriamo i nostri sensi dal mondo esterno; chiudiamo gli occhi e focalizziamo la nostra attenzione all'interno, e così facendo dive­niamo consapevoli dell'incessante flusso di pensieri, fantasie ed immagini che attraversano la nostra mente.

In effetti l'insonnia altro non è che l'incapacità di distoglierci da questo flusso ed è durante i periodi di insonnia che la maggior parte delle persone comincia a rendersi conto di quanto la mente è fuori dal loro con­trollo.

Gli psicologi dello yoga hanno spinto l'autoanalisi molto più avanti della maggior parte di noi, e la conclusione a cui sono giunti è che lo stato in cui si trova la nostra mente determina lo stato in cui ci troviamo.
Come Swami Muktananda sottolinea nelle pagine seguenti, non abbiamo alcun controllo sul nostro stato interiore. La felicità va e viene, e siamo incapaci di afferrarla e trattenerla. Ci identifichiamo con i pensieri e le emozioni che attraversano la nostra mente; quando i pensieri e le emozioni sono piacevoli ci sentiamo felici, quando sono spiacevoli soffriamo.

E importante notare che Swami Muktananda non fa una mar­cata distinzione fra pensieri ed emozioni. In Occidente consideria­mo le emozioni distinte dai dati dell'intelletto, ed abbiamo creato per il nostro benessere una varietà di terapie mirate a sciogliere i blocchi emozionali.

Ma Swami Muktananda e gli yogi-psicologi della sua tradizione ci dicono che anche le emozioni sono prodotti del pensiero, essendo di fatto reazioni ai pensieri e alle immagini, e quindi lavorare sull'espressione e sull'analisi delle emozioni signifi­ca essenzialmente focalizzarsi su manifestazioni secondarie.

Per tale ragione, uno dei rimedi raccomandati più di frequente da Swami Muktananda per le emozioni negative erano i pensieri positivi. Egli sottolineava che, se invece di pensare a noi stessi come piccoli e infelici, cominciassimo a pensarci come puri e perfetti, il nostro stato intcriore cambierebbe di conseguenza.

 Egli ci ha detto che il modo più efficace di trattare sia i pensieri che le emozioni è in ulti­ma analisi quello di trascenderli, osservandoli da una posizione al di là della mente. In altre parole, invece di pensare ai nostri pensie­ri, emozioni e impulsi, invece di tentare di analizzarli, di risolverli o di sbloccarli, egli ci ha suggerito semplicemente di osservarli.

E qui che giungiamo al cuore della psicologia yogica, perché la prospettiva di Swami Muktananda sulla mente si basa sulla conoscenza che esiste qualcosa di più potente della mente, qual­cosa di più potente della struttura dell'ego. Quella cosa, egli ci ha detto, è il Testimone, la Coscienza che osserva la mente.

Quando facciamo un passo indietro per osservare i nostri pensieri, sco­priamo che non è la mente che li osserva, ma qualcos'altro, cioè un "Io" che è totalmente libero e separato dall'attività della mente.

Secondo Swami Muktananda e gli altri saggi della sua tra­dizione, quel Conoscitore è il nostro vero Sé, che nella tradizione indiana è chiamato Atman, il Sé interiore, o il Dio intcriore.

La famosa affermazione di Swami Muktananda: "Medita sul tuo Sé, onora il tuo Sé, poiché Dio dimora in te come te", si riferisce a questo Conoscitore interiore dei nostri pensieri e sentimenti, di cui possiamo fare esperienza durante la meditazione come pura consapevolezza di "Io sono", senza nessun altra autoidentificazio­ne.

Tutte le cose, ci direbbe Babà, esistono in quel Conoscitore: pace, potere, conoscenza, entusiasmo, vigore, chiarezza ed ener­gia illimitata. Una volta entrati in contatto con il Sé interiore, quel Conoscitore al di là della mente, possiamo facilmente acqui­sire il controllo sulla nostra mente, e quindi sulla nostra vita.

La percezione del Testimone, il Sé ulteriore, è cruciale nel pro­cesso di crescita descritto nella psicologia yogica. I maestri della psi­cologia occidentale contemporanea, come Freud, Piaget, Erikson e Maslow, hanno descritto tutti lo sviluppo umano come un proces­so che avanza per stadi, da livelli di percezione, di conoscenza e comportamento più primitivi e concreti, fino a livelli più sofistica­ti e astratti.

Chiunque consideri la questione dello sviluppo umano, si trova alla fine di fronte allo stesso interrogativo: qual è il livello massimo di sviluppo che un essere umano può raggiungere? Nel loro tentativo di rispondere a questa domanda, gli scienziati e gli psicologi occidentali si ritrovano continuamente di fronte ai limiti della loro definizione di essere umano.

Secondo i parametri occi­dentali dell'evoluzione umana, un "ego forte e sano", libero da condizionamenti percettivi, nei pensieri e nei modelli comportamen­tali, è il livello più alto che si possa raggiungere.
Per gli psicologi dello yoga, tuttavia, la conquista di un ego sano è solo uno stadio intermedio.* Dal punto di osservazione privilegiato in cui si trova il Sé, la mente-ego, con la sua interminabile rete di pensieri, impul­si e desideri, è solo uno strumento.

* Laddove gli psicologi occidentali parlano di rinforzare l'ego, gli psicologi orientali parlano di controllare la mente. "Se la tua mente è sotto controllo, puoi ottenere qual-siasi cosa" dice qui Swami Muktananda. In effetti il controllo, non solo sulla mente ma anche sul corpo e sui sensi, è uno degli aspetti centrali dello yoga.

 La psicoterapia Occidentale contemporanea pone grande enfasi sull’ aiutare le persone ad imparare a esprimere e a soddisfare i propri bisogni e desideri. Il pensiero orientale, per contro, sostiene che è il desiderio stesso a creare i nostri problemi e che indulgere quindi nei sensi e nelle emozioni non ci può aiutare a raggiungere né la soddisfazione né la pace.

Gli yogi psicologi sottolineano che i desideri sono senza fine e che abbandonarsi a un desiderio significa solo creare spazio per innumerevoli altri. Perciò lo yogi ci dice che il modo per raggiungere un appagamento durevole non è continuare a cercare di sod­disfare i desideri, bensì disciplinarli. Lo yogi vede che la mente-ego è solo un aspetto della nostra natura e che dedicare le nostre migliori energie a soddisfarne i bisogni significa in ultima analisi defraudare noi stessi del pieno sviluppo.

Tornando al nostro ego, Swami Muktananda ribadisce, quindi, che l’ego è uno strumento importante e necessario per operare nel mondo, ma che in sé non potrà mai con­sentirci di completare il viaggio della nostra evoluzione. Completare questo viaggio, secondo il modello di sviluppo orien­tale, significa giungere a conoscere il Sé, che si trova al di là di tutti i pensieri e tutti i desideri.

In breve, la meta che gli psicologi dello yoga fissano per noi non è altro che la realizzazione della nostra essenziale divinità. La psicologia orientale parte da questa com­prensione. "L'anima individuale non è un'entità separata ma una parte di Dio" scrive Swami Muktananda in questo saggio. "La nostra vita è in Dio. È Dio che fa funzionare i nostri sensi ed è Dio stesso che testimonia i nostri pensieri."

Ma se le cose stanno così, potremmo chiederci, perché non ne siamo consapevoli? Perché, dicono i saggi della tradizione orientale, siamo ingannati dalla mente stessa: l'attività della mente crea una barriera che ci impedisce di conoscere ciò che è al di là di essa. La psicologia yogica classica ci dice che giungiamo a conoscere il Sé intcriore quando poniamo fine al chiacchierio mentale, le flut­tuazioni della nostra mente.

È a quest'unico fine che sono dirette la maggior parte delle tecniche yogiche, come la meditazione, la ripetizione del mantra, e le discipline delle differenti scuole.
Secondo la filosofia dello yoga, il Sé è talmente sottile che sfugge a qualsiasi tentativo di approccio tramite il pensiero o l'intelletto.
Ma una volta che il circolo dei pensieri, delle emozioni e degli atti cognitivi si interrompe, il Sé semplicemente si rivela, come il sole scintillante appare all’orizzonte, all’alba di un nuovo giorno radioso.

Comunque, anche i nostri sforzi per quietare la mente posso­no creare difficoltà ulteriori se non vengono compiuti nel modo corretto. Molte discipline yogiche trattano la mente come un nemico e tentano di sopprimerla e di controllarla; questo è un pro­cesso che ben presto si rivela inutile come tentare di combattere il vento.
La mente è di gran lunga troppo forte per poterla attaccare con qualche speranza di vittoria. Ma perché la mente è così poten­te?

Nel rispondere a questa domanda Swami Muktananda ci ha impartito quello che è forse il suo insegnamento più importante. Unitamente ai saggi dello Shivaismo del Kashmir, egli sottolinea che la mente individuale è solo una forma della Coscienza univer­sale, dell'energia creativa del cosmo, cioè un aspetto di quello stes­so Sé che stiamo cercando di raggiungere.
La mente ha il potere di determinare la nostra esperienza del mondo perché non è altro che una forma contratta del potere che crea il mondo.

Poiché la Coscienza ha la capacità di assumere a volontà qualsiasi forma, ne consegue che anche la mente assume qualsiasi forma su cui si focalizzi.

Questo è il motivo per cui i nostri pensieri e le nostre sensa­zioni tendono a dominarci, a colorare la percezione di qualsiasi cosa, cosicché quando pensiamo a qualcuno con amore, scopriamo che tutta la nostra visione viene permeata da quel sentimento d'amore, mentre quando ci sentiamo ostili o sospettosi, tendiamo a cercare conferma del nostro stato d'animo ovunque guardiamo.

Ed è anche per questo motivo, come ci spiega qui Swami Muktananda, che le tecniche di meditazione funzionano, perché, così come la mente si permea di collera quando ci concentriamo su pensieri di collera, allo stesso modo assorbe le qualità di pace e di libertà del Sé quando ci fecalizziamo sul Sé.

"La mente rivolta all'esterno assume la forma degli oggetti del mondo" ha detto Swami Muktananda "ma, quando la mente si rivolge all'interno, diventa nuovamente pura Coscienza."

Questa affermazione è l'essenza stessa della psicologia Siddha, e poggia su una percezione di unità che non lascia fuori neppure un atomo dell'universo.
E questa comprensione, sottolinea Swami Muktananda, che alla fine porterà la mente a quietarsi. "Quando conosci a fondo la mente, conosci Dio," scrive qui "perché Dio è alla sorgente della mente."

Swami Muktananda ci raccomanda, quindi, un certo numero di tecniche per ricondurre delicata­mente la mente al Sé, e parla inoltre del risveglio di kundalini, l'e­nergia spirituale che dimora latente in ogni essere umano, quale strumento chiave per rivolgere la mente all'interno. Ma alla fine egli mette in chiaro che solo comprendendo la vera natura della mente noi possiamo liberarci dalla sua schiavitù.

Riconoscere la mente come energia cosmica è riconoscere la nostra infinita creatività; è comprendere che non siamo vittime delle circostanze attorno a noi che sembrano plasmarci, ma siamo i potenziali creatori e modella­tori di tutti i mondi, interni ed esterni, che sono parte di noi e di cui noi siamo parte.
Questo è uno dei doni che un Siddha può darci: la realizzazione della nostra vera potenzialità, che giunge quando comprendiamo il mistero della mente.

Swami Durgananda dicembre 1982


II MISTERO  DELLA MENTE

La mente è il mistero della vita umana. Può essere il giardino della gioia o il cammino segreto verso la morte. Può mostrarci il para­diso, o può condurci all'inferno. La mente tortura chiunque: gente ricca e gente povera, uomini e donne, scrittori e scienziati, politici, uomini d'affari e professori.
Una persona è infelice per­ché il suo lavoro non le piace, mentre un'altra è angosciata perché teme di morire.
Qualcuno soffre perché non ha moglie, mentre qualcun altro vive nell'ansia perché sua moglie è bellissima e ha paura che gliela portino via. Nelle nazioni sviluppate la gente ha cibo a sufficienza, vestiti, istruzione e benessere.

Esiste però una sofferenza mentale talmente diffusa che il numero di psichiatri e di ospedali per malattie mentali è in continua crescita. È una vera rarità incontrare una persona che non abbia problemi causati dalla propria mente. Eppure la stessa mente che è causa della sof­ferenza è anche il mezzo per raggiungere la più grande felicità.

Chi ha davvero capito la mente e l'ha condotta sotto il suo con­trollo vive nella beatitudine.

Una persona che ha reso la sua mente pura, forte e calma è in grado di portare a termine qualsiasi compito. E’ per questo che i saggi dell'India hanno detto che la mente è la causa sia della felicità che dell'infelicità, sia della schiavitù che della liberazione. Se c'è una cosa che vale la pena di conoscere in questo mondo, è la mente.

In India ci sono molti grandi testi sacri. Ci sono quattro Veda più quattro Veda sussidiari, centootto Upanishad, diciotto Purana, ventuno Agama, trentadue Smriti e sei sistemi filosofici.
Queste Scritture parlano molto poco di come raggiungere Dio; al contrario, si dedicano quasi esclusivamente a descrivere mezzi per purificare e calmare la mente. Perché la mente è considerata così importante?

È stato detto: "A causa di manas, la mente, noi siamo manava, esseri umani". Senza la mente, non siamo altro che Dio.

Le Scritture e i santi dicono che l'anima individuale non è un'entità separata, ma una parte di Dio.
E’ completamen­te pura, ed è l'incarnazione della beatitudine suprema. Per noi pensare di essere senza Dio è come per un pesce credere di non aver mai visto l'acqua. Un pesce non vive senz'acqua; l'acqua è l'elemento nel quale vive.

Noi siamo nella stessa condizione: la nostra vita è in Dio. In Dio inspiriamo ed espiriamo. È Dio che fa funzionare i nostri sensi ed è Dio che testimonia i nostri pen­sieri. Dio vive dentro di noi nella forma del Sé interiore, la pura consapevolezza dell’"Io" che è con noi sin da quando siamo venuti al mondo.
Anche se le persone sovrappongono diverse nozioni a quella coscienza dell'Io, come "io sono un uomo", "io sono una donna", "io sono bravo", "io sono stupido", essa rima­ne completamente libera. L'"Io" interiore, che è più vicino a noi del nostro stesso respiro, è divino.
Eppure le persone si sentono lontane da Dio, pensano di non aver raggiunto Dio. Perché? A causa dell'illusione creata dalla mente.

Una volta conosciuta la mente, diventa molto facile liberar­ci da quest'illusione. Quando abbiamo una malattia cerchiamo una diagnosi, perché una volta scoperta la causa è facile curarla; allo stesso modo, una volta conosciuta la mente, possiamo facil­mente trovare un rimedio ai suoi disturbi. Per questa ragione, la conoscenza della mente è essenziale per tutti noi.
                                                                         
                                                                             
MATRIKA SHAKTI

Così come Patanjali spiega che le modificazioni della mente sono la causa della nostra condizione di contrazione, lo Shivaismo descrive la natura della forza che da origine a queste modificazioni. Negli Shiva Sutra c'è un aforisma: jnànàdbisb-tbànam màtrika, "È màtrika, la madre non compresa, il potere del suono associato all'alfabeto, che è la base della conoscenza limitata".

Quando chitti (la coscienza di sé), si sottopone a dei limiti, si manifesta nella forma di màtrika. Matrika sbakti è l'energia celata dietro la mente. Matrika letteralmente significa "lettere"; in sanscrito, le lettere dell'alfabeto si chiamano màtrika.

Màtrika shakti, il pote­re dietro le lettere, è la forza che crea le parole, e le parole sono responsabili della nostra esperienza di limitatezza.

Màtrika ha origine dal livello più profondo della parola. Così come abbiamo quattro corpi, abbiamo anche quattro livelli di lin­guaggio.

Il livello più profondo è paràvàk, il linguaggio cosmico o anche livello supremo della parola. Questo è il livello della pura Coscienza.

Anche se paràvàk è onnipervadente, nel corpo umano risiede nella regione dell'ombelico. A questo livello, la shakti è asso­lutamente pura.

Da qui, la shakti sale fino all'altezza di pashyanti, che si trova nel cuore ulteriore. Qui le lettere iniziano a prendere forma, ma in modo nascosto.

La parola sale poi fino a maàbyamà, che si trova nella regione della gola. Qui le parole sono formate, ma non sono ancora pronte per essere articolate.
Per ultimo, la parola sale fino a vaikhari, o livello materiale, il livello della lingua. Qui le parole sgorgano nella forma di linguaggio verbale.

In paràvàk, la shakti esiste nel suo stato espanso originale. Tuttavia quando sale fino al livello di maàhyamà si contrae, per­ché è in maàhyamà che si formano le combinazioni di lettere.
Quando le lettere cominciano a emergere, sono soltanto suoni; ma tramite il potere di màtrika shakti si uniscono per comporre parole, che iniziano a produrre un effetto su di noi.
Le lettere formano le parole, le parole formano le frasi. Ogni parola ha il suo significato, e il significato ha il suo obiettivo. Da sole, le let­tere s, t, u, p, i, d, o, non significano nulla, ma una volta unite formano la parola "stupido".
Questa parola ha un significato, e quando la udite si imprime un'immagine nella mente. Quando vi identificate con l'immagine, sorge un certo sentimento e, a causa di esso, provate dolore.

E così che màtrika shakti funziona nei mondi interiori ed esteriori. Essa crea immagini sullo scher­mo della mente, le quali provocano gioia o dolore. In questo modo màtrika shakti, il potere delle lettere, crea tutti i diversi tipi di sentimenti ed emozioni che agitano la nostra mente.
Se nella mente non sorge nessuna lettera, la mente rimane calma, lo sappiamo per esperienza. Appena svegli al mattino, c'è un breve lasso di tempo in cui la mente è serena e libera da pen­sieri. Siamo nello stato del puro "Io". Poi inizia il lavoro di màtri­ka shakti, e le parole sorgono nella mente.

Pensiamo a dove ci troviamo, pensiamo a prendere il tè, pensiamo a lavarci i denti. In questo modo, il mondo inizia ad esistere per noi.
E solo grazie alle lettere che possiamo mandare avanti le nostre faccende nella vita di tutti i giorni. Il linguaggio, la ter­minologia, i romanzi, le Scritture non potrebbero esistere senza màtrika shakti. Questa shakti contiene ogni cosa: desiderio, avidi­tà, amore, purezza e impurità. Tutto ciò che succede in questo mondo, succede a causa di màtrika shakti.

Lo Shivaismo parla di tre impurità (mala) congenite che restringono la nostra comprensione. La prima di queste è ànava mala, che ci fa sentire imperfetti. La seconda è màytya mala, che ci fa sentire differenti dagli altri. La terza è karma mala, che ci fa percepire che siamo noi che compiamo le buone o le cattive azioni.

La conoscenza che nasce da queste impurità ci rende schiavi facendoci credere di essere creature limitate e insignifi­canti. Queste impurità si basano su idee e concetti che nascono da parole, e l'origine di tutte le parole è màtrika shakti.

Tramite màtrika shakti noi proviamo sentimenti di contrazione come "sono imperfetto", "sono uno psicologo", "non piaccio a nessu­no" oppure "capisco di più di chiunque altro". Tramite il lavoro di màtrika, sorgono e si dissolvono continuamente onde di pen­sieri e di immagini; nascono e muoiono infiniti pensieri.

C'era una volta un povero operaio chiamato Sheikh Mahmoud. Un giorno, il suo principale gli diede un vaso di argil­la pieno di burro chiarificato e gli chiese di portarlo alla città più vicina. "Se lo fai " gli disse il principale "ti darò due rupie. Se fai cadere il vaso, dovrai pagare il ghee."
Sheikh Mahmoud mise il vaso sulla testa e si avviò lungo la strada. Mentre camminava, iniziò a pensare: "Sto per guada­gnare due rupie. Cosa ne farò?" In quei tempi, tutto era a buon mercato. Per una rupia, si potevano comprare venticinque polli. Sheikh Mahmoud disse: "Ecco, mi comprerò dei polli. Si moltiplicheranno e presto avrò cento polli, cinquecento polli, mille polli, diecimila polli.
Poi venderò tutti i polli e comprerò delle capre. Avrò capre, pecore e una grande fattoria. Le capre e le pecore si moltiplicheranno e quando le venderò potrò com­prarmi delle merci; diverrò un ricco commerciante.
Poi mi spo­serò e avrò una casa. Andrò in ufficio, e ritornerò a casa per il pranzo. Avrò un cuoco molto bravo che mi preparerà piatti deli­ziosi; e se il cuoco non mi porterà da mangiare all'ora giusta, mi arrabbierò e lo prenderò a schiaffi; potrò permettermelo: sarò un ricco commerciante".
Nel pensare l'atto di schiaffeggiare il cuoco, sollevò il braccio. Non appena lo fece, il vaso con il ghee volò a terra.
Il ghee dunque non arrivò alla vicina città. Mahmoud non ebbe le sue due rupie. Egli non acquistò polli; non acquistò capre né pecore. Non si sposò e non comprò nessuna casa. Non andò mai in ufficio, e non prese a schiaffi nessuno.
Si sedette con il viso tra le mani; dopo un poco fece ritorno dal suo principale e confessò: "Padrone, ho rovesciato tutto il ghee".
Il principale replicò: "Come hai potuto fare una cosa così stupida? Hai buttato via il mio guadagno di una settimana!"
"O padrone," disse Mahmoud "voi avete perso il guadagno di una settimana, ma io ho perso i miei polli, le mie capre, la mia casa, mia moglie, il mio ufficio e il mio cuoco!"
Questo è il gioco della mente. Questo è il potere di matrika sbakti. Un pensiero porta a un altro pensiero, il quale porta a un terzo pensiero. La progenie di matrika shakti è infinita. Matrika shakti continua a creare lettere e noi continuiamo a farne l'espe­rienza. Ci infatuiamo delle lettere, ci identifichiamo con esse e in tal modo ne diventiamo schiavi. Dal cuore sorgono vari sen­timenti e l'anima vaga costantemente da uno all'altro, provando dolore e piacere.

Matrika shakti ci fa dimenticare che noi siamo il Sé. Invece di farci sperimentare Dio in ciascuno, ci fa sentire separati da tutti. Nasconde la nostra vera natura e ci mostra le sue manifestazioni. Matrika shakti non si prende mai una vacan­za, non va mai a dormire, non ritarda mai il suo lavoro e non va mai in pensione. Muore solo quando raggiungiamo lo stato libe­ro da pensieri, lo stato di nirvikalpa samàdhi, (La pura Coscienza infinita e libera; lo stato in cui si perviene alla Coscienza non duale, Atma-Brahman, quindi la contemplazione estatica del Supremo Sé, la fisione con l'Assoluto!)

Tuttavia quando viene adeguatamente compresa matrika shakti ci aiuta anche a progredire. È tramite matrika che siamo in grado di ripetere il mantra e di contemplare il Sé. (Osservate il potere del Mantra...)

Gli yogi che comprendono la natura di matrika, la perseguono e l'osservano, proprio attraverso la ripetizione del Mantra! Trasformano i cattivi pensieri in buoni pensieri, fanno calmare la loro mente portando in tal modo matrika sotto il loro con­trollo. Pensando "io sono il Sé, io sono Shiva", essi usano matri­ka shakti per espandersi, (...ed è per questo che si ripetono le stesse parole o frasi nei Mantra...).

Quando comprendete cosa sia matrika shakti, quando contemplate continuamente matrika shakti, quan­do volgete la mente all'interno immergendola nella sua stessa sorgente, allora vi elevate al di sopra del dolore e del piacere. Non dovete più seguire i capricci di matrika shakti.
Quando la mente diviene libera da pensieri, dona beatitudine. Alla base di matrika shakti c'è pura conoscenza.

Quando si cono­sce a fondo la mente, si conosce Dio, perché Dio è la sorgente della mente.

Ovunque vaghi la mente, all'interno o all'esterno, qualsiasi pensiero o costrutto mentale sperimenti, sia doloroso che piacevole, la Coscienza è alla base di tale movimento.

Il sag­gio Vasuguptacharya dice che ovunque vada la mente e qualsia­si cosa pensi, Shiva, la Coscienza universale, è lì. Se le cose stan­no così, in quale luogo mai può andare la mente per smarrirlo? (...dietro i capricci e le fantasie egoiche...)
Così come con la stessa argilla si fanno infiniti vasi, allo stesso modo la stessa Coscienza, la shakti, è divenuta un'infinità di pensieri.
Contemplate matrika shakti con questa comprensione. Osservate i vostri pensieri senza rimanerne intrappolati.
Osservate in che modo gioca matrika shakti, come da significato alle lettere, in che modo le lettere compongono le parole, come le parole conten­gono ciascuna il proprio significato.
Osservate come le parole creano immagini, e l'effetto che le immagini hanno su di voi. Osservate come gli innumerevoli pensieri nascono e muoiono. Questa è vera psicologia, la vera conoscenza della mente.

Sedetevi quietamente. Focalizzatevi sulla fonte di tutti i vostri pensieri. Con la comprensione e la contemplazione cal­mate la mente alla sua sorgente. Percepite lo spazio dove i pen­sieri si dissolvono e dove essi sorgono.
Percepite il Testimone privo di forma alla base della mente. Comprendetelo e rimanete stabilizzati in esso. Interrompete qualsiasi pensiero sorga. Con la spada dello stato privo di pensieri, recidete i legami della mente.

Il grande essere Gaudapada disse: “manodrishyamidam dvaitam yatkinchitsacharacharam manaso hyamanibhave dvaitam naivopalabhyate”
Questo mondo, con tutti gli esseri animati e gli oggetti inani­mati, non è altro che la creazione della mente. Quando le attivi­tà della mente cessano, non c'è più mondo, non c'è più dualità.

C'è solamente Dio.

(cortese concessione di  Garbha-Yoga)

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