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venerdì 2 dicembre 2011

SIMBOLOGIA EBRAICA : MENORAH...LA LAMPADA DEI SETTE CHAKRA

Menorah significa in ebraico "candelabro" nella tradizione ebraica esso rappresenta il candelabro a sette bracci che si trovava nel tempio  di Gerusalemme e che è diventato il simbolo della religione ebraica. La parola menorah si trova nella Bibbia: "Farai anche un candelabro d'oro puro. Il candelabro sarà lavorato a martello; il suo fusto e i suoi bracci, i suoi calici, i suoi bulbi e le sue corolle saranno tutte di un pezzo... e ancora farai le sette lampade del candelabro e le collocherai sopra in modo da illuminare lo spazio davanti ad esso". Il candelabro ha un significato simbolico collegato al numero 7 che si interpreta come metafora del cielo e dei 7 pianeti ma anche come idea della ciclicità della natura.
-è il numero perfetto e quindi il numero di Dio, (il numero del diavolo è invece sei, quindi imperfetto)

- è il numero di giorni in cui Dio compì il miracolo della creazione (Nella Bibbia troviamo scritto: "E furono compiuti i cieli, la terra e tutte le loro creature. E terminò il Signore nel giorno settimo l'opera Sua e si riposò, il settimo giorno, da tutta l'opera che aveva fatto. E Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, perché in esso cessò (shavàth) tutta l'opera Sua che aveva compiuto") (Bereshìth, Genesi 31).

-Nelle sette lampade della menorah c’è il simbolo della creazione dell’universo in sette giorni. La luce centrale rappresenterebbe il sabato.

-I sette bracci sarebbero i sette cieli inondati dalla luce di Dio. La cifra sette ha un’importanza particolare, perché significa la perfezione.

-Sette sono anche gli occhi di Dio che scrutano il mondo (Zac. 4,10).

-Nell’Apocalisse, Giovanni vede l’Agnello come immolato, con sette corna e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra (Apoc. 5,6).
-Le sette corna sono simbolo della potenza e i sette occhi della conoscenza che il Cristo possiede con pienezza.

-Anche nell’icona della Sapienza divina, l’Angelo — lo Spirito Santo — poggia con le ali su un trono con sette colonne.

Il candelabro è una stilizzazione, un derivato dell’albero, ove le luci han preso il posto dei frutti. La forma dell’albero a sette rami risale a tempi antichissimi e si ritrova nelle religioni antiche di millenni, dal momento che, nei tempi più remoti, l’albero aveva un profondo significato religioso: esso incarnava la divinità. 


Arrivando nella Terra Promessa i patriarchi recarono con sé il mito dell’albero cosmico della vita. Albero imponente, i cui rami toccano il cielo e portano frutti che danno l’immortalità. Con l’andar del tempo l’albero prende la sua forma e il suo aspetto originale per diventare un ornamento: il candelabro a sette rami. Da qui viene il suo simbolismo. La menorah è dunque un’ emanazione dell’albero della vita, ma la sua forma, le sue funzioni, le sue fiamme, ne fanno l’albero della luce.


-E’ un albero che conduce gli uomini verso la luce e la luce verso gli uomini. Per mezzo di questa luce, che scorre come un torrente verso il mondo, Dio è presente ovunque. La prima lampada della menorah è questa luce del Signore, la luce perpetua che doveva andare giorno e notte. La luce della menorah è un simbolo della presenza di Dio sulla terra, il che spiega il fatto che essa sia l’unico oggetto del Tempio che abbia trovato posto nella sinagoga, divenendo cosi un possente legame tra le due case di Dio.

T
ra i simboli biblici, uno dei più cari è il candelabro a sette bracci, fatto per ordine di Dio secondo il modello che Mosè aveva visto sul monte Sinai.
“Farai anche un candelabro d’oro puro. Il candelabro sarà lavorato a martello, il suo fusto e i suoi bracci; i suoi calici, i suoi bulbi e le sue corolle saranno tutti di un pezzo.
Sei bracci usciranno dai suoi lati: tre bracci del candelabro da un lato e tre bracci del candelabro dall’altro lato.
Vi saranno su di un braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla e cosi anche sull’altro braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla. 


Cosi sarà per i sei bracci che usciranno dal candelabro. Il fusto del candelabro avrà quattro calici in forma di fiore di mandorlo, con i loro bulbi e le loro corolle: un bulbo sotto i due bracci che si dipartono da esso e un bulbo sotto gli altri due bracci e un bulbo sotto i due altri bracci che si dipartono da esso; cosi per tutti i sei bracci che escono dal candelabro. I bulbi e i relativi bracci saranno tutti di un pezzo: il tutto sarà formato da una sola massa d’oro puro lavorato a mantello.
Farai le sue sette lampade: vi si collocheranno sopra in modo da illuminare lo spazio davanti a esso. I suoi smoccolatoi e i suoi portacenere saranno d’oro puro. Lo si farà con un talento di oro puro, esso e tutti i suoi accessori” (Es. 25, 3 1-39).
Lo studioso ebreo Alexandre Adler, in un articolo sul candelabro a sette bracci (in ebraico si chiama Menorah) si chiede perché è diventato un emblema. Egli dice che la risposta esatta scaturisce dal posto che la menorah occupava nel Tempio presso l’Arca, dunque presso la Torah. C’è un rapporto tra la Torah e il candelabro a sette bracci? Certo, poiché la menorah serve la Torah illuminandola. Essa è l’espressione dell’esistenza della Torah, la Legge che Dio ha dato al suo popolo. Infatti Dio ha ordinato che una lampada bruci presso il tabernacolo, sia per la Torah che per riflettere la sua luce verso Dio. 


La stessa Torah è la luce della umanità, come Dio è la luce dell’universo. La menorah stabilisce un flusso ininterrotto fra Dio e il popolo e con la sua presenza, la sua fiamma, il suo legame con Dio, è testimonianza della proclamazione di una legge divina.
Anche noi cattolici abbiamo una lampada sempre accesa davanti al tabernacolo in cui non c’è il rotolo della Torah (cioè i primi cinque libri della Bibbia), ma la Parola di Dio fatta carne, Gesù eucaristia.



Adler dice che il candelabro è una stilizzazione, un derivato dell’albero, ove le luci han preso il posto dei frutti. La forma dell’albero a sette rami risale a tempi antichissimi e si ritrova nelle religioni antiche di millenni, dal momento che, nei tempi più remoti, l’albero aveva un profondo significato religioso: esso incarnava la divinità. Arrivando nella Terra Promessa i patriarchi recarono con sé il mito dell’albero cosmico della vita. Albero imponente, i cui rami toccano il cielo e portano frutti che danno l’immortalità. Con l’andar del tempo l’albero pende la sua forma e il suo aspetto originale per diventare un ornamento: il candelabro a sette rami. Da qui viene il suo simbolismo. La menorah è dunque un’emanazione dell’albero della vita, ma la sua forma, le sue funzioni, le sue fiamme, ne fanno l’albero della luce.
È un albero che conduce gli uomini verso la luce e la luce verso gli uomini. 


Per mezzo di questa luce, che scorre come un torrente verso il mondo, Dio è presente ovunque. La prima lampada della menorah è questa luce del Signore, la luce perpetua che doveva andare giorno e notte. La luce della menorah è un simbolo della presenza di Dio sulla terra, il che spiega il fatto che essa sia l’unico oggetto del Tempio che abbia trovato posto nella sinagoga, divenendo cosi un possente legame tra le due case di Dio.
Nelle sette lampade della menorah c’è il simbolo della creazione dell’universo in sette giorni. La luce centrale rappresenterebbe il sabato. I sette bracci sarebbero i sette cieli inondati dalla luce di Dio. La cifra sette ha un’importanza particolare, perché significa la perfezione. Sette sono anche gli occhi di Dio che scrutano il mondo (Zac. 4,10). Nell’Apocalisse, Giovanni vede l’Agnello come immolato, con sette coma e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra (Apoc. 5,6). Le sette coma sono simbolo della potenza e i sette occhi della conoscenza che il Cristo possiede con pienezza.
Anche nell’icona della Sapienza divina, l’Angelo — lo Spirito Santo — poggia con le ali su un trono con sette colonne.
La menorah è anche simbolo astrale. Simbolicamente rappresenta il sistema planetario: il cielo, con il sole al centro e pianeti da ambo le parti (Saturno, Giove, Marte, Mercurio, Venere e la Luna). I pianeti, come le lampade del candelabro ricevono la luce del sole, la luce celeste, che è eterna e che anche quella del Tempio. Cosi la Legge nel Tempio è eterna ed esisterà tanto a lungo quanto il sole, i pianeti e l’universo. I pianeti sono considerati, nella credenza popolare, come espressione della potenza creatrice e della volontà del Signore: essi indicano il destino dell’umanità, che è eterna come eterna è la collocazione dei pianeti nel cosmo.
Fino alla distruzione del Tempio (nel 70 d. Cr.) La riproduzione della menorah era inesistente, dal momento che i rabbini vietavano ogni menorah che fosse la riproduzione di quella del Tempio. Ci sono alcune riproduzioni del candelabro, tra cui quella del bassorilievo sull’Arco di Tito a Roma e porta la data dell’80 d. Cr. cioè dieci anni dopo la distruzione del Tempio. Nel Museo d’lsraele a Gerusalemme c’è una bellissima menorah (del 20-15 av. Cr.) scoperta recentemente. È la più antica. La sua forma più arcaica è a bracci più allungati e dà un’idea precisa di come fosse il candelabro a sette bracci, perché l’ignoto scultore avrà certamente visto l’originale nel Tempio.
La menorah è anche il candelabro della salvezza, così come si vede scolpita sulle tombe, a partire dall’epoca in cui si è diffusa fuori del Tempio, cioè dopo il 70. Sono state scoperte molte tombe dei primi secoli con questo simbolo di salvezza e con scolpite accanto alcune invocazioni del salmo 119:
La tua Parola è lampada ai miei passi,
luce sul mio sentiero,
la tua Parola è mia per sempre,
è il grido di gioia del mio cuore

NOTA:
Torah: dalla radice jarah (“mostrare, insegnare”), significa letteralmente “dottrina, insegnamento”, benché siamo soliti tradurlo con “Legge”. La Torah si riferisce al complesso della rivelazione mosaica: sono Torah le dieci parole del Sinai come l’insieme della legislazione veterotestamentaria, che viene fatta risalire tutta quanta a Mosè. Di conseguenza, lo sono pure i primi cinque libri della Bibbia (Pentateuco): La Torah si chiude solamente con la morte di Mosè, narrata nell’ultimo capitolo del Deuteronomio. Perciò non si tratta solamente di “legge” ma anche di “storia”: quella che va dalle origini fino all’ingresso nella Terra Promessa. Nella Torah è inclusa l’esperienza storica fondamentale di Israele. Al tempo stesso l’“insegnamento” della Torah continua lungo tutta la storia successiva: accanto alla Torah scritta cresce sempre più nel giudaismo rabbinico l’importanza della Torah orale (La Tradizione). Anche quest’ultima vien fatta risalire all’esperienza originaria di Mosè sul monte Sinai, attraverso la mediazione storica degli Anziani, dei Profeti e dei Sapienti.
Il miracolo di Chanukkà è narrato nel Talmud, ma non nel libro dei Maccabei. La festa celebra la sconfitta, per mano di Giuda Maccabeo, dei Seleucidi e la successiva riconsacrazione del Tempio. La festività, durante gli otto giorni, è caratterizzata dall'accensione dei lumi di un particolare candelabro ad otto braccia chiamato chanukiah.
La storia, riportata nel Talmud, racconta che dopo la riconquista del Tempio, i Maccabei lo spogliarono di tutte le statue pagane e lo sistemarono secondo gli usi ebraici. Scoprirono, inoltre, che la gran parte degli oggetti rituali era stata profanata. Secondo il rituale, la menorà del Tempio doveva essere illuminata in permanenza con olio di oliva puro. Nel Tempio però trovarono olio sufficiente solamente per una giornata. Lo accesero comunque mentre si apprestavano a produrne dell'altro. Miracolosamente, quel poco olio durò il tempo necessario a produrre l'olio puro: otto giorni. Per questo motivo gli ebrei accendono ogni giorno della festa una candela in più rispetto al giorno precedente.
La tua Parola è lampada ai miei passi,
luce sul mio sentiero,
la tua Parola è mia per sempre,
è il grido di gioia del mio cuore !
Il miracolo di Chanukkà è narrato nel Talmud, ma non nel libro dei Maccabei. La festa celebra la sconfitta, per mano di Giuda Maccabeo, dei Seleucidi e la successiva riconsacrazione del Tempio. La festività, durante gli otto giorni, è caratterizzata dall'accensione dei lumi di un particolare candelabro ad otto braccia chiamato chanukiah.
" Con riferimento alla storia di questa festa vediamo che questo periodo rappresenta bene il senso del miracolo (un'ampolla d'olio durò tutto il periodo di 8 giorni - e 8 è il salto di qualità dal mondo materiale, quello dei 7 giorni, a quello spirituale, le sefirot superiori).

Il miracolo consiste anche nel fatto che proprio in questo periodo dell'anno, il più buio, noi accendiamo la luce interiore, difatti il candelabro viene posto vicino ad una finestra per far sì che da fuori si veda che la nostra casa è illuminata da dentro.

Possiamo meglio dire che mai come in questo caso, la nostra casa rappresenta la nostra anima che riceve  e da luce interiore.
E' interessante notare che il candelabro non serve ad illuminare, ovvero non possiamo usare quella luce come unica fonte di luce in casa perché quella luce è in realtà solo interiore e non può essere usata a fini pratici.

Sembra un particolare banale ma non lo è.

In effetti quello che avviene in quei giorni è quanto di più esoterico e quindi cabalistico, i lumi infatti, ci accendono uno per volta aggiungendo una luce al giorno, in quanto la luce quella vera, quella di Verità e Conoscenza può essere ricevuta solo gradualmente altrimenti se ne resta abbagliati e si potrebbe perdere la vista  o...il senno.

Già da adesso è bene ringraziare Dio per quanto ci dona non solo di buono ma anche, e questo è molto difficile, di quanto ci fa meno piacere. "

NELLA TRADIZIONE OCCIDENTALE INVECE SI SVILUPPA............

L'ALBERO DI NATALE.......

"
Il candelabro è una stilizzazione, un derivato dell’albero, ove le luci han preso il posto dei frutti. La forma dell’albero a sette rami risale a tempi antichissimi e si ritrova nelle religioni antiche di millenni, dal momento che, nei tempi più remoti, l’albero aveva un profondo significato religioso: esso incarnava la divinità. Arrivando nella Terra Promessa i patriarchi recarono con sé il mito dell’albero cosmico della vita. Albero imponente, i cui rami toccano il cielo e portano frutti che danno l’immortalità. Con l’andar del tempo l’albero prende la sua forma e il suo aspetto originale per diventare un ornamento , da qui viene il suo simbolismo luminoso e nouminoso .

E’ un albero che conduce gli uomini verso la luce e la luce verso gli uomini. Per mezzo di questa luce, che scorre come un torrente verso il mondo, Dio è presente ovunque." 


( cortese concessione del caro amico Massimo )

LA MEDITAZIONE CRISTIANA...PUO' FAR BENE ALLA COPPIA ?


                                 M E D I T A Z I O N E - P R A T I C A


Scegli  un posto tranquillo della tua casa, o da qualsiasi parte tu voglia, al chiuso  o anche all’aperto. Se vuoi avere un aiuto per la fine del periodo di  meditazione usa una sveglietta da programmare, che suonerà per avvertirti che  è finito il tempo. Stai seduto, in silenzio, con i piedi poggiati per terra  per potere avvertire il contatto col pavimento. Se è possibile fallo con i  piedi scalzi. Fai attenzione che la tua schiena sia dritta, anche se  appoggiata sullo schienale, senza forzature, in modo naturale. 

Lascia cadere  le tue braccia rilassate, con le mani poggiate sulle tue gambe. Fai alcuni  respiri lenti e profondi, e poi respira normalmente mentre tieni gli occhi  chiusi. Continua a ripetere dentro te il mantra per tutto il tempo della meditazione, nella tua mente o nel tuo cuore, come ti viene più naturale. Se  ti viene qualche pensiero o qualche sensazione fisica, semplicemente continua  a recitare il mantra, senza preoccupartene. Se non hai già un mantra, puoi  provare con la parola sacra maranathà, che in aramaico significa “vieni  signore”. Continua dolcemente ma fedelmente a rimanere sul mantra:  ma-ra-na-thà. Inizialmente fai la meditazione per dieci minuti, aumentando  progressivamente il tempo quando sarai allenato per arrivare a 25-30 minuti di  meditazione silenziosa.

Alla  fine del tempo fai di nuovo alcuni respiri lenti e profondi, e lentamente apri  gli occhi mentre cominci a muovere lentamente le dita delle mani e dei piedi.  Dolcemente riprendi contatto con la realtà attorno a te.

 Medita  se puoi tutti i giorni, e nei periodi in cui senti più il bisogno di  crescere, o di avere un aiuto spirituale, medita più volte al giorno. Per  esempio, durante i periodi di riposo dal lavoro o dagli impegni, dedicati a te  stesso meditando di più, come in una sorta di ritiro spirituale autogestito.  Lasciati guidare dallo spirito perché tu possa trovare qualche lettura adatta  a te in quel momento, qualche libro che ti capita tra le mani e ti colpisce. I  frutti di quel periodo saranno a te utili quando tenderai a riprendere le  attività quotidiane più intensamente, e quando di conseguenza avrai meno  tempo per arricchirti in profondità. Se vuoi, in questi periodi particolari  di riposo, oltre a meditare fai anche un po’ di digiuno, senza esagerare.

Tutto  ciò ti aiuterà a trovare più in profondità te stesso, il tuo vero sé. Ma  non avere fretta, perché i risultati della meditazione non sono subito  avvertibili, in quanto con essa ti rechi al di là della conoscenza. Il cambiamento quindi non è subito avvertibile dal tuo intelletto.





 - Meditare come preghiera pura, recuperare un elemento contemplativo 
   che crea una vita  interiore.

·   Fermarsi ad ascoltare il nostro Maestro interiore.

· Superare la barriera superficiale dei pensieri e le preoccupazioni della 
  vita quotidiana.

·- Stare nella calma e la quiete in assenza di pensieri, anche di buoni 
   pensieri, nella via della non conoscenza.

· Superare la barriera profonda del nostro passato, guarire dalle ferite e   
  dalla sofferenza antica e profonda dell’impatto col mondo.

· Abbandonare il nostro ego, gli attaccamenti.

· Camminare nel sentiero che porta al nostro cuore, il posto più sacro di 
  tutta la terra, dove dimora lo Spirito Santo e dove incontriamo Cristo.

·  Superare la tentazione dell’essere attaccati al benessere materiale.

· Superare la tentazione di volerci distrarre dal cammino nel sentiero della  
  crescita spirituale.

· Affrontare la tendenza a lasciare perdere e non prendersi più cura di sé 
  (accidia).

·- Superare la tentazione di seguire le fantasie che la nostra mente ci 
  procura.

·  Stare in contatto con la realtà presente.

·  Trovare ed accettare la povertà dello Spirito.

· Rimanere nella assenza di passioni (apatia).

· Trovare l’amore universale, altruistico e disinteressato di Dio (agape).

· Essere uniti con l’altro in armonia con la parte più profonda del proprio essere.





Così come la Meditazione favorisce la crescita individuale, essa influisce anche sui vissuti e sulle modalità con cui l’individuo si rapporta con gli altri, e quindi anche col partner. Allo stesso modo le difficoltà incontrate nel cammino della vita matrimoniale e di coppia, possono trovare nella pratica della meditazione e nello stile di vita che ne consegue una risposta. 

 La vita di coppia sembra attraversare difficoltà che spesso i partner non riescono a gestire, se non con la decisione di dare un taglio a ciò che un tempo sembrava un sogno ad occhi aperti. Ma cosa sta dietro questi periodi d’inevitabile crisi della coppia? Come riuscire a comprendere che esistono delle fisiologiche fasi evolutive che la coppia attraversa?

Per capire meglio la natura del problema ho pensato di fare riferimento al contributo scientifico che è dato dal lavoro di E. Bader e P. Pearson nel libro “In Quest of the Mytical Mate” (1988), che significa “alla ricerca del compagno mitico”. 

 Nel loro modello gli autori ipotizzano che le fasi evolutive della coppia ripercorrano le fasi di sviluppo della prima infanzia, in quanto il legame di coppia è un comportamento di attaccamento che ripropone modalità analoghe a quelle sperimentate nel rapporto precoce con la figura di attaccamento principale, che solitamente è la madre (teoria di J. Bowlby).

La coppia quindi attraversa inizialmente la fase della simbiosi, poi quella di differenziazione, di sperimentazione, di riavvicinamento e di mutua interdipendenza. Non sempre l’evoluzione riesce a completarsi, e questo significa l’insorgenza di problematiche più o meno dolorose, o la rottura del rapporto. Questo processo comunque comporta tempi e modalità di evoluzione che sono propri, e che differiscono da caso a caso.



Nella fase iniziale di innamoramento, che può essere anche molto lunga, il partner è visto nel suo aspetto migliore, i suoi pregi esaltati e i suoi difetti minimizzati. Anche quando il momento “magico” tende come è inevitabile ad affievolirsi d’intensità, rimane una visione dell’altro in parte idealizzata, al punto che vale la pena fare delle rinunce su delle cose importanti per sé, delle proprie capacità di pensiero, dei propri bisogni di apertura verso il mondo esterno, di realizzazione personale nei vari campi, in nome di qualcosa, il rapporto, e di qualcuno, il partner, che rappresentano ancora “il nostro completamento”. Vale la pena in questa fase non mettere in discussione cose importanti per sé, nel timore che qualcosa di troppo importante venga perso, nel timore che il mio chiedere possa causare la rottura di un giocattolo di cui non potrei fare a meno.

Nel tempo però, sia spontaneamente che per l’insorgenza di fatti aggiuntivi come per esempio l’arrivo dei figli e i sacrifici connessi, inevitabilmente avviene un drastico ridimensionamento. E’ evidente che nessuna coppia può mantenere all’infinito l’intensità dello stadio iniziale. La felicità del momento magico dell’innamoramento sembra svanire, lasciando il posto ad una più dura realtà, fatta di sofferenza e disillusione.

“Non sono più l’unica e la sola per te, che sembri sempre meno desideroso di essere un tutt’uno con me; e tu sembri sempre più così differente dall’immagine ideale che ho visto all’inizio, quando ho pensato che avevo finalmente raggiunto la felicità senza fine.” Queste potrebbero essere le parole che in sintesi potrebbero scambiarsi i partner di una coppia che si sente in crisi in questa fase del rapporto, quella della “differenziazione”, se riuscissero a mantenere una sufficiente tranquillità.



Più spesso è la rabbia che prende il sopravvento e che da origine ad una sequela di rimproveri ed accuse, che possono diventare conflitti più o meno gravi. Infatti la sofferenza, il dolore, la disillusione, tipici di questa fase portano a sperimentare una forte rabbia, che costituisce la spinta a far camminare ulteriormente il processo innescato verso la sua naturale evoluzione nelle altre fasi. Del resto se la differenziazione non prende inizio, il mantenimento della simbiosi non comporta benessere, ma presuppone un rapporto ostile o invischiato.

In pratica una coppia evolve dallo stato simbiotico a quello della differenziazione quando uno dei partner si sposta al di là dello stato simbiotico, e comincia l’auto-riflessione. Comincia a pensare in maniera indipendente e vi è uno spostamento verso l’introspezione per una ricerca del senso di sé, di un senso più profondo di sé. Il partner non viene più visto come la sorgente dell’auto-consapevolezza.

Come risultato le differenze diventano molto evidenti. L’intensità può essere variabile, ma in ogni caso è la prima volta che il sistema diventa sbilanciato. Lo sbilanciamento è creato dal fatto che una persona inizia il cambiamento nello sviluppo prima che l’altro sia pronto a che tale cambiamento prenda posto.

La Meditazione, favorendo la scoperta della parte più profonda del sé, e contribuendo a far sì che tale processo sia vissuto come un naturale cammino di crescita, è uno strumento d’aiuto e di sostegno nella naturale evoluzione del processo di differenziazione. Più che favorire la crisi, che in realtà scaturisce spontaneamente, la contiene e la conduce in un sentiero naturale, dando una possibilità concreta di evoluzione favorevole del processo di crescita psicologico e spirituale. La meditazione quindi, quando è accompagnata dai frutti della fase dell’apatia e dell’agape, addolcisce e contiene la disillusione. Consente di viverla come un naturale processo di crescita di distacco dal sé egoistico, per andare verso il proprio sé profondo in Cristo.

La crisi di questa fase prende contorni naturali quando i due partner sono abbastanza maturi rispetto al processo di individuazione e al processo di separazione dall’altro, tanto da poterla accettare, gestire e superare tramite una aperta confrontazione. In pratica quando i partner della coppia vedono nel manifestare la propria disillusione qualcosa di non troppo pericoloso, e di liberatorio. Il parlarne francamente, permette di riorganizzare il rapporto su basi più larghe e più soddisfacenti.

Le difficoltà diventano più intense quando uno dei due non è pronto, e mette in atto tutti i tentativi per mantenere lo status quo. In questo caso il cambiamento viene visto come un segnale di deterioramento patologico del rapporto, anziché come un naturale processo evolutivo. Si pensa di avere sbagliato persona, o di avere sbagliato ad impostare il rapporto. In quest’ottica, non deve meravigliare che molti decidano di instaurare una relazione con un’altra persona, per rivivere il momento magico dell’innamoramento, convinti che questa volta andrà meglio.

Nella celebre opera di Ingmar Bergman “Scene di vita coniugale”, viene mirabilmente descritta una classica evoluzione del rapporto di coppia dove le difficoltà nel capire e poi gestire il processo di passaggio dalla simbiosi alla differenziazione, ne rendono particolarmente dolorosa l’evoluzione, come appare nel frammento che segue:



Marianne: “….Pensa a quell’estate quando facemmo il giro del Mediterraneo e avevamo con noi le figlie piccole nella tua vecchia macchinetta, e la sera rizzavamo la tenda. Ricordi quelle notti di agosto sulla costa spagnola, quando dormivamo a cielo scoperto, stretti tutti e quattro? E stavamo tanto caldi!”

Johan: “E’ inutile piangere sul latte versato. Le figlie crescono. Si rompono le relazioni. L’amore prende fine, come la tenerezza, l’amicizia, la solidarietà. Non c’è niente di straordinario. E’ così”.

Marianne: “A volte penso che tu ed io siamo stati come due bambini nati con la camicia, favoriti dalla sorte e poi viziati; che abbiamo perduto le nostre risorse e ci siamo ritrovati poveri, amareggiati e stizziti. Dobbiamo aver commesso un errore da qualche parte, e non c’è nessuno che possa dirci dov’è che abbiamo sbagliato”.

Johan: “Ti dirò una cosa piuttosto banale. In materia di sentimenti noi siamo degli analfabeti. E il fatto triste è che ciò riguarda quasi tutte le persone….”



In questo frammento appare evidente come la fine della simbiosi è vista come un segno che è stato fatto qualche errore e come un’evoluzione patologica del rapporto. Nel romanzo, come accade nella vita reale, il protagonista tenta di risolvere il suo senso di insoddisfazione nel rapporto instaurando una relazione extraconiugale, che viene ad un certo punto comunicata improvvisamente alla moglie. La magia del nuovo innamoramento dà a lui un’illusione di avere risolto i problemi, mentre lei cade nel più profondo sconcerto. Ma anche il nuovo rapporto prevede che anche lì la simbiosi non duri in eterno, e Johan e Marianne si ritroveranno a doversi confrontare per capire. Si ritroveranno come persone diverse. Hanno attraversato entrambi la valle di lacrime e l’hanno resa più ricca di sorgenti. Si inseriscono nella realtà in una maniera diversa. Infatti la fine della simbiosi e l’evoluzione nelle fasi successive comporta la riscoperta di se stessi nel mondo, con tutte le possibilità che nascono dall’entrare più profondamente nella realtà. Questo non significa la fine del sentimento in quel rapporto. 

Anzi, la accresciuta fiducia in sé e nell’altro, dà la possibilità di godere in modo più libero il nostro essere su questa terra. Il passaggio dalla differenziazione alle fasi successive ha il vantaggio di sperimentare la cosiddetta “costanza dell’oggetto amato”, la fiducia che ci consente di non avere bisogno di tenere l’altro sotto controllo. La gioia di potersi nutrire dalla relazione con l’altro piuttosto che dover nutrire il bisogno di non far fuggire l’altro.

La vita matrimoniale, essere uniti nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, è possibile come una conseguenza della maturazione raggiunta, più che come un dovere nel mantenere la promessa fatta. Non tutte le coppie però raggiungono il momento del fatidico “sì” già evoluti attraverso il processo di crescita descritto, che ha dei tempi suoi, e che non possiamo determinare a nostro piacimento. Va bene quindi completare il cammino durante la vita matrimoniale. La Meditazione eventualmente iniziata nei periodi precedenti, può costituire di fatto uno strumento di aiuto da utilizzare per evitare oscillazioni emotive destabilizzanti, un po’ come l’ancora serve alla barca come punto di stabilità in mezzo al mare agitato.

La scelta della pratica della meditazione cristiana, s’inserisce nella nostra vita come una chiamata, come una grazia, come un dono d’amore, che ci convoca come individui, nel momento del bisogno. Lo fa in modo personale. La scelta del partner non è necessariamente contemporanea, ma la maturazione che sarà scaturita in uno dei due, coinvolgerà comunque l’altro. Può essere a volte necessario aiuto psicologico individuale, o il confronto con altre persone o altre coppie in gruppo. Il cammino di crescita spirituale necessita attenzione e cura, non meno che la crescita biologica e psicologica.



Cercate il luogo ed il tempo che vi si adattano, per favorire il cammino. Datevi l’opportunità di credere che anche se sembra difficile, tale cammino non è impossibile, anche quando avete perso la speranza, e pensate che non sia più possibile porre rimedio.

La vita matrimoniale, il buon andamento della vita di coppia, implica conseguenze positive nell’individuo, nella famiglia, nella società. L’evoluzione positiva del rapporto di coppia dà l’opportunità di crescita sul piano umano, di crescita rispetto all’espressione di sé e dei propri talenti, che nel rapporto simbiotico rischiano di rimanere grandemente inespressi. 

 Superare la fase della differenziazione, significa accettare la frustrazione della diversità, significa superare che l’altro è diverso dalle nostre aspettative. In questo nuovo modo di andare avanti, si scoprono dentro sé le fonti dell’auto-consapevolezza, della conoscenza di parti sempre più profonde del proprio essere. Si cammina verso la “sperimentazione” di nuovi stili di vita, di scelte alternative magari lasciate a lungo fra i desideri repressi. Accettare che vale la pena continuare a rimanere in relazione di coppia con l’altro nonostante il cambiamento, significa sperimentare col partner un nuovo modo di stare insieme, sulla base di quel legame già instaurato, e di tutti quei valori di base rimasti dopo la tempesta, e che probabilmente sono i valori di base che inizialmente hanno unito la coppia e l’hanno portata sino a quel punto.

Dalla sperimentazione ci si avvia, attraverso la condivisione di valori comuni, in questo nuovo clima di libertà e di rispetto reciproco, alla fase del “riavvicinamento”, ovvero di una nuova e più profonda unione umana, psicologica e spirituale. I partner, in questo clima di pace, di accettazione reciproca su una base più profonda che in quella dell’innamoramento, si rincontrano al di là di tutta la sofferenza attraversata, in un amore altruistico e disinteressato, anticipo del paradiso e dell’incontro con Dio. 

 Continuando a rapportarsi su queste basi, stabiliscono un rapporto di “mutua interdipendenza”, dove l’unione non viene minacciata neanche dalla lontananza, o dal fatto di scegliere di dedicarsi a tempo pieno alla realizzazione di progetti o ideali di vita, ma dove oramai resta vero dentro sé, che l’altro ci ama per come siamo.

 Come potete notare, il viaggio dell’evoluzione del rapporto di coppia ripercorre le tappe del cammino spirituale. In realtà quindi, anche coloro che non meditano, sono chiamati al cammino di crescita. Sembra davvero che il significato della nostra esistenza su questa terra possa trovarsi proprio nelle tappe del cammino spirituale, e che la meditazione sia un modo di vivere prendendosi cura di sè dal profondo del proprio essere.



MADRE TERESA DI CALCUTTA.....UNA BELLA SINTESI DELLO YOGA


L'ostacolo più grande? La paura 

La cosa più facile? Sbagliarsi 

L'errore più grande? Rinunciare 

La radice di tutti i mali? L'egoismo 

La distrazione migliore? Il lavoro 

La sconfitta peggiore? Lo scoraggiamento 

I migliori professionisti? I bambini 

Il primo bisogno? Comunicare 
La felicità più grande? Essere utili agli altri 

Il mistero più grande? La morte 

Il difetto peggiore? Il malumore 

La persona più pericolosa? Quella che mente 

Il sentimento più brutto? Il rancore 

Il regalo più bello? Il perdono 

Quello indispensabile? La famiglia 

La rotta migliore? La via giusta 

La sensazione più piacevole? La pace interiore 

L'accoglienza migliore? Il sorriso 

La miglior medicina? L'ottimismo 

La soddisfazione più grande? Il dovere compiuto 
La forza più grande? La fede
La cosa più bella del mondo? L'amore 
( Madre Teresa di Calcutta )