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YOGA RELIGIONI E MEDITAZIONE

 IL CULTO DI MITRA : SE IL CRISTIANESIMO NON AVESSE VINTO



                                


Il culto del dio Mitra, divinità di origine persiana le cui prime tracce risalgono al 1300 a.C. ma probabilmente molto anteriore, è uno dei culti orientali che tramite il mondo ellenico si diffusero a Roma in alternativa alla religione ufficiale.

Una rappresentazione scultorea della tauroctomia.
Esso cominciò a prendere piede a partire dalla fine del I secolo d.C. e raggiunse il periodo di massima diffusione al tempo degli imperatori Severi. Il Mitraismo occidentale si è formato da una lunga e complessa evoluzione dell'antico culto iranico e come molti altri culti di origine orientale, anch'esso aveva le caratteristiche della religione iniziatica e segreta. Questo è uno dei motivi per cui i santuari, i 'mitrei', furono sempre ricavati in ambienti sotterranei.
Il dio Mitra e il suo mistero sembra siano stati introdotti nel mondo greco-romano dai pirati di Cilicia deportati da Pompeo nel 67 a.C. in Grecia, ove però questa religione ha lasciato scarse testimonianze. Assai più vistose e numerose le tracce superstiti nella penisola italica, dove si affermò alla fine del I sec. d.C., diffondendosi poi con estrema rapidità nelle province nordiche (Mesia, Dacia, Pannonia, Germania, Britannia) attraverso le guarnigioni militari che, insieme agli schiavi, furono i più attivi propagandisti di Mitra. La totale mancanza di fonti scritte fa assumere una straordinaria importanza alla documentazione archeologica relativa a Mitra, il cui mito si ricostruisce in base alle numerose raffigurazioni rinvenute nei mitrei.

La sua storia si articola in diversi episodi: il dio nasce da una roccia con una fiaccola e un coltello fra le mani, con un colpo di freccia fa scaturire l'acqua da una roccia. Successivamente Mitra inizia ai propri misteri il Sole, da cui è distinto ma al tempo stesso strettamente associato, segue un patto fra le due divinità, che siedono insieme a banchetto per poi salire sul carro solare verso il cielo. Nell'iconografia Mitra è frequentemente associato a Varuna insieme al quale personifica i due aspetti del cielo, diurno e notturno, nonché l'ordine cosmico e umano: Varuna punisce i malvagi e i trasgressori, mentre Mitra è protettore della giustizia e dei patti, del bestiame (cui garantisce buoni pascoli) e degli uomini giusti. Oltre agli aspetti celesti e solari la sua originaria personalità connessa con la giustizia assunse anche una connotazione cosmogonica e soteriologica, mirante cioè alla salvezza dell'uomo.

Ma l'avvenimento centrale del rito mitraico è senza dubbio il sacrificio del toro, la cui morte promuove la vita e la fecondità dell'universo. L'iconografia di tale evento era posta sempre ad una estremità dell'antro, solitamente di forma allungata e con due lunghi banconi ai lati, in cui venivano celebrati i sacrifici rituali ed i banchetti cultuali. Oltre al dio ed al toro, nella tauroctonia erano sempre presenti delle figure simboliche ben precise: un cane ed un serpente che bevevano il sangue del toro, uno scorpione che lo pungeva ai testicoli, delle spighe di grano che germogliavano dalla coda dell'animale morente e un corvo.
Il loro significato è incerto: lo scorpione ed il serpente sono visti di solito come forze del male che tentano di impedire al sangue ed al seme del toro di raggiungere e fecondare la terra, il cane al contrario ne trae forza mentre le spighe simboleggiano la forza vitale che si libera dal toro morente a favore delle piante verdi. Il corvo, messaggero divino, stabiliva il contatto tra Mitra ed il Sole. Una interpretazione molto diffusa e suggestiva lega i vari animali prima citati alla rappresentazione astronomica e astrologica del cielo e delle costellazioni, mentre l'uccisione del toro e la presenza del sole fanno pensare ad un rito segreto che alluda al meccanismo di precessione degli equinozi. Il carattere cosmico di Mitra è sottolineato poi dalla costante presenza al suo fianco dei due dadofori, o portatori di fiaccole, Cautes e Cautopates, tipologicamete affini al dio e insieme al quale costituiscono una sorta di trinità: rappresentano infatti, nel corso della giornata, rispettivamente il sole dell'aurora, del mezzogiorno e del tramonto, mentre nel ciclo annuale alludono alla primavera, all'estate e all'autunno.
Come in tutti i misteri, anche a quello mitraico si era ammessi attraverso una iniziazione segreta e preceduta dal giuramento di non rivelare il rito. L'ingresso era riservato ai soli uomini e l'iniziato poteva gradualmente accedere ai sette gradi della gerarchia (corvo, ninfo, soldato, leone, persiano, corriere del sole, padre) attraverso prove e cerimonie delle quali sappiamo, ovviamente, molto poco. Il loro carattere doveva essere però essenzialmente simbolico ed incruento come del resto lo stesso sacrificio del toro, punto centrale della liturgia mitraica, impossibile da eseguire nella maggior parte dei mitrei a causa delle piccole dimensioni dei locali.
Secondo alcuni studiosi proprio la disciplina gerarchica dell'iniziazione, così come il carattere vittorioso del dio e il contenuto morale del mitraismo, che muove dall'antica idea persiana dell'eterno combattimento contro il male, spiegherebbe il successo incontrato dai misteri di Mitra presso l'esercito e poi anche presso gli imperatori, al punto da far scrivere ad Ernest Renan che "se il cristianesimo fosse stato fermato nella sua espansione da qualche malattia mortale, il mondo sarebbe stato mitraico".
L'apogeo del mitraismo si ebbe nel II-III secolo d.C., periodo particolarmente travagliato durante il quale l'impero vacillava minato da una crisi non solo economica e militare, ma che investiva anche tutto il mondo pagano che approderà più tardi alla totale cristianizzazione. In questo periodo il mitraismo si identificò con la religione orientale del Sole, diversa dal mitraismo ma con essa confusa dalle masse popolari, che fu assunta a religione ufficiale dello stato durante il regno di Aureliano (270 - 275 d.C.); in seguito Diocleziano cercò di sostenere il culto di Mitra quale religione del Sol invictus nelle legioni imperiali. In quell'epoca la religione mitraica si diffuse anche nelle classi più elevate fino ad arrivare allo stesso imperatore.
Senza diventare mai religione ufficiale dello stato, il mitraismo godette però di una vasta fortuna, oltre che nell'esercito, soprattutto tra le classi più modeste della società: schiavi, liberti, operai, artigiani e piccoli commercianti. Contemporaneamente, da questi stessi strati popolari e da esigenze spirituali analoghe, muoveva anche l'altra grande religione monoteista dell'epoca: la religione cristiana, che avversò sempre il mitraismo come il concorrente più pericoloso.
Oltre alle comuni origini orientali, molti erano gli elementi sorprendentemente somiglianti fra i due culti: l'episodio di Mitra che fa scaturire l'acqua dalla roccia richiamava il miracolo della rupe di Mosè e il miracolo della fonte operato da S. Pietro, non può poi sfuggire il parallelismo tra le lustrazioni ed il battesimo, la comune credenza nella resurrezione dei morti e nel giudizio finale presieduto da Mitra o da Cristo, la singolare coincidenza della celebrazione del natale del dio fissato il 25 dicembre, giorno del solstizio d'inverno, da entrambe le religioni. Nella lotta scatenatasi tra le due comunità una prima vittoria fu conseguita dai cristiani con l'editto di Costantino del 313 d.C. , mentre la restaurazione pagana di Giuliano l'Apostata (361 - 363) permise una ripresa del culto di Mitra, segnando soprattutto una battuta d'arresto alla distruzione dei mitrei precedentemente iniziata. Con la vittoria di Teodosio su Eugenio (394 d.C.) la religione cristiana prevalse definitivamente su quella mitraica che poté resistere ancora per poco nelle zone periferiche, mentre a Roma, sopra i mitrei saccheggiati e distrutti, vennero erette chiese e basiliche.
                                              Il  MITO

Esistono due leggende differenti riguardo alla nascita di questa divinità, accomunate dalla sua scelta di incarnarsi al fine di sconfiggere il male cosmico e morale, salvando così il genere umano. Secondo la prima leggenda, Mitra sarebbe nato da una pietra, dalla quale sarebbe uscito armato di una daga in una mano, una fiaccola nell'altra e con un berretto frigio sul capo. La seconda leggenda narra invece che il dio decide di venire al mondo incarnandosi nel ventre di una vergine, e vede la luce in una grotta. I festeggiamenti per la sua nascita avvenivano il 25 dicembre (vale la pena ricordare che la Chiesa ha accettato solo nel IV secolo, più o meno nel 335 DC, tale data come effettiva data di nascita di Cristo) e, sempre secondo la leggenda, Mitra avrebbe abbandonato il mondo terreno per tornare in cielo 33 anni dopo essersi incarnato.
Qualsiasi sia stata la sua nascita, la sua è una vita eroica: la sua prima azione è quella di soggiogare il Sole, per poi accordarsi con lui e ricevere in dono una corona luminosa. Cattura poi un toro, portandolo nella sua grotta e superando tutta una serie di difficoltà, causate da un serpente e da uno scorpione, inviati dal dio maligno Ahriman; dal corpo del toro, una volta sgozzato, vengono emanate tutte le piante salutari, in particolare la vite dal suo sangue e il grano dal suo midollo; dal suo seme sarebbero invece nati tutti gli animali utili all'uomo. Al termine del suo operato, con l'aiuto del Sole, Mitra sarebbe assurto in cielo, da dove continuerebbe a proteggere gli esseri umani.
Nell'iconografia la divinità viene spesso rappresentata insieme a due personaggi, detti i dadofori o portatori di fiaccole: i loro nomi erano Cautes e Cautopates, ed erano talmente legati al dio da costituire in pratica un'unica divinità, il triplice Mitra. Il primo dei due porta la fiaccola alzata, l'altro abbassata: rappresentano il ciclo solare, dall'alba al tramonto, e allo stesso tempo il ciclo vitale: il calore luminoso della vita e il freddo gelido della morte. Somiglianze con il cristianesimo: Le analogie con la religione cristiana non sono solamente legate ad una delle due leggende relative alla sua nascita, alla durata della sua incarnazione e alla sorta di aureola che il Sole gli dona: il rituale mitraico prevedeva sette gradi di iniziazione: Corax, Crypticus, Miles, Leo, Perses, Heliodromus e Pater. Chi raggiungeva il grado più elevato, quello di Pater (che è lo stesso appellativo con cui ci si rivolge ad un sacerdote cristiano), era colui che officiava i riti, era considerato il rappresentante della divinità in terra, indossava un berretto ed un vestito rossi (come i cardinali) ed aveva un bastone da pastore con la punta ricurva (la mitra, appunto) come simbolo della propria posizione. Ben presto i primi cristiani avrebbero iniziato a considerare il mitraismo un "travisamento satanico dei riti più sacri della loro religione", (mentre è molto più probabile il contrario, a dire il vero…) perseguitandolo aspramente.  
                                             Il  RITUALE
Malgrado Mitra fosse una divinità solare, i mitrei, templi in cui i suoi riti venivano officiati, erano sotterranei (specus), probabilmente in ricordo della grotta in cui la divinità sarebbe nata e/o vissuta. Fu Zoroastro ad iniziare questa tradizione: in qualche modo l'antro rappresentava l'universo nel suo complesso, e gli oggetti in esso posizionati ne rappresentavano simbolicamente gli elementi e le parti. Purtroppo si sa poco dei rituali, delle simbologie e delle speculazioni cosmologiche e astrologiche della religione mitraica, che dovevano essere piuttosto complesse e note solamente agli iniziati di livello più alto. 
Ricostruzione di una cerimonia mitraica
Da alcuni dipinti ritrovati in vari mitrei (gli esempi di mitrei contenenti dipinti sono piuttosto rari, più spesso sono presenti sculture o bassorilievi), appare probabile che, durante le liturgie, i fedeli portassero delle maschere che ne mettevano in mostra il livello di iniziazione raggiunto. Quel che è noto è che la vittoria sul toro selvaggio rappresenta la vittoria dell'ordine sul caos e sulla barbarie e che il culmine del cerimoniale era un banchetto a base di pane (prodotto a partire dal grano, cioè dal midollo del toro) ed acqua (o forse vino, prodotto dall'uva, cioè dal sangue del toro). Anche in questo caso, la somiglianza con il rito cristiano dell'eucarestia è molto spinta. Purtroppo non ci sono note le formule rituali che il pater pronunciava durante lo svolgimento del rituale. Sembra comunque che esistesse una sorta di percorso di purificazione attraverso sette porte (non necessariamente da intendersi fisicamente), una per ciascun livello di iniziazione, ma anche una per ciascun circolo celeste allora noto (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno), e forse rappresentate dalle icone dei sette simboli di iniziazione. In alcuni casi è presente una cella al di sotto della sala principale, chiamata fossa "sanguinis", collegata ad essa tramite un sistema di tubature che servivano con tutta probabilità ad una sorta di battesimo, officiato attraverso un'abluzione nel sangue del toro sacrificato.

               GRADI DI INIZIAZIONE DEL MITRAISMO
                            1. Grado d'iniziazione: Corvo
E' il primo grado iniziatico, simboleggiava la morte del neofita. Nella Persia antica era abitudine esporre cadaveri sulle torri funerarie perché fossero mangiati dai corvi. Il Corvo, come simbolo della morte, può anche essere visto su alcune carte dei tarocchi come la carta numero 13, invece della Morte. A questo punto il neofita muore e rinasce in un corso spirituale. Al neofita veniva assegnato un mantra da ripetere e i suoi peccati venivano lavati nell'acqua, con il battesimo.
Il neofita si desta dal lungo sonno in cui ha dormito per molti anni e si apre a una nuova esperienza che è quella della luce; apre le porte del suo io per spogliarsi ed entrare nudo nella luce.
Il grado del Corvo è sotto la protezione di Mercurio. Simboli che appartengono a questo grado: corvo, cadduceo, ariete, tartaruga, lira, vaso.
Il simbolo del corvo è presente sia nel mitreo di S. Prisca a Roma sia nel Mitreo delle Dura-Europo sull'Eufrate in Siria che in molti altri siti.  
                    2. Grado d'iniziazione: Nymphus (Crisalide)
E' il secondo grado iniziatico, rappresenta la nascita. Le farfalle nascono dalle larve... Queste sono all'inizio più piccole di un grano di miglio; quando, crescono diventano vermi e dopo tre giorni piccole larve.

Poi crescono ancora e piano piano mutano il loro aspetto diventando quindi   crisalidi; e sebbene, abbiano un guscio duro, si muovono se vengono toccate. Dopo poco tempo il guscio si rompe e volano via animaletti con le ali che chiamiamo farfalle.
"Non poteva vedere "la luce della verità" finché "il velo della realtà" non veniva alzato. Lui era promesso al culto e diventava casto per almeno la durata di questa fase. Era lo sposo (amante) di Mithra; inoltre offriva alla sua statua una coppa di acqua, la coppa era il suo cuore e l'acqua il suo amore."
Il grado della Crisalide è sotto la protezione di Venere. Simboli che appartengono a questo grado: serpente, didema, lucerna.
Il simbolo della crisalide è presente sia sulla pietra tonda di Salona (Dalmazia) che sul rilievo di Eros e Psyche a Capua che in molti altri siti.
                     3. Grado d'iniziazione: Miles (Soldato)
E' il terzo grado iniziatico, rappresenta la battaglia. Anche il terzo grado rientra negli stadi preparatori che gli iniziati oltrepassano rapidamente. Tertulliano ci dice che il candidato doveva combattere contro un uomo con la spada per conquistare la corona.
Il neofita doveva inginocchiarsi (sottomissione all'autorità religiosa), nudo (simbolo dell'abbandono della vecchia vita), bendato e con le mani legate.
Veniva poi offerta una corona sulla punta di una lancia. Una volta incoronato, le corde andavano tagliate con un solo colpo della lancia e tolta la benda. Questa rappresentava la sua liberazione dalla materialità del mondo.
Rimuoveva poi la corona dalla testa e la metteva sulla sua spalla, dicendo: "Mithra è la mia sola corona".


Questo rappresentava anche la rimozione dell'intelletto stesso, permettendo a Mithra di essere la guida. Dopo questa fase il neofita cominciava la vera battaglia contro il suo essere basso: un soldato è colui che combatte realmente il vero nemico.
Il grado del Miles è sotto la protezione di Marte. Simboli che appartengono a questo grado: scorpione, gambero, elmo, lancia , berretto frigio, bisaccia.
Il simbolo del Miles è presente sia mitreo delle sette porte di Ostia che sugli altari di Heddernheimche in molti altri siti.

                          4. Grado d'iniziazione: Leo (Leone)
E' il quarto grado iniziatico, rappresenta l'elemento del fuoco. E' il gradino per entrare nella porta dell'Oltre, del non commensurabile.
All'iniziato si apre una nuova visione del mondo, quella del mondo fenomenico a cui si può accedere solo con un atto di forza e vigore interiore.
Per questo ai leoni non erano permesso di toccare acqua durante il rituale, ed invece il miele era offerto all'iniziato per lavare le mani e per ungersi la lingua. I leoni portavano il cibo per il pasto rituale che era preparato da quelli dei gradi inferiori. Gli impegni dei leoni includevano il controllo della fiamma dell'altare sacro. Il banchetto rituale, costituito da pane e vino, rappresentava l'ultima cena di Mithra con i suoi compagni, prima della sua ascesa al cielo sul carro del Sole.


Il grado del Leo è sotto la protezione di Giove. Simboli che appartengono a questo grado: cane, cipresso, alloro, folgore, l'aquila, vespa. Un importante affresco per capire la rilevanza di questo grado è presente nel mitreo di S. Prisca.
"Accipe thuricremos, pater accipe sancte leones, per quos thura damus, per quos consumimur ipsi."
"Accetta amichevolmente, santo Padre, i Leoni che bruciano l'incenso (e il loro elemento: il fuoco), attraverso essi noi spargiamo l'incenso, attraverso essi anche noi finiremo"
                  5. Grado d'iniziazione: Perses (Persiano)
E' il quinto grado iniziatico. Il rappresentante del Persiano è Cautopates, il pastore vestito secondo l'uso nazionale e con la torcia abbassata. E' il grado che sottende al ruolo del Custos delle grotte mitraiche.

"L'iniziato ha ottenuto questo grado attraverso un'affiliazione alla razza che era l'unica che meritava di ricevere la più alta rivelazioni della saggezza del Magio". L'emblema di questa fase era un'arpa, l'arpa che Perseo ha usato per decapitare il Gorgon, simbolizzando la distruzione dell'aspetto più basso dell' iniziato. L'iniziato era inoltre purificato con il miele, perché era sotto la protezione della luna.

"Il miele è associato con la purezza e la fertilità della luna perché in Iran antico la luna era considerata la fonte del miele, e quindi l'espressione "luna di miele" denota non il mese dopo il matrimonio, ma la continuazione dell'amore e della fertilità nella vita matrimoniale".

Il grado del Perses è sotto la protezione di Luna. Simboli che appartengono a questo grado: arco, faretra, bastone, falce di luna, civetta, usignolo, archi, acinace, chivi, brocca, delfino, treppiede, spiga. Il grado del Persiano è ben rappresentato nel rilevo di Dieburg nella faccia posteriore.
                          6. Grado d'iniziazione: Heliodromo
E' il sesto grado iniziatico. Il rappresentante dell' Heliodromo è Cautes, che solleva la torcia e preannuncia il sorgere del Sole. Rappresenta il levar del sole e il viaggio quotidiano del dio attorno alla terra.

Nel grado di Heliodromus (camminatore del sole) sotto il sole, l'iniziato imitava il sole al banchetto rituale. Si sedeva accanto a Mithra (il padre), vestito in rosso, il colore del sole, del fuoco e del sangue della vita.
Il grado dell'Heliodromo è sotto la protezione di Sole.

Simboli che appartengono a questo grado: corona a sette raggi, torcia, sferza, spiga, globo, gallo, lucertola, coccodrillo, palma.
Il grado del Persiano è ben rappresentato nel rilevo di Dieburg nella faccia posteriore.


                               7. Grado d'iniziazione: Pater
E' il settimo e il più alto grado iniziatico, rappresenta tramite Saturno il Tempo dell'Oro ....redeunt Saturnia regna.
Lui era il rappresentante sulla terra di Mithra, la luce del paradiso personificato, l'insegnante della congregazione che guidava, vestito in un   cappello rosso e anche "pantaloni sformati Persiani di colore rosso, portando un bastone, simbolo del suo carico spirituale".

Il grado del Pater è sotto la protezione di Saturno. Nel mitreo di S. Prisca il Pater è seduto sul trono e gli iniziati gli sfilano innanzi. 
                                      I mitrei di Roma
La religione mitraica ebbe una diffusione piuttosto ampia a Roma come un po' in tutto l'impero a partire dal I secolo DC. Inizialmente ben tollerata, venne duramente combattuta a partire dal III secolo da parte dei cristiani, che molto probabilmente ne assorbirono alcune caratteristiche e alcuni rituali. Di conseguenza, a Roma si trovano diversi mitrei, purtroppo non tutti visitabili con facilità: per alcuni di essi è necessario chiedere l'autorizzazione all'ente che li gestisce.
                                     Mitreo di S. Clemente
Uno dei mitrei che è possibile visitare facilmente, è quello sottostante alla chiesa di S. Clemente, in Via S. Giovanni in Laterano, non lontano dal Colosseo. Vale la pena visitarlo, anche perché la chiesa è molto interessante di per sé; originariamente eretta sulle rovine di costruzioni romane, si compone di due chiese sovrapposte: la basilica inferiore venne eretta nel 385, e, dopo un paio di restauri, venne distrutta alla fine dell'XI secolo. Sulle sue rovine, venne eretta la basilica superiore, all'inizio del XII secolo. Si deve arrivare però agli anni '30 del nostro secolo per riscoprire che, al di sotto dell'abside della basilica inferiore, è presente un tempio risalente al III secolo DC e dedicato al dio Mitra. L'angusto corridoio che si percorre per accedervi è caratterizzato dall'essere scavato nella pietra scabra, a simulare lo specus di Mitra. La struttura è quella tipica di questo tipo di templi: si tratta di una sala a volta ribassata, con banconi in muratura lungo i lati: al centro, si trova un altare scolpito sui quattro lati, così come sono scolpite alcune delle pareti. Immancabili i bassorilievi della tauroctonia (uccisione del toro), dei dadofori e del serpente.
                                    Mitreo del Circo Massimo
  In Via dell'Ara Massima di Ercole, a due passi dai Fori Olitorio e Boario e sul lato opposto della strada rispetto alle rovine del Circo Massimo, si trova il deposito del Teatro Dell'Opera di Roma; nei suoi sotterranei, sono presenti i resti di un mitreo risalente al III secolo DC. L'accesso non è normalmente aperto al pubblico, ed entrarvi non è semplice: nell'antro regna un buio pesto, e la stretta scalinata che vi dà accesso è di difficile percorribilità. All'interno, un'anfora interrata nel centro della sala, un bassorilievo con la tauroctonia e alcuni simboli mitraici: il corvo e il cane (suoi alleati), lo scorpione e il serpente (suoi avversari). Le nicchie che si notano qua e là sono, purtroppo, omai vuote.
                                          Mitreo Barberini
  Al di sotto dello splendido Palazzo Barberini, capolavoro barocco e caso rarissimo di opera in cui hanno lavorato entrambi i grandi geni del periodo, Bernini e Borromini, si trova un mitreo importantissimo, perché è uno dei pochi mitrei in Italia che contiene rappresentazioni dipinte. Venne costruito in due fasi: la prima risale al I secolo DC e la seconda all'inizio del III secolo. Sul fondo della sala, dotata di seggi laterali, si trova l'affresco dedicato al sacrificio del toro e alle azioni eroiche della divinità. Sulla fascia superiore, i simboli zodiacali, sovrastati a loro volta da una rappresentazione di Zurvan Akarana, il Tempo Illimitato: è un mostro alato (a simboleggiare la velocità con cui si muove), con testa di leone (che ne simboleggia la voracità), completamente avvolto dalle spire di un serpente (simbolo dei cicli celesti). Purtroppo, l'affresco non è in buono stato, ma si intuisce il terrore sacro che doveva originariamente incutere. Mitreo delle Terme di Caracalla: Uno dei più maestosi mitrei dell'Impero si trovava sotto l'esedra occidentale delle meravigliose Terme di Caracalla. Incastrato nella fitta rete di sotterranei delle terme, era dotato di diverse sale, tra cui la principale era quella dedicata al banchetto. Una sala ad un livello ancora più basso, vicino alla fossa "sanguinis", è in comunicazione tramite una serie di cunicoli con la sala principale, ed era probabilmente dedicato alle abluzioni "battesimali" nel sangue dell'animale sacrificato. Vi sono inoltre locali che erano probabilmente usati come latrine, e sale più piccole che venivano usate come spogliatoi.
                                       Mitreo di S. Prisca
Uno dei luoghi più suggestivi di Roma è di certo il colle Aventino; dal Giardino degli Aranci si può godere una delle viste più belle di Roma, godendosi il lento scorrere del Tevere, la nave di pietra dell'Isola Tiberina, giù fino all'ansa che è stato il centro della ripresa di questa città nel periodo rinascimentale. In cima al colle, si trovano diverse basiliche di grande interesse storico e artistico (S. Sabina, S. Alessio per citarne due). La piccola chiesa di S. Prisca, risalente almeno al V secolo DC, venne costruita su un'antica abitazione patrizia, in cui la tradizione vuole che venne ospitato lo stesso S. Pietro, e venne restaurata XV e nel XVII secolo.
Da essa si può visitare un piccolo museo adattato nel ninfeo dell'abitazione romana e, attraverso uno stretto cunicolo, si accede al mitreo sottostante, riportato alla luce negli anni '40.
Come il mitreo Barberini, è uno dei pochi a riportare affreschi sulle sue pareti, rappresentanti i sette gradi d'iniziazione, una processione in onore del dio, la tauroctonia e una rappresentazione di Saturno sdraiato (è bene ricordare che Saturno altro non è che la versione latina di Crono, la principale delle divinità che i Greci chiamavano Titani, ossia i "genitori" delle divinità olimpiche; il nome stesso del padre di Zeus ne indica il legame con il tempo).

Nel vestibolo venivano probabilmente uccise le vittime sacrificali, mentre molte delle decorazioni sono oggi contenute in un'altra sala; sono inoltre presenti un battistero con rappresentazioni allusive ai segni zodiacali ed una vasca lustrale e una sala probabilmente dedicata alle iniziazioni.
                                   Mitreo di Ariccia/Marino
Il mitreo di Marino si presenta come una galleria stretta e lunga che in precedenza era stata utilizzata come cisterna per l’acqua (nelle vicinanze sono stato trovati altri resti archeologici), infatti le pareti il pavimento e il soffitto sono ricoperti da uno strato di calce mista a pozzolana e a piccolissimi frammenti di terracotta, che impedisce all’acqua di uscire.
    La trasformazione in luogo di culto avvenne successivamente, quando l’ambiente non era più utilizzato come cisterna; lungo le pareti furono praticati dei fori, sia per potervi mettere le lucerne per l’illuminazione, sia per poter costruire una divisione interna che divideva gli iniziati in base al grado raggiunto, furono pure costruiti due banconi lungo le pareti dove si sdraiavano i fedeli che in tal modo consumavano il banchetto sacro. Davanti all’affresco c’è un cippo di peperino con un’iscrizione in latino INVICTO DEO CRESCES ACTOR ALFI SEBERI D P (al dio invitto pose come dono Cresces, amministratore di Alfio Severo) che si riferisce ai frequentatori che potrebbero essere stati gli schiavi che lavoravano nelle vicine cave di peperino.
    Passiamo ora a descrivere la scena affrescata, che per la qualità dei colori e del disegno è uno dei migliori al mondo; si pensi che in Italia si conoscono solo altri due mitrei dipinti, uno a Roma sotto Palazzo Barberini e uno a S. Maria Capua Vetere in Campania. Al centro dell’opera c’è Mitra, all’interno di una grotta, vestito alla maniera orientale con il berretto frigio, una tunica con maniche e calzoni lunghi, tutto di colore rosso. Sulle spalle gli volteggia un mantello blu bordato anch’esso di rosso, che è costellato di stelle, tra cui spiccano sette pianeti; il dio ha la testa girata verso il Sole raggiante, dipinto in alto a sinistra, che lo guarda benevolente ed ha accanto un corvo nero; all’alto lato è raffigurata la Luna con lo sguardo chino e circondata di luce riflessa.
Mitra è rappresentato mentre uccide il toro.
Mitra uccidendo quest’ultimo rigenera la Terra, infatti dalla coda dell’animale spuntano alcune spighe di grano.
    Ai lati della scena, in basso, sono presenti due altri personaggi chiamati dadòfori, cioè portatori di torce, sotto il Sole a sinistra c’è Càutes con la fiaccola alzata e accesa, sotto la Luna a destra c’è Cautòpates con la fiaccola abbassata e spenta in rappresentazione della notte.
    Alcune scenette, quattro per ogni lato, riportano le fasi più significative del mito di Mitra; si comincia a sinistra dall’alto:
1) Lotta fra Giove e i Giganti, cioè la vittoria contro il Caos e lo stabilirsi dell’ordine universale.
2) Saturno (o Oceano) sdraiato
3) La nascita di Mitra da una roccia.
4) Mitra cavalca il toro bianco.
A destra nello stesso ordine:
5) Mitra sceso dal toro lo trascina per le zampe posteriori nella grotta dove avverrà il sacrificio.
6) Mitra inizia il Sole, inginocchiato davanti a lui, ai suoi misteri.
7) Le due divinità si stringono la mano destra e divengono alleati.
8) Mitra fa uscire l’acqua da una roccia tirando con l’arco una freccia.
Completano la decorazione dell’ambiente altre due rappresentazioni dei Dadofori poste vicino l’ingresso, dipinti però in posizione inversa rispetto ai precedenti; a destra c’è Càutes con la fiaccola accesa e alzata che rappresenta il sorgere del sole e il lato positivo, a sinistra c’è Cautòpates con la fiaccola spenta e abbassata che rappresenta il lato buio negativo, infatti ancora oggi sinistro è considerato sinonimo di incidente.

Il dipinto che finora si è conservato in buone condizioni, dovute alla chiusura del locale, che ha impedito alle muffe e all’aria di entrare; ora con la sua apertura stà subendo le aggressioni di questi agenti di degrado che piano piano stanno cancellando i colori. 


                                           IL RABBINO























                                     


Il rabbino è, nell'Ebraismo, il sacerdote ministro del culto, meglio definibile come saggio interprete della Bibbia e degli insegnamenti della religione ebraica. Il termine italiano rabbino deriva da rabbi, ovvero "insegnante", a sua volta mutuato dalla radice ebraica רַב, rav, che nell'ebraico biblico significa "grande" o "distinto (in conoscenza)". Il governo dei regni dell'Israele era basato su un sistema che mescolava le cariche di reprofeti e sacerdoti. Con la distruzione del Tempio di Gerusalemme e il conseguente collasso della monarchia ebraica, declinò il ruolo del profetato e del clero, mentre la guida spirituale passò nelle mani di saggi delle comunità, dai quali discenderà il ruolo del rabbino così come concepito ai nostri giorni. Poiché è proibito ricevere denaro per insegnare o per decidere su problemi di Halakhah, i rabbini nel passato non erano pagati per le loro attività e dovevano mantenersi autonomamente. Oggi sono dei funzionari stipendiati dalle sinagoghe, con ampi doveri pastorali e di predicazione. Le donne vengono ordinate rabbini dai seminari riformatiricostruzionistici e conservativi, ma l'Ebraismo ortodosso si oppone con decisione all'ordinazione di donne.


            CHANUKA' : LA FESTA DELLA LUCE
























L'uso delle candele è molto diffuso nell'ebraismo tanto che ogni settimana a Shabbat si accendono almeno 2 candeline (compito normalmente femminile).
Nella festa di Chanukà l'uso delle candeline è fondamentale in quanto la festa che in effetti vuol dire "inaugurazione" (del primo Tempio) è chiamata anche Festa delle Luci.

La candela "NER" in ebraico, è l'acronimo di Neshamà (anima vera e propria, quella contenente il nostro nome - SHEM) e Ruach (Spirito = vento).
Questi sono due dei livelli di anima, in tutto abbiamo dal più basso al più alto:

- Nefesh - (fegato) quella parte che presiede alla vita stessa del corpo, che consente ad esso di sopravvivere quando dormiamo mentre la Neshmà è nei mondi superiori - Soddisfazione, Volontà

- Ruach -  (cuore) Spirito, intelligenza emotiva

- Neshamà - (cervello - Pensiero), vi è inscritto il nostro nome.

- Chayà - Anima vivente, l'Aura

- Yachidà  - Intelligenza Spirituale, Uomo Spirito


Bene ora questi elementi si ritrovano nell'immagine della candela e della sua fiamma.

La candela vera e propria è il corpo fisico,
Lo stoppino è la Nefesh che è strettamente legata al corpo fisico e che sopravvive fino a quando vi è la cera.
Poi abbiamo quel nucleo bluastro/nero che è Ruach.
Segue la fiamma vera e propria che è la Neshamà.


Ora usciamo dal corpo e troviamo Chayà l'emanazione vitale, la nostra Aura che è quell'alone che intravediamo intorno alla fiamma stessa.
Infine dove ormai, distanti dalla fiamma e dalla luce emessa, non vediamo più niente ma se mettiamo la mano sopra e attorno e percepiamo un calore, questo rappresenta simbolicamente Yachidà.

Vediamo quindi che gli ultimi 2 elementi sono al di fuori di noi, ma ad essi siamo collegati anche l'uno all'altro.
Da qui vediamo l'importanza del riconoscere l'altro (Acher) per ritrovarsi assieme nell'Infinitamente Uno (Echad). 




        MENORAH : LA LAMPADA DEI SETTE CHAKRA





















Menorah significa in ebraico "candelabro" nella tradizione ebraica esso rappresenta il candelabro a sette bracci che si trovava nel tempio  di Gerusalemme e che è diventato il simbolo della religione ebraica. La parola menorah si trova nella Bibbia: "Farai anche un candelabro d'oro puro. Il candelabro sarà lavorato a martello; il suo fusto e i suoi bracci, i suoi calici, i suoi bulbi e le sue corolle saranno tutte di un pezzo... e ancora farai le sette lampade del candelabro e le collocherai sopra in modo da illuminare lo spazio davanti ad esso". Il candelabro ha un significato simbolico collegato al numero 7 che si interpreta come metafora del cielo e dei 7 pianeti ma anche come idea della ciclicità della natura.



















-è il numero perfetto e quindi il numero di Dio, (il numero del diavolo è invece sei, quindi imperfetto)

è il numero di giorni in cui Dio compì il miracolo della creazione (Nella Bibbia troviamo scritto: "E furono compiuti i cieli, la terra e tutte le loro creature. E terminò il Signore nel giorno settimo l'opera Sua e si riposò, il settimo giorno, da tutta l'opera che aveva fatto. E Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, perché in esso cessò (shavàth) tutta l'opera Sua che aveva compiuto") (Bereshìth, Genesi 31).

-Nelle sette lampade della menorah c’è il simbolo della creazione dell’universo in sette giorni. La luce centrale rappresenterebbe il sabato.

-I sette bracci sarebbero i sette cieli inondati dalla luce di Dio. La cifra sette ha un’importanza particolare, perché significa la perfezione.

-Sette sono anche gli occhi di Dio che scrutano il mondo (Zac. 4,10).

-Nell’Apocalisse, Giovanni vede l’Agnello come immolato, con sette corna e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra (Apoc. 5,6).
-Le sette corna sono simbolo della potenza e i sette occhi della conoscenza che il Cristo possiede con pienezza.

-Anche nell’icona della Sapienza divina, l’Angelo — lo Spirito Santo — poggia con le ali su un trono con sette colonne.

Il candelabro è una stilizzazione, un derivato dell’albero, ove le luci han preso il posto dei frutti. La forma dell’albero a sette rami risale a tempi antichissimi e si ritrova nelle religioni antiche di millenni, dal momento che, nei tempi più remoti, l’albero aveva un profondo significato religioso: esso incarnava la divinità. 

Arrivando nella Terra Promessa i patriarchi recarono con sé il mito dell’albero cosmico della vita. Albero imponente, i cui rami toccano il cielo e portano frutti che danno l’immortalità. Con l’andar del tempo l’albero prende la sua forma e il suo aspetto originale per diventare un ornamento: il candelabro a sette rami. Da qui viene il suo simbolismo. La menorah è dunque un’ emanazione dell’albero della vita, ma la sua forma, le sue funzioni, le sue fiamme, ne fanno l’albero della luce.

-E’ un albero che conduce gli uomini verso la luce e la luce verso gli uomini. Per mezzo di questa luce, che scorre come un torrente verso il mondo, Dio è presente ovunque. La prima lampada della menorah è questa luce del Signore, la luce perpetua che doveva andare giorno e notte. La luce della menorah è un simbolo della presenza di Dio sulla terra, il che spiega il fatto che essa sia l’unico oggetto del Tempio che abbia trovato posto nella sinagoga, divenendo cosi un possente legame tra le due case di Dio.

T
ra i simboli biblici, uno dei più cari è il candelabro a sette bracci, fatto per ordine di Dio secondo il modello che Mosè aveva visto sul monte Sinai.
“Farai anche un candelabro d’oro puro. Il candelabro sarà lavorato a martello, il suo fusto e i suoi bracci; i suoi calici, i suoi bulbi e le sue corolle saranno tutti di un pezzo.
Sei bracci usciranno dai suoi lati: tre bracci del candelabro da un lato e tre bracci del candelabro dall’altro lato.
Vi saranno su di un braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla e cosi anche sull’altro braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla. 

Cosi sarà per i sei bracci che usciranno dal candelabro. Il fusto del candelabro avrà quattro calici in forma di fiore di mandorlo, con i loro bulbi e le loro corolle: un bulbo sotto i due bracci che si dipartono da esso e un bulbo sotto gli altri due bracci e un bulbo sotto i due altri bracci che si dipartono da esso; cosi per tutti i sei bracci che escono dal candelabro. I bulbi e i relativi bracci saranno tutti di un pezzo: il tutto sarà formato da una sola massa d’oro puro lavorato a mantello.
Farai le sue sette lampade: vi si collocheranno sopra in modo da illuminare lo spazio davanti a esso. I suoi smoccolatoi e i suoi portacenere saranno d’oro puro. Lo si farà con un talento di oro puro, esso e tutti i suoi accessori” (Es. 25, 3 1-39).
Lo studioso ebreo Alexandre Adler, in un articolo sul candelabro a sette bracci (in ebraico si chiama Menorah) si chiede perché è diventato un emblema. Egli dice che la risposta esatta scaturisce dal posto che la menorah occupava nel Tempio presso l’Arca, dunque presso la Torah. C’è un rapporto tra la Torah e il candelabro a sette bracci? Certo, poiché la menorah serve la Torah illuminandola. Essa è l’espressione dell’esistenza della Torah, la Legge che Dio ha dato al suo popolo. Infatti Dio ha ordinato che una lampada bruci presso il tabernacolo, sia per la Torah che per riflettere la sua luce verso Dio. 

La stessa Torah è la luce della umanità, come Dio è la luce dell’universo. La menorah stabilisce un flusso ininterrotto fra Dio e il popolo e con la sua presenza, la sua fiamma, il suo legame con Dio, è testimonianza della proclamazione di una legge divina.
Anche noi cattolici abbiamo una lampada sempre accesa davanti al tabernacolo in cui non c’è il rotolo della Torah (cioè i primi cinque libri della Bibbia), ma la Parola di Dio fatta carne, Gesù eucaristia.


Adler dice che il candelabro è una stilizzazione, un derivato dell’albero, ove le luci han preso il posto dei frutti. La forma dell’albero a sette rami risale a tempi antichissimi e si ritrova nelle religioni antiche di millenni, dal momento che, nei tempi più remoti, l’albero aveva un profondo significato religioso: esso incarnava la divinità. Arrivando nella Terra Promessa i patriarchi recarono con sé il mito dell’albero cosmico della vita. Albero imponente, i cui rami toccano il cielo e portano frutti che danno l’immortalità. Con l’andar del tempo l’albero pende la sua forma e il suo aspetto originale per diventare un ornamento: il candelabro a sette rami. Da qui viene il suo simbolismo. La menorah è dunque un’emanazione dell’albero della vita, ma la sua forma, le sue funzioni, le sue fiamme, ne fanno l’albero della luce.
È un albero che conduce gli uomini verso la luce e la luce verso gli uomini. 

Per mezzo di questa luce, che scorre come un torrente verso il mondo, Dio è presente ovunque. La prima lampada della menorah è questa luce del Signore, la luce perpetua che doveva andare giorno e notte. La luce della menorah è un simbolo della presenza di Dio sulla terra, il che spiega il fatto che essa sia l’unico oggetto del Tempio che abbia trovato posto nella sinagoga, divenendo cosi un possente legame tra le due case di Dio.
Nelle sette lampade della menorah c’è il simbolo della creazione dell’universo in sette giorni. La luce centrale rappresenterebbe il sabato. I sette bracci sarebbero i sette cieli inondati dalla luce di Dio. La cifra sette ha un’importanza particolare, perché significa la perfezione. Sette sono anche gli occhi di Dio che scrutano il mondo (Zac. 4,10). Nell’Apocalisse, Giovanni vede l’Agnello come immolato, con sette coma e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra (Apoc. 5,6). Le sette coma sono simbolo della potenza e i sette occhi della conoscenza che il Cristo possiede con pienezza.
Anche nell’icona della Sapienza divina, l’Angelo — lo Spirito Santo — poggia con le ali su un trono con sette colonne.
La menorah è anche simbolo astrale. Simbolicamente rappresenta il sistema planetario: il cielo, con il sole al centro e pianeti da ambo le parti (Saturno, Giove, Marte, Mercurio, Venere e la Luna). I pianeti, come le lampade del candelabro ricevono la luce del sole, la luce celeste, che è eterna e che anche quella del Tempio. Cosi la Legge nel Tempio è eterna ed esisterà tanto a lungo quanto il sole, i pianeti e l’universo. I pianeti sono considerati, nella credenza popolare, come espressione della potenza creatrice e della volontà del Signore: essi indicano il destino dell’umanità, che è eterna come eterna è la collocazione dei pianeti nel cosmo.
Fino alla distruzione del Tempio (nel 70 d. Cr.) La riproduzione della menorah era inesistente, dal momento che i rabbini vietavano ogni menorah che fosse la riproduzione di quella del Tempio. Ci sono alcune riproduzioni del candelabro, tra cui quella del bassorilievo sull’Arco di Tito a Roma e porta la data dell’80 d. Cr. cioè dieci anni dopo la distruzione del Tempio. Nel Museo d’lsraele a Gerusalemme c’è una bellissima menorah (del 20-15 av. Cr.) scoperta recentemente. È la più antica. La sua forma più arcaica è a bracci più allungati e dà un’idea precisa di come fosse il candelabro a sette bracci, perché l’ignoto scultore avrà certamente visto l’originale nel Tempio.
La menorah è anche il candelabro della salvezza, così come si vede scolpita sulle tombe, a partire dall’epoca in cui si è diffusa fuori del Tempio, cioè dopo il 70. Sono state scoperte molte tombe dei primi secoli con questo simbolo di salvezza e con scolpite accanto alcune invocazioni del salmo 119:
La tua Parola è lampada ai miei passi,
luce sul mio sentiero,
la tua Parola è mia per sempre,
è il grido di gioia del mio cuore

NOTA:
Torah: dalla radice jarah (“mostrare, insegnare”), significa letteralmente “dottrina, insegnamento”, benché siamo soliti tradurlo con “Legge”. La Torah si riferisce al complesso della rivelazione mosaica: sono Torah le dieci parole del Sinai come l’insieme della legislazione veterotestamentaria, che viene fatta risalire tutta quanta a Mosè. Di conseguenza, lo sono pure i primi cinque libri della Bibbia (Pentateuco): La Torah si chiude solamente con la morte di Mosè, narrata nell’ultimo capitolo del Deuteronomio. Perciò non si tratta solamente di “legge” ma anche di “storia”: quella che va dalle origini fino all’ingresso nella Terra Promessa. Nella Torah è inclusa l’esperienza storica fondamentale di Israele. Al tempo stesso l’“insegnamento” della Torah continua lungo tutta la storia successiva: accanto alla Torah scritta cresce sempre più nel giudaismo rabbinico l’importanza della Torah orale (La Tradizione). Anche quest’ultima vien fatta risalire all’esperienza originaria di Mosè sul monte Sinai, attraverso la mediazione storica degli Anziani, dei Profeti e dei Sapienti.
Il miracolo di Chanukkà è narrato nel Talmud, ma non nel libro dei Maccabei. La festa celebra la sconfitta, per mano di Giuda Maccabeo, dei Seleucidi e la successiva riconsacrazione del Tempio. La festività, durante gli otto giorni, è caratterizzata dall'accensione dei lumi di un particolare candelabro ad otto braccia chiamato chanukiah.
La storia, riportata nel Talmud, racconta che dopo la riconquista del Tempio, i Maccabei lo spogliarono di tutte le statue pagane e lo sistemarono secondo gli usi ebraici. Scoprirono, inoltre, che la gran parte degli oggetti rituali era stata profanata. Secondo il rituale, la menorà del Tempio doveva essere illuminata in permanenza con olio di oliva puro. Nel Tempio però trovarono olio sufficiente solamente per una giornata. Lo accesero comunque mentre si apprestavano a produrne dell'altro. Miracolosamente, quel poco olio durò il tempo necessario a produrre l'olio puro: otto giorni. Per questo motivo gli ebrei accendono ogni giorno della festa una candela in più rispetto al giorno precedente.
La tua Parola è lampada ai miei passi,
luce sul mio sentiero,
la tua Parola è mia per sempre,
è il grido di gioia del mio cuore !
Il miracolo di Chanukkà è narrato nel Talmud, ma non nel libro dei Maccabei. La festa celebra la sconfitta, per mano di Giuda Maccabeo, dei Seleucidi e la successiva riconsacrazione del Tempio. La festività, durante gli otto giorni, è caratterizzata dall'accensione dei lumi di un particolare candelabro ad otto braccia chiamato chanukiah.
" Con riferimento alla storia di questa festa vediamo che questo periodo rappresenta bene il senso del miracolo (un'ampolla d'olio durò tutto il periodo di 8 giorni - e 8 è il salto di qualità dal mondo materiale, quello dei 7 giorni, a quello spirituale, le sefirot superiori).

Il miracolo consiste anche nel fatto che proprio in questo periodo dell'anno, il più buio, noi accendiamo la luce interiore, difatti il candelabro viene posto vicino ad una finestra per far sì che da fuori si veda che la nostra casa è illuminata da dentro.

Possiamo meglio dire che mai come in questo caso, la nostra casa rappresenta la nostra anima che riceve  e da luce interiore.
E' interessante notare che il candelabro non serve ad illuminare, ovvero non possiamo usare quella luce come unica fonte di luce in casa perché quella luce è in realtà solo interiore e non può essere usata a fini pratici.

Sembra un particolare banale ma non lo è.

In effetti quello che avviene in quei giorni è quanto di più esoterico e quindi cabalistico, i lumi infatti, ci accendono uno per volta aggiungendo una luce al giorno, in quanto la luce quella vera, quella di Verità e Conoscenza può essere ricevuta solo gradualmente altrimenti se ne resta abbagliati e si potrebbe perdere la vista  o...il senno.

Già da adesso è bene ringraziare Dio per quanto ci dona non solo di buono ma anche, e questo è molto difficile, di quanto ci fa meno piacere. "

NELLA TRADIZIONE OCCIDENTALE INVECE SI SVILUPPA............

L'ALBERO DI NATALE.......

"
Il candelabro è una stilizzazione, un derivato dell’albero, ove le luci han preso il posto dei frutti. La forma dell’albero a sette rami risale a tempi antichissimi e si ritrova nelle religioni antiche di millenni, dal momento che, nei tempi più remoti, l’albero aveva un profondo significato religioso: esso incarnava la divinità. Arrivando nella Terra Promessa i patriarchi recarono con sé il mito dell’albero cosmico della vita. Albero imponente, i cui rami toccano il cielo e portano frutti che danno l’immortalità. Con l’andar del tempo l’albero prende la sua forma e il suo aspetto originale per diventare un ornamento , da qui viene il suo simbolismo luminoso e nouminoso .

E’ un albero che conduce gli uomini verso la luce e la luce verso gli uomini. Per mezzo di questa luce, che scorre come un torrente verso il mondo, Dio è presente ovunque." 

( cortese concessione del caro amico Massimo )


                               LA MEDITAZIONE




















Quando desideri qualcosa, la tua gioia dipende da quella cosa. Se ti viene portata via, ti senti infelice; se ti viene data, sei felice, ma solo per un momento. E anche questo va compreso: quando un tuo desiderio è appagato, solo per un istante ti senti felice. È qualcosa di fuggevole, poiché, una volta realizzata una cosa, subito la mente si mette di nuovo a desiderare di più, a volere qualcos’altro.

La mente esiste nel desiderio, per questo l’uomo non potrà mai vivere senza desiderare. Se sei privo di desiderio, la mente muore immediatamente. Il segreto della meditazione è tutto qui!

Un imperatore stava uscendo dal suo palazzo per farsi una passeggiata mattutina, quando incontrò un mendicante.

L’imperatore gli chiese: “Cosa vuoi?” Il mendicante disse: “Prima di chiedermelo, pensaci due volte!” L’imperatore non aveva mai visto un uomo la cui presenza fosse tanto potente, sembrava un leone. Aveva combattuto, aveva vinto, aveva sempre affermato la sua superiorità e il suo potere, ed ecco che un semplice mendicante gli diceva: “Pensaci due volte, prima di farmi una simile domanda, perché potresti non poter appagare il mio desiderio!”

L’imperatore disse: “Non preoccuparti, quello è un mio problema; chiedi ciò che vuoi e io esaudirò ogni tuo desiderio!”

Il mendicante disse: “Vedi la mia ciotola da elemosina? Voglio che sia riempita. Non importa come, la sola condizione è che venga riempita fino all’orlo. Puoi ancora tirarti indietro, ma se lo vuoi, puoi rischiare…”.

L’imperatore rise. Una semplice ciotola… e quell’uomo lo ammoniva? Disse al suo primo ministro di riempire quella ciotola di diamanti, per far vedere a quel mendicante con chi stava parlando.

E il mendicante disse ancora: “Pensaci bene!” E ben preso fu evidente che il mendicante aveva ragione, perché nel momento in cui i diamanti vennero versati nella ciotola, svanirono nel nulla.

La notizia si diffuse in un baleno nella capitale: migliaia di persone accorsero per osservare ciò che stava succedendo… e quando tutte le pietre preziose furono finite, il re disse: “Portate tutto l’oro e l’argento, portate il mio tesoro! Il mio regno, la mia dignità e la mia parola sono state sfidate!” Ma a sera tutto era scomparso e non restavano che due mendicanti: uno era l’imperatore di un tempo!

E l’imperatore disse: “Prima che ti chieda perdono per non aver ascoltato il tuo ammonimento, per favore puoi dirmi il segreto di questa ciotola?”

E il mendicante spiegò: “Non c’è alcun segreto. L’ho ripulito per farlo sembrare una ciotola, ma si tratta di un cranio umano: qualsiasi cosa vi riversi, scompare”.

Questa storia è incredibilmente significativa. Non hai mai pensato alla tua ciotola per elemosine? Tutto scompare – potere, prestigio, rispettabilità, ricchezze – tutto scompare e la tua ciotola continua ad allargare la bocca per avere di più. E quel “di più” ti allontana dal presente. Il desiderio, l’aspirazione a raggiungere qualcos’altro ti sottrae al momento presente.

Al mondo esistono solo due tipi di persone: la maggioranza rincorre le ombre, e le loro ciotole staranno con loro, fino a quando non entreranno nella tomba. E una piccolissima minoranza, uno su un milione, smette di correre, lascia cadere tutti i desideri, non chiede nulla – e all’improvviso scopre che ogni cosa è già dentro di lui, e lo ricolma.

( da un racconto di Osho )


LA RELIGIONE DEL FARAONE ...O DELLA MENTE EGOICA INFERIORE






















"...Offrite sacrifici al vostro Dio nel paese..." (Esodo 8:25).


































































































































































































































































































































La prima proposta di Faraone a Mosè può essere definita: L'OFFERTA DI UNA RELIGIONE NEL MONDO.
































































L'astuto monarca non si oppone all'esercizio di un culto o alla pratica di una liturgia, ma vuole che il popolo d'Israele rimanga in Egitto / matrix . Anche il diavolo viene a noi con la stessa offerta e dice: - Potete avere la vostra religione; anzi scegliete pure la denominazione più gradita al vostro cuore: confessatela, praticatela, predicatela..., MA RIMANETE NEL MONDO.
Cristo è venuto per liberarci dal mondo / matrix; il diavolo ci combatte per farci rimanere nel mondo; Cristo è venuto per offrirci la "Redenzione", ma il diavolo / ombra ci propone una religione che ci mantenga nella schiavitù, cioè sotto il suo diretto dominio.
Abbiamo veduto in ogni luogo e in ogni epoca intere folle di religiosi vivere nel mondo e assieme al mondo e questo ci dimostra che si può facilmente avere una religione e rimanere nel mondo; Il nome della religione può anche cambiare e non essere soltanto "Cattolica", "Anglicana" o "Metodista", per riferirci alle domande di John Wesley all'angelo, ma può essere Battista, Luterana, Episcopale, Pentecostale , Buddista , Taoista , Confuciana , ecc , ...: un‘etichetta non indica sempre il contenuto di un recipiente.
Il diavolo viene a noi e ci dice: Vuoi essere religioso? Vuoi essere membro di chiesa? Vuoi appartenere ad una comunità ? Puoi esserlo liberamente, anzi io ti aiuterò ad essere attivo, zelante e fervente...a condizione però che tu rimanga nel mondo. E se noi siamo disposti a seguire la corrente del "presente secolo" e a rimanere schiavi delle consuetudini e dei piaceri mondani, il diavolo firmerà un patto di pace con noi e ci permetterà di avere i "nostri articoli di fede", la nostra liturgia, le nostre attività  religiose" continuando però ad annoverarci fra i cittadini del suo regno di tenebre e di peccato.
Purtroppo, molti, in ogni secolo, hanno accettato questo accordo infernale e anche nella nostra generazione non sono pochi coloro che sono scesi a patti col diavolo, e se noi vediamo chiese o credenti contaminati dalla mondanità imperante è soltanto perché il "triste trattato" è stato concluso.
Faraone è riuscito a convincere che è possibile offrire sacrifici a Dio "nel paese" e per questa ragione incontriamo moltitudini di persone, di ogni confessione denominazionale, che fanno professione di religiosità pur accettando e vivendo quelle realtà visibili che sono in aperto contrasto con la religione stessa , in questo consiste il “ fariseismo” di ogni religione .
Ma se vogliamo godere la redenzione cristiana dobbiamo essere decisi nel resistere al diavolo e nel dirgli come Mosè disse a Faraone: - "Non è convenevole far così"... Colui che è venuto a redimerci vuole che usciamo dal mondo e dalle contaminazioni; Egli ci ripete con le parole del profeta: - "Esci di fuori Babilonia: o popol mio ed io ti accoglierò".
Noi non siamo più del mondo perché siamo stati liberati dal mondo per essere costituiti pellegrini del cielo; senza una città stabile e senza un luogo fisso di dimora dobbiamo seguire il Figlio dell'uomo, Gesù, che non è del mondo e che del mondo ha rifiutati i piaceri, la ricchezza e la gloria.
Il pellegrinaggio impone la rinuncia ad una residenza ferma e perciò non può essere accettato ed esercitato da coloro che vogliono rimanere nel paese e vivere dove hanno sempre vissuto. Abramo, per essere pellegrino di Dio accettò di lasciare Ur dei Caldei perché quel paese idolatra non poteva essere culla della sua fede. Oggi coloro che vogliono essere cristiani devono rifiutare l'offerta del Faraone infernale e devono uscire totalmente, incondizionatamente da quel luogo di schiavitù e di contaminazione che la Scrittura chiama "mondo" (= matrix)  oppure "presente secolo"; soltanto dopo aver lasciato alle spalle il luogo della schiavitù e aver deposte le catene spezzate, il credente potrà rendere un culto di adorazione puro al nome dell'Eterno.
"Offrite sacrifici al vostro Dio nel paese..." continua a dire il diavolo e nel dire questo non manca di sottolineare i vantaggi collegati alla sua proposta. Egli ci farà vedere che senza rinunciare alla religione potremmo avere una esistenza tranquilla e priva dei disagi del pellegrinaggio, ci farà anche vedere che "nel paese" potremmo continuare a godere i beni ed i frutti che si trovano in esso e cioè "la carne", gli "agli", i "poponi" e le "cipolle".
Nella "fiera della vanità" c'è merce per tutti e Faraone sa di poter riuscire nei suoi intenti quando presenta la "superbia della vita" e la "concupiscenza della carne e degli occhi" e i "piaceri del secolo" e poi la "gloria", la "ricchezza, "le voluttà", "la moda", "lo sfarzo", queste cose possono continuare ad essere vostre e assieme a queste cose, egli dice, potete avere la vostra bella religione; potete dividere il vostro tempo fra il cielo e la terra, fra le cose dello spirito e quelle della carne, fra l'adorazione al vostro Dio ed il servizio a me.
Vinti da queste parole seduttrici, i cristiani mondani aumentano ogni giorno e la religione per essi si trasforma in un comodo annuncio che lascia loro tutte le comodità del presente secolo e non toglie la possibilità di avere... la illusione della vita eterna. Essi non pensano che se questa ibrida unione fosse possibile, il Signor Gesù avrebbe lasciato al giovane ricco quelle ricchezze che costituivano l'unico legame alla sua vita di religioso verso la libertà; anche quel giovane avrebbe ricevuta la concessione di offrire sacrifici a Dio "nel paese" di Faraone e quindi, nell'esercizio di una vita moralmente ineccepibile, avrebbe compiute le pratiche devozionali necessarie a rendere concreta la sua pietà di credente.
Ma Gesù Cristo fece chiaramente comprendere a quel giovane, come d'altronde ad ogni candidato al regno dei cieli, che la schiavitù è inconciliabile con la libertà e di conseguenza che una religione che ci lascia sotto il dominio del principe di questo secolo non può avere comunione con la "redenzione cristiana".
Il Redentore è venuto per chiamare fuori di "Babilonia" coloro che vogliono portare i vasi del Signore, anzi che vogliono essere loro stessi vasi all'Eterno, e se Egli è uscito al Calvario con il legno dell'obbrobrio sulle spalle, lo ha fatto per darci la possibilità di seguirLo fuori anche di Gerusalemme, città della religione, ed essere con Lui, assieme a Lui crocifissi al mondo.
Una decisione s'impone: - Uscire o rimanere! La decisione ci fa cristiani o ci allontana da Cristo; se usciamo fuori dal mondo per seguire Colui che non è stato del mondo, noi siamo veramente redenti e godiamo la libertà di un cristianesimo autentico; se invece rimaniamo nel paese, noi siamo soltanto "sedicenti cristiani" ed anche se arriviamo a rivestire l'apparenza della pietà, non abbiamo, non possiamo avere in noi la potenza di essa.
Uscire o rimanere! Rimanere significa rendersi amici del mondo; significa essere adulteri nella presenza di Dio; significa anche amare il mondo e le cose che sono nel mondo, quindi significa non avere l'amore del Padre. Rimanere equivale a respingere il Calvario; è inutile sottilizzare intorno alle opere di quelli che RIMANGONO; è inutile far notare che la loro vita è schiava della vanità, schiava dei piaceri e dei vizi del presente secolo, schiava delle mode e delle consuetudini del mondo... È più semplice dire: - Hanno respinta la croce!
Se le donne cercano i cosmetici ed i belletti e se sono ossequenti ai dettami dell'arte dell'acconciatura o del vestiario, è soltanto perché sono rimaste nel paese, hanno rifiutata la redenzione. Se gli uomini cercano di conciliare la religione con gli spettacoli artistici o sportivi, se ancora sono sotto il dominio dei vizi comuni a tutti, è perché non sono usciti dal mondo.
Quindi, ripetiamo, è inutile analizzare queste spicciole manifestazioni di mondanità per arrivare a quelle ancora più sottili o più vaste come la cupidità della ricchezza, della fama, della gloria... Tutte queste cose esistono e tutte si trovano dove non è stata fatta una decisione positiva di fronte a Cristo.
"NON È CONVENEVOLE FAR COSI'..." disse Mosè a faraone; "Non è convenevole far così": dobbiamo decisamente dire di no al diavolo; questa religione nel mondo ci vuol togliere la redenzione cristiana e noi non possiamo, non dobbiamo accettarla.

tratto da un libro di Roberto Bracco
(testo di riferimento: Esodo 10:24)
                                                             SAMKHYA


















ll Samkhya (o Sankhya) è ritenuta la più antica delle sei Scuole di pensiero (Darshana) ortodosse, che riconoscono, cioè, l'autorità dei Veda.
Secondo questo sistema filosofico, l'intera realtà scaturisce dalla relazione fra due princìpi onnipervadenti ed eterniPurusha e Prakrti. Il Purusha è il puro spirito, la monade spirituale perfetta e, pertanto, priva di qualsiasi attributo o caratteristica.

 Gli infiniti puri spiriti, i Purusha, sono spettatori, testimoni silenziosi di Prakrti (la natura) che è completamente pervasa da tre qualità costitutive, i GunaSattvaRajas e Tamas , che entrano nella composizione di qualsiasi manifestazione della natura e che corrispondono, rispettivamente, alla leggerezza, luminosità, all'attività dinamismo e alla pesantezza oscurità . Quando la quiete della Prakrti, cioè l'equilibrio fra i tre guna, viene alterata, si ha l'inizio di un nuovo universo e, quindi, l'avvio evolutivo del mondo manifesto. Questa alterazione dello stato originario di quiete è dovuta alla stretta vicinanza tra Purusha e Prakrti e causata dalla relazione intercorrente fra questi due princìpi. 

Il Purusha va infatti considerato come il perenne ispiratore che, con la sua sola presenza, dona coscienza e vitalità all'intero creato e che, all'interno della singola manifestazione e quindi dell'uomo, diviene anima e assume l'aspetto di colui che conosce e non agisce. La Prakrti, invece, con l'imperfezione che la contraddistingue, è un ente agente e non cosciente. Lo stato di assoluto isolamento (Kaivalya) del sé rispetto ai tre mondi - terrenointermedio e divino - consiste nel riconoscere la diversità fra questi due enti attraverso la conoscenza dei 25 princìpi che strutturano il sistema Samkhya.
La filosofia Samkhya è un dualismo realistico che, per effetto della necessità logica di stabilire l'eternità e l'onnipervadenza sia del Purusha che della Prakrti, riconosce pari dignità ai due princìpi. Il primo dev'essere inteso come principio spirituale e perfetto mentre il secondo è un principio indeterminato e imperfetto. Il suo fine più immediato è quello del superamento della sofferenza per mezzo della conoscenza, cui segue l'aspirazione all'isolamento.
La scuola del Samkhya è la prima a proclamare l'indipendenza della ragione umana dalla rivelazione, come avviene, ad esempio, nelle Upanishad. Il puro spirito, l'anima universale, il  impersonale che alberga in ciascuna manifestazione della natura è dunque, secondo questo darshana, libero dal susseguirsi delle reincarnazioni e sempre uguale a sé stesso. Ciò che cambia e rinasce è invece l'anima individuale, il corpo sottile, che, in quanto essenza già presente nella quiete originaria della Prakrti, ha la possibilità di evolvere fino al conclusivo isolamento dalla materia, svincolandosi definitivamente dal ciclo delle rinascite.


                                  MEDITAZIONE CRISTIANA
























Nelle culture Ebraica, Cristiana e Mussulmana, c'è la conferma che la Meditazione, considerata come  mezzo per mettersi in contatto con la divinità,  esiste in tutte le religioni.

Gesù, con il suo atteggiamento critico nei confronti del fariseismo, indica il rifiuto di una religiosità formale ed esteriore, per privilegiare la ricerca di Dio nella nostra interiorità: il Regno dei Cieli è  "dentro di noi", ma è anche il "tesoro  nascosto" vicino a noi. Il rapporto fra l'uomo e Dio si basa sull'adorazione, che è una forma di Meditazione. Anche i metodi di preghiera e attenzione portano ad una adesione spirituale totale: "Svegliati, tu che dormi, e Cristo ti illuminerà". La Meditazione Cristiana ci porta a riscoprire in noi lo spirito divino: siamo figli di Dio e, se siamo suoi figli, siamo anche suoi eredi e coeredi di Cristo. La preghiera meditativa, il cui scopo è l'illuminazione e la  contemplazione di Dio, era la Meditazione preferita da Gesù, che al tempo stesso ci invitava a pregare "nel segreto" e a "non moltiplicare le parole". Essa è un metodo per mettersi in comunicazione con il divino, non per chiedere qualche cosa, ma per un continuo, costante dialogo con Dio, che è anche dentro di noi.

 San Paolo, nella lettera ai Romani (8,26) fa una puntualizzazione importante: "Realmente con la nostra intelligenza non si può pregare, se non mettendosi in posizione di  ascolto e se prima di essa lo spirito non prega".

 Il Cristianesimo d'Oriente, che considera contemplativi e mistici come la più alta espressione di spiritualità, ha molto in comune con pratiche meditative orientali: distaccarci dalla esteriorità, purificarci e concentrarci per tornare in possesso di noi stessi e di tutti i nostri poteri. Il Cristianesimo Occidentale ha considerati con sospetto questi mistici, come esseri capaci di sottrarsi all'autorità della  Chiesa. Malgrado questo ci sono mistici nella Chiesa Occidentale che sono passati dall'esperienza di tecniche meditative orientali. Citiamo primo fra tutti Sant'Agostino che, prima di convertirsi al Cristianesimo aveva praticato il manicheismo e studiato il neoplatonismo.

 Numerosi sono i Santi che ci hanno lasciati insegnamenti importantissimi e sempre attuali. Ne citerò solo alcuni.  Ignazio di Loyola, che ci indica una Meditazione discorsiva, basata principalmente sull'uso dell'immaginazione e della visualizzazione; Santa Teresa di Avila, che pone al centro della attività spirituale  I'"Orazione mentale", cioè un frequente intimo colloquio con Dio;  San Giovanni della Croce, per il quale due sono i punti  fondamentali per arrivare a contemplare Dio: il distacco dei sensi e il distacco dello spirito. Così facendo si passa dalla meditazione alla contemplazione e dalla contemplazione all'unione.

 Ma esaminando i metodi contemplativi di Oriente ed Occidente, si profila un unico processo meditativo, anche se le due correnti parlano di conoscenza contemplativa del Sé e conoscenza contemplativa di Dio, poiché Dio è la nostra stessa interiorità.  


                                  MEDITAZIONE ISLAMICA























Principalmente si tratta di quella forma di misticismo conosciuta come  Sufismo. Secondo questa tradizione la via può essere percorsa solo da chi è interamente sgombro, e non ha bisogno di nulla, tranne che di Dio. Sufl è colui che muore all'ego e rinasce alla verità. Il Sufismo è una via diretta alla trascendenza e quindi una negazione del formalismo religioso, della liturgia esteriore, dei riti ripetitivi.
 Per trovare Dio bisogna  liberarsi da condizionamenti, legami, possessi e da ogni identificazione psicologica.

 La Meditazione islamica cerca di entrare in contatto con il trascendente e di rimanerci, annullando tutto ciò che è fenomenico, molteplice, contingente, immanente; cioè, se si cancellano le tracce materiali, rimane la divinità.  I Maestri Sufi cercano di risvegliare l'anima dai suoi torpori umani, attraverso shock mentali e paradossi contenuti in racconti didattici, leggende, aforismi che possono rivelare all'improvviso significati reconditi.

 Esistono numerosi Maestri e scuole Sufi, nate dal loro carisma, dove vengono trasmessi, non solo nozioni e principi, ma gli allievi divengono partecipi dei poteri del loro Maestro. Per questo i loro insegnamenti sono tenuti segreti o celati dietro simbolismi ermetici che li nascondono a chi non è in grado di interpretarli correttamente. La segretezza e la struttura in cerchi concentrici delle confraternite ha permesso loro di sopravvivere a numerose persecuzioni.

 Il  Corano sottolinea spesso l'importanza della Meditazione come invocazione e ricordo costante della presenza divina e come preparazione psicologica ad accoglierla.


                                    MEDITAZIONE EBRAICA



















Già  l'Antico Testamento accenna a tecniche di Meditazione e scuole profetiche. E i profeti utilizzavano arpe, tamburi, cetre e flauti e cercavano l'estasi, cioè la discesa dello Spirito su di loro.
 Il profeta ebraico è l'uomo che, ispirato da Dio, cerca di riportare la religione all'antica purezza e la Meditazione ebraica, fatta sulla parola di Dio, un Dio assoluto che non ama le mezze  misure, richiede per questo una dedizione totale.

 Ma l'interpretazione di una rivelazione fatta con il linguaggio umano, con tutti i suoi-limiti, richiede un grande lavoro.  Da queste esigenze è nata la Cabala, come sistema di interpretazione dei testi sacri, che ha costituito la più importante tradizione mistico-esoterica della storia ebraica.  I testi sacri sono considerati una manifestazione del divino, sono la parola stessa di Dio cristallizzata. Così ogni nome, ogni lettera è una concentrazione di energia trascendente e ha significati diversi al di là di ogni interpretazione letterale. Ne deriva che ogni preghiera, ogni ripetizione di un nome sacro diventano dei  Mantra, vibrazioni superiori. Quindi la Meditazione è una azione mistica che stimola il potere creatore, ricostruendo l'unità originaria, rotta con il peccato.  L'anima caduta, attraverso la Meditazione, può ripercorrere il percorso inverso della materializzazione, procedendo verso la spiritualizzazione.

 In pratica l'uomo, guardando se stesso da fuori, con distacco, si trova ad un livello di coscienza superiore che, se mantenuto sufficientemente a lungo, lo porta ad accedere a livelli superiori; questo lo si può ottenere con l'aiuto di un maestro che utilizzerà preghiere e rituali tradizionali non solo come rappresentazione, ma come stimolo per mettere in azione forze trascendenti che altrimenti resterebbero inattive.


        MEDITAZIONE SECONDO PATANJALI
















Patanjali è vissuto tra il Il e il RI secolo d.C. ed ha fatto il primo tentativo di riassumere gli insegnamenti Yoga. Egli è partito da una base filosofica che ci dà una classificazione delle strutture del mondo tanto materiale che spirituale. Non crede che la sola conoscenza metafisica possa portare l'uomo alla liberazione, ma ritiene necessarie anche una tecnica di ascesi e una di Meditazione. Quindi è necessario arrivare a fermare l'attività mentale, e a questo si arriva attraverso una tecnica psico-fisiologica che possa sostituire al normale stato di coscienza uno stato di comprensione e di identificazione della realtà metafisica. In pratica, per liberarci dall'ignoranza, dagli errori nella conoscenza e dalle sofferenze che ne derivano, è necessario percorrere gli otto stadi del  Rajayoga, come descritto negli  Yogasutra: requisiti morali, requisiti disciplinari, posizioni fisiche, controllo della respirazione, controllo delle emozioni, concentrazione, Meditazione, arresto dell'attività mentale e raggiungimento dell'illuminazione. In pratica lo Yogi si libera dagli ostacoli di questa vita per tornare alla condizione originaria che è divina.


                 MEDITAZIONE TAOISTA


















Il Tao te ching, libro fondamentale del Tao è attribuito a  Lao tzu, un maestro vissuto nel VI secolo a.C.
 Il Tao è l'inconoscibile per eccellenza, ciò che non può essere definito, ma che permette la conoscenza.  E' il perenne mutamento, il continuo divenire dall'essere al non essere e dal non essere all'essere.

 L'uomo che non è capace di osservare gli avvenimenti, non osserva, non riflette, non medita, che usa la volontà senza tenere conto delle circostanze, che vive in base alla razionalità, a rigida volontà di potenza, frastornato da troppe parole ed opinioni, alla lunga vedrà fallire i suoi sforzi.

 Tutto è in continuo divenire, ogni polo si alterna al suo opposto, ogni cosa, ogni evento è condizionato dagli altri e condiziona gli altri. Il Taoista sa che ogni volontà, sforzo, desiderio, ambizione, mette in azione una forza contraria, che gli opposti si generano l'un l'altro. Ogni cosa che succede ha un senso relativamente al tutto, ha una funzione nell'insieme della creazione e della vita.

 Principio fondamentale del Taoismo è il  non agire contro natura, ma assecondare gli accadimenti. L'atteggiamento della durezza, della reazione, della conquista, della forza, della potenza sono sempre perdenti. Quindi: non contrastare, ma aderire, non imporre, evitare gli scontri frontali, meglio fermarsi.

 La Meditazione Táoista ci chiede di fare il vuoto totale, di dimenticarci di tutto e di unirci a ciò che abbraccia il tutto. La sostanza delle cose è un nucleo di vuoto attorno al quale si mette la forma, è il non essere. Il vuoto Taoista è un continuum, un campo di azione indistruttibile e immortale.

 La via è indefinibile, in continua-trasformazione, ma non è inafferrabile: esistono sempre dei segnali che permettono all'attento osservatore di capire in che direzione sta andando, a quali risultati sta andando incontro, quale comportamento è preferibile. Da questo  concetto è nato l'I Ching, o libro dei mutamenti, che ci permette di indagare negli avvenimenti per conoscerli e potersene servire.

 La tecnica di meditazione è la difficile arte del non intervento, della non azione, della osservazione fatta in punta di piedi per non turbare gli eventi, ma che ci porta a conoscerli per potere aderire ad essi e da essi farci supportare.  


            MEDITAZIONE SECONDO LO ZEN














  

Circa 15 secoli fa,  Bodhidharma, maestro indiano di Meditazione, andò in Cina a portare le sue tecniche che, per successive trasformazioni dovute a diverse pronunce, hanno poi preso il nome di  "Zen". A quel tempo il Buddismo cinese era ricco di cerimonie, riti, dei da adorare, dogmi, testi sacri, ma povero di contenuti. Bodhidhanna portò un rinnovamento spirituale a quel punto necessario e salutare.

 Metafisica e morale sono prodotti della mente e la mente è il principale ostacolo all'illuminazione. Lo Zen,  tecnica che abolisce ogni orpello, esteriorità, tradizione, filosofia è l'essenza della Meditazione, della Meditazione come assorbimento diretto.

 Il pensiero di qualche cosa non potrà mai essere la cosa stessa. Qualsiasi strumento di osservazione interferisce con l'oggetto osservato, così anche la mente sovrappone le proprie categorie conoscitive agli oggetti conosciuti. Così la Meditazione Zen va diritta alla fonte dello spirito, al volto originario di ciascuno di noi, al non pensiero da cui scaturisce il pensiero. Rigore ed essenzialità sono le sue prerogative. Secondo lo Zen l'unica via possibile è quella di  allontanare da noi il nostro mezzo mentale per riuscire a vedere senza di esso, perché il risveglio si verifica con il contatto diretto con le cose, spogliate di concetti e significati.  L'insegnamento Zen si trasmette da Maestro ad allievo, da spirito a spirito, non su basi verbali, perché in nessun caso un concetto può rappresentare la realtà.

 Del resto anche Buddha non amava le disquisizioni filosofiche, e Lao-Tzu ha detto: "Chi conosce il Tao non ne parla e chi ne parla non lo conosce".

 Strumento dello Zen sono i  Koan, proposizioni irresolvibili logicamente, che hanno lo scopo di far capire che la ragione non è in grado di risolvere il problema centrale della conoscenza di sé. Il ragionamento viene usato per distruggere il Koan e per metterne in evidenza i limiti. Infatti nessun procedimento discorsivo, per quanto lungo, porta alla soluzione, ma con la lunga riflessione sul Koan nell'allievo si produce il vuoto mentale, lo stato di non pensiero in cui potrà ricevere l'illuminazione.

 Alcuni metodi usati dallo Zen hanno lo scopo di mettere in evidenza contraddizioni e limiti della mente e di portare la tensione intellettuale fino a un punto di rottura in cui la ragione si ferma da sola, perché non è più capace di proseguire. 


                 MEDITAZIONE BUDDHISTA













                            

2.500 anni fa, quando visse il  Buddha, la meditazione era già praticata secondo diverse tradizioni. Egli ne sperimentò alcune, ma senza piena soddisfazione: voleva eliminare la sofferenza dal mondo in modo permanente, attraverso un cambiamento radicale della condizione umana.

 E l'illuminazione gli venne durante la ormai famosa meditazione sotto l'albero. Ma la cosa importante è che sotto l'albero si è messo a meditare  spontaneamente, spinto da una esigenza interiore molto forte, non durante una classe, non per volontà, ma per una autentica forte aspirazione interiore. Le classi gli avevano dato le basi, per seguirle c'era voluta la volontà, ma la vera meditazione è nata dentro di lui. In quella meditazione ha pensato a lungo a ciò che aveva fatto,  poi si è messo ad osservare i suoi pensieri da fuori, come se appartenessero ad altri. E le cose gli sono apparse prive di contenuto, esistenti unicamente come effetti interdipendenti di un gigantesco processo; anche l'io gli è apparso come un aggregato temporaneo di funzioni: l'essenza di tutti i fenomeni è la  vacuità, per questo gli sforzi di essere qualche cosa falliscono. Il frutto della sua meditazione non è stato il risultato di uno sforzo per conseguire qualche cosa, ma di una autentica esigenza interiore. Lo sforzo di diventare qualche cosa è il principale ostacolo dell'uomo ad essere se stesso.

 Per il Buddismo non bastano le buone intenzioni e una condotta retta per farci raggiungere l'illuminazione. Ci vogliono anche chiara comprensione, penetrante consapevolezza, mancanza di egocentrismo e costante Meditazione. Le scritture buddiste distinguono fra "arhat", colui che ha conseguito l'illuminazione, ma non la comunica agli altri, e "bodhisattva", colui che ha conseguito l'illuminazione e si propone di aiutare gli altri. Questa importante differenza ha originato due correnti fondamentali del Buddismo:  Hinayana o Piccolo Veicolo, e  Mahayana, o Grande Veicolo. Quest'ultima si basa sul concetto che il bodhisattva rinuncia ad entrare nel nirvana e rimane nel ciclo delle reincarnazioni per aiutare gli altri esseri senzienti a raggiungere l'illuminazione. Il bodhisattva deve comunicare e trasmettere un insegnamento che non è definibile né  concettualizzabile, che non è svelabile a parole, ma che si può raggiungere solo attraverso l'esperienza. Così egli rimane un mediatore tra l'uomo e la verità, è l'incarnazione del messaggio, quindi dà alla parola la dimensione che essa non può avere, perché non basta conoscere la via, bisogna anche percorrerla. 

 Il bodhisattva è un aiuto, ma può anche essere un ostacolo quando l'allievo si abbandona ad un contatto passivo con il suo maestro, quando manca un  contenuto realizzativo. Per questo lo Zen ammonisce: "Se incontri Buddha,  uccidilo!". Il Grande Veicolo favorisce una graduale liberazione con la devozione, l'etica, la compassione, la riflessione, la quiete mentale, mentre il Piccolo Veicolo favorisce la possibilità di una realizzazione immediata con la tecnica della presenza mentale, della consapevolezza, della penetrazione intuitiva.  I metodi di Meditazione delle due correnti sono simili e sono preceduti da 7 punti fondamentali, che hanno lo scopo di preparare l'allievo alla Meditazione attraverso comportamenti, conoscenze, purificazione e che con la Meditazione costituiscono l'ottuplice sentiero: 
 -  retta opinione, cioè conoscere la realtà autentica delle cose; 
 - retto pensiero, o retta intenzione, cioè atteggiamenti improntati a compassione e armonia, senza egoismo ed emotività; 
 - retta parola, cioè attenersi scrupolosamente alla verità; 
 - retta azione, cioè non compiere nessun atto che possa creare sofferenza; 
 - retto modo di vivere, cioè non compiere azioni inutili; 
 - retto sforzo, cioè combattere il male esistente e adoperarsi per prevenirlo;
 -  retta memoria, o ricordare le verità fondamentali;
 -  retta Meditazione, cioè la Meditazione che dà forza ai sette punti precedenti. Questo è il punto che distingue il Buddismo da altre vie piene di precetti, regole, comandamenti, da sentieri lastricati da buone intenzioni, ma incapaci dì trasformare la personalità.  E' la Meditazione che permette a questi punti di penetrare profondamente nell'allievo, di orientare la sua vita e di favorire un suo sostanziale cambiamento.

 Buddha ha fuso elementì di diverse tradizioni con tecniche di meditazione che permettono di passare da enunciazione, conoscenza, comprensione intellettuale fino ad arrivare alla realizzazione concreta.  













                          Meditazione secondo Aurobindo


Aurobindo è nato a Calcutta, in India, nel 1872. La sua ricerca spirituale non segue nessuna via o scuola tradizionale e fonde la cultura occidentale con la sapienza orientale. Riprende il concetto che nell'uomo ci sono grandi poteri latenti che devono essere recuperati, attivati e utilizzati attraverso la Meditazione. Non c'è contrasto con il Cristianesimo, se aggiungiamo che attraverso la meditazione è lo Spirito Santo che attiva  questi poteri, dandoci la Grazia. Questa è la via del suo Yoga, che si propone di accelerare una evoluzione che è in corso.

 Lo Spirito è la volta dell'esistenza universale, la Materia è la sua base, la Mente è il legame che li unisce. Ma lo Spirito è anche dentro di noi; dobbiamo quindi riconoscere la spiritualità del corpo e tendere a reintegrarci con il nostro originario stato divino. Secondo Aurobindo, l'uomo si realizza nella sua integrità di corpo, mente, spirito, e grazie a questa armonia può arrivare la conoscenza di sé. Dobbiamo avere una intensa aspirazione al trascendente e i risultati dipenderanno dal desiderio e dall'impegno personale. E il risultato è un contatto duraturo con il divino, accompagnato da una autentica  armonizzazione fra vita interiore e vita esteriore, che si manifesta in tutto il vissuto ed è utilizzata per costruire un mondo migliore. Questa conquista può arrivare in un lampo, ma è preceduta da un allenamento della Mente attraverso la concentrazione.

Mère, continuatrice dell'opera di Aurobindo, ha scoperto che c'è un grande potere in fondo all'inconscio ed ha compreso che è separato da noi solo dalle radici della mente. Le nostre memorie, la nostra cultura, i nostri condizionamenti sono questa barriera; la coscienza si è autolimitata restringendo il proprio campo di azione e creando un inconscio mentale, che se non è conosciuto si oppone al cambiamento. Comprendere di più e aumentare la nostra consapevolezza è la via per riunire ciò che è stato separato. 









     Meditazione secondo  Paramahansa Yogananda



Paramahansa Yogananda è vissuto in India fra il 1893 e il 1952. Il suo libro "Autobiografia di uno Yogi" ha il merito di avere accostato al mondo affascinante dello Yoga le ultime generazioni. La tecnica da lui insegnata è quella dell'antico  Krya-Yoga, Yoga psicofisico che tende a risvegliare i Chakra spirituali.

 Per prima cosa bisogna ottenere il controllo dei desideri della mente, poi arrivare alla consapevolezza dei movimenti del respiro, La sua tecnica comprende anche la Meditazione sul suono primordiale dell'Universo, la sillaba sacra  Om, o Aum.

 Lo Yogí si è liberato dai legami del corpo. Normalmente il flusso di energia vitale è diretto verso l'esterno e si disperde nelle diverse attività sensoriali. Con la pratica del Krya-Yoga si inverte la direzione del flusso, che va verso l'intemo e li si sposta mentalmente attraverso i centri spinali fino al settimo Chakra, quello che si trova al sommo del capo. Così facendo si può arrivare a controllare la mente attraverso la forza vitale. Questa è la via più facile, efficace e scientifica per raggiungere l'Infinito.










































 M                                 Meditazione secondo Gurdjieff









                                     

Gurdjieff è nato in un paese al confine tra Europa ed Asia nel 1877. Secondo Gurdjieff l'uomo è  "addormentato", la sua coscienza è ipnotizzata e confusa: egli non si conosce e vive come un automa, senza controllo su pulsioni, emozioni, fantasie, senza conoscerne le reali motivazioni. Quando si rende conto di ciò, l'uomo ha tre vie possibili per risvegliarsi e riacquistare l'unità dei tre piani su cui vive: fisico, emotivo-sentimentale, intellettivo.
 - La prima è la via del fachiro, cioè del controllo del corpo fisico.
 - La seconda è la via del monaco, cioè della fede in Dio e del sacrificio della propria volontà.
 - La terza è la via dello Yogi, basata sullo sviluppo della conoscenza e quindi dell'intelletto.
 Ma queste strade, oltre ad essere lunghe e difficili sono parziali.
 Lui propone una "Quarta via", che non richiede di rinunciare al mondo, permette di lavorare sulle tre dimensioni, è personalizzata ed è basata sulla comprensione di tutto ciò che è incosciente o involontario  e sulla riappropriazione dell'essenza. L'uomo della "Quarta via" vive nel mondo, ha conoscenze sufficienti per potersi risvegliare, e sa che solo uno sforzo cosciente può liberarlo dagli automatismi della vita normale.

 La proposta di Gurdjieff si basa sullo  sviluppo della  consapevolezza, accompagnato da un incremento dell'emotività e dell'energia, sulla conoscenza di noi stessi. L'uomo crede di essere libero, consapevole, responsabile e non si rende conto di essere guidato da forze superiori.
 Un mezzo di conoscenza molto interessante in Gurdjieff è la danza: il linguaggio del corpo esprime ciò che è dentro di noi. Attraverso la danza possiamo esprimerci e conoscerci. Per fare questo ha riproposto le danze dei Dervisci.


                INCONTRO CON LA MEDITAZIONE





                         

La  meditazione e' la base indispensabile per ogni cammino di  conoscenza per la vita stessa. Ogni fede, ogni filosofia ne parla  da sempre. Ne esistono innumerevoli forme. Moltissimi la  praticano. Molti ne sono intimoriti. Molti sono gia' dei meditatori formidabili.
 (...)
 Il mio approccio con la meditazione e' stato molto sofferto. Ho  faticato molto per iniziare veramente, probabilmente perche' ero  prevenuto . Ero stato spaventato dai discorsi scoraggianti, che mi  avevano sottilmente condizionato .

 Ma da quando ho iniziato consapevolmente il mio cammino di ricerca,  ovviamente l'ho incontrata continuamente: qualsiasi cosa facessi mi  veniva riproposta come qualche cosa di imprescindibile. Ogni volta  svicolavo rifiutando con pretesti inesistenti e cercando scorciatoie.
 Poi ho realizzato che molte delle cose che facevo, anche  spontaneamente, erano gia' una forma di meditazione, che la  meditazione poteva anche essere piacevole e semplice. Allora ho deciso  che dovevo mettere ordine in quello che stavo facendo, dovevo mettere  a punto un mio programma di lavoro e di conquista. Cosi', di tentativo in tentativo, il mio cammino e' proseguito sempre piu' speditamente e  con sempre maggiori soddisfazioni e gratificazioni.

Spesso ho remato faticosamente e mi sembrava di non andare avanti nemmeno di un centimetro. Spesso mi sono scoraggiato e ho lasciato perdere. Ma poi sono stato nuovamente spinto a riprendere e proseguire. E questo altalenare continuava a ripetersi. Quando si ha dentro un sacro fuoco abbastanza forte ci si accorge che ogni sforzo ha prodotto qualche cosa, anche piccola, ma importante.  I risultati non arrivano direttamente, visibilmente; poco a poco la differenza incomincia a farsi strada. E allora, senza accorgercene, senza fatica faremo sempre di più e sempre meglio.

Che cosa è la Meditazione ?

Fine della Meditazione è  l'unione dell'individuo con la fonte della vita, con la Mente Universale, con il Creatore, comunque lo vogliate chiamare.
 Qui è importante considerare subito una distinzione che è veramente fondamentale, cioè la  motivazione, lo scopo della Meditazione stessa. Da questa infatti dipendono i risultati che otterremo.

 La molla che ci spinge può essere di due tipi: cercare il  controllo della nostra  mente, lo sviluppo suo e dei suoi poteri, oppure cercare il giusto  uso della mente per fini spirituali.
 Queste due motivazioni dipendono dalla dualità in cui si svolge tutta la nostra vita. Qui siamo posti di fronte alla scelta tra il potenziamento per il mondo materiale o per quello dello spirito.

 Gli esercizi possono essere gli stessi, ma la motivazione farà la differenza per i risultati che otterrete. La differenza nei risultati dipende dalla motivazione,  da quale molla ci spinge, perché i miglioramenti ottenuti dalla nostra conoscenza e dal nostro potere sono forze neutrali che diventano positive o negative secondo l'uso che ne facciamo.

 Bisogna fare anche attenzione a motivazioni minate anche sottilmente, rivestite di apparenza di nobiltà.  E' importante quindi ripeterci spesso la domanda circa la vera molla che spinge. La risposta dovrebbe essere inequivocabilmente che desideriamo conoscere meglio le leggi della natura e della vita, per vivere meglio e più consapevolmente per noi stessi, ma anche per aiutare altri a imboccare questa strada evolutiva.

 Secondo concetti antichi, le finalità della Meditazione si possono riassumere in tre punti:

 - Allineamento tra corpo fisico, eterico, astrale, mentale.

 - Entrare in contatto con il Sé Superiore.

 - Esprimere nel vissuto quotidiano le ispirazioni del mondo spirituale.

 E qui vorrei sottolineare l'importanza anche dell'allineamento di cuore e mente.  E' infatti evidente che, per un sano equilibrio, la mente non deve correre  avanti a un cuore in attesa, né trascinarsi dietro al cuore con nostalgia.



 La Meditazione esiste nel passato di tutti i popoli e rappresenta i diversi tentativi fatti dall'uomo per ritrovare la propria origine trascendente.
 La radice della Meditazione è la stessa nelle diverse tradizioni, nonostante le differenze apparenti, ed è facile trovare tecniche analoghe in tutto il  mondo...

Differenze  fra Concentrazione e Meditazione

La  concentrazione è una allenamento controllato volontariamente. E come quando, per imparare ad andare in bicicletta, proviamo e riproviamo i diversi movimenti. La Meditazione è quando ormai siamo padroni di tutti i movimenti, ci diamo una meta e ci dirigiamo verso di essa, senza più pensare a cosa dobbiamo fare per pedalare e stare in equilibrio.

 Un altra differenza è che la concentrazione può anche essere semplicemente utile nel quotidiano, mentre la Meditazione ha un contenuto spirituale, più elevato, ma anche più impegnativo.

 Così le tecniche di concentrazione possono essere oggetto di studi e insegnamenti retribuiti, fare parte di corsi veri e propri per una maggiore efficienza e resa dell'individuo, mentre la vera Meditazione fa parte di  una sfera diversa, soggetta a leggi diverse. La vera Meditazione è quella volta ad un continuo miglioramento della nostra vita spirituale, con tutto l'impegno che questo comporta.  E' quindi uno studio che segue percorsi particolari...

OM SHANTI







                                      IL SANNYASA





Il Sannyasa (parola sanscrita che letteralmente significa "rinuncia" o "abbandono") è una forma di monasticismo induista. Può essere intrapresa dai fedeli induisti sin da giovani, facendosi monaci e intraprendendo per tutta la vita la via spirituale, o negli ultimi stadi dell'asrama (la vita del fedele), solitamente oltre i cinquant'anni. I membri degli ordini sannyasa sono chiamati sannyasin o sannyasi. Questi ultimi conducono una vita senza possedimenti, praticando lo yoga e il bhakti, la preghiera alle divinità. L'obiettivo finale della vita monastica è il moksa, ovvero la liberazione dal ciclo delle reincarnazioni e l'unione con il Brahman. Pochi sannyasin vivono in monasteri chiamati matha, i quali fungono più da centri di educazione, la maggior parte sono infatti vagabondi.



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