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venerdì 19 settembre 2014

IL PRATHYARA DI KURMA : LA PORTA DEL SAMADHI





Inizialmente associata al dio Prajapati, kurma venne quindi assorbita tra gli avatara (le discese salvifiche del dio Vishnu) e giocò un ruolo fondamentale nel famoso mito della zangolatura (metafora della creazione, ndr) dell’oceano. Prima che il mondo avesse origine, i deva (gli dei) erano continuamente minacciati dai danava (sorta di antidei demoniaci), per cui si erano rivolti a Vishnu, Signore della Provvidenza, che aveva consigliato agli dei di procurarsi l’ambrosia che rendeva immortali.

Il prodigioso nettare giaceva nelle profondità dell’oceano di latte e per estrarlo gli dei avrebbero avuto bisogno dell’aiuto dei danava, per cui promisero loro una parte dell’ambrosia. Stretto il patto, la montagna cosmica (che in questo mito è il monte Mandara) venne collocata nell’oceano con legato attorno il serpente Vasuki, in modo da ottenere una zangola (arnese per fare il burro, ndr). Le due parti cominciarono a tirare il rettile, gli dei per la coda e i demoni per la testa, facendo girare la montagna come un frullino, ma questa cominciò ad affondare e allora Vishnu, assunta la forma di tartaruga, scese nell’oceano per fare da base al Mandara.


Durante la zangolatura emersero esseri e oggetti meravigliosi: la bellissima dea Lakshmi, che divenne sposa di Vishnu; le Apsaras, ninfe celesti; Surabhi, la vacca dell’abbondanza; il cavallo bianco; la luna; il gioiello kaustubha che orna il petto di Vishnu; l’albero di parijata che esaudisce i desideri, etc. Ma nel frattempo si era sprigionato anche un velenoso miasma e Shiva, per salvare l’Universo, lo inghiottì prontamente striandosi la gola di blu e meritandosi il nome di Nilakantha (“Colui che ha la gola blu”). Finalmente emerse Dhanvantari, il medico degli dei, con l’ampolla dell’ambrosia fra le mani. I danava cominciarono a reclamare a gran voce la loro parte, ma Vishnu, assunte le spoglie di Mohini, una splendida fanciulla, li incantò con il suo fascino e distribuì l’ambrosia agli dei. Questi, rinvigoriti, sconfissero i danava e divennero signori dell’Universo.


                       Suprema conoscenza


Il mito sottende numerosi significati simbolici. Per prima la vita, racchiusa in potenza nell’oceano di latte, simbolo del fertile caos, la quale richiede il moto per venire all’essere. Non solo, l’operazione congiunta di deva e danava sottolinea come il dinamismo dell’esistenza necessiti di forze polari per avere luogo. Il suo dispiegarsi, però, non è frutto del caso, ma provvidenziale strutturarsi attorno a un asse cosmico (in questo caso il monte Mandara), che ha la sua base nel Divino, cioè Vishnu nell’aspetto di tartaruga.

Vasuki, il cobra policefalo, rappresenta le potenzialità della natura e il suo distendere le spire simboleggia l’attivarsi della manifestazione. Il veleno, ovvero la negatività, è parte del processo vitale, ma la sua neutralizzazione è garantita dagli dei. Lo esplicitano l’intervento di Shiva e ancora di più quello di Vishnu come Mohini, che attribuisce il premio ai deva, poiché sono le potenze della luce a essere incaricate di reggere il cosmo. Il personaggio di Mohini racchiude una doppia valenza: provvidenziale per gli dei e attrazione fatale, che svia e allontana dalla meta, per i demoni. La bellezza, infatti, può essere iniziazione e salvezza oppure confusione e dannazione: è la maturità spirituale che fa la differenza. Così l’ambrosia (in sanscrito amrita ovvero “immortalità”) in effetti non è l’elisir di lunga vita, bensì la suprema conoscenza che rende divini.

                     Pratyhara ( ritiro dei sensi )

In alcuni Purana (le “Storie Antiche” fondamentali per conoscere il mondo concettuale, mitico e rituale hindu, composte in numero di 18 fra il III e il VII sec. d.C.), Bharata, ovvero l’India, viene immaginata distesa sul dorso di una gigantesca tartaruga. Inoltre, uno dei Purana, il XV, porta proprio il nome di Kurmapurana, in quanto fu rivelato da Vishnu in forma di kurma. In seguito la tartaruga fu assunta come simbolo dell’uomo stabilmente raccolto in se stesso e, nello yoga, venne associata al pratyahara, la silenziosa introversione che convoglia l’attenzione all’interno del proprio essere. In questa dimensione dello stare in sé e con sé si sperimenta lo stato di unità e completezza che è l’indispensabile condizione alla vera concentrazione e all’autentica meditazione.